YEKINI Rashidi: Oro Nero

Dopo aver girato mezzo mondo senza mai perdere la voglia di segnare, la vita dell’attaccante nigeriano si perderà fino ad arrivare ad un epilogo tragico e misterioso.

«NON PENSO proprio che un attaccante possa stancarsi di fare gol. Io voglio segnare sempre». Così parlava Rashidi Yekini a 38 anni suonati quando nel febbraio del 2003 tornò nella sua Nigeria per giocare con la maglia del Julius Bergen. E per continuare a battere i portieri, quello che desiderava di più, come affermò dopo avere fatto centro, sia pure su rigore, con la sua nuova squadra contro il Kano Pillars. Del resto, iniziò presto a costruire una corsia preferenziale verso la porta avversaria, il “Toro di Kaduna”, così come era stato soprannominato unendo il nome dell’animale che in quanto a potenza più gli somigliava e quello della città dov’è nato il 23-10-1964.

Rimasto senza genitori giovanissimo, Rashidi trova nel calcio una preziosa ancora di salvataggio: grazie alle prestazioni fomite con lo United Nigerian Textiles Limited, lo Shooting Stars e l’Abiola Babes, conquista la Nazionale maggiore neanche ventenne e, nel 1988, viene anche convocato per le Olimpiadi, dove realizza alla Jugoslavia l’unica rete nigeriana della manifestazione. Yekini, che per un paio di anni si guadagna la pagnotta in Costa d’Avorio con l’Africa Sports, ha nel 1990 la chance europea. Lo mette sotto contratto il Vitória Setubal, lui risponde con 13 reti che non consentono alla compagine biancoverde di restare nella massima serie ma che lo trasformano in un idolo della tifoseria di casa. “Deus Negro” e “Fenomeno” (Ronaldo al momento è ancora un promettente teenager) sono soltanto due dei soprannomi che gli vengono dati. In cadetteria la media gol lievita e così, grazie alle sue 34 reti (stagione 1992-93), il Vitória torna in A dopo due anni di purgatorio.

Contro i non rapidi difensori lusitani l’attaccante nigeriano, che nel 1993 viene anche eletto calciatore africano dell’anno, sfrutta al massimo la sua esplosività. È un peccato, però, che nonostante l’altezza (190 cm), nel gioco aereo non sia un granché. Al Vitória va comunque bene così, tanto più che nel campionato successivo sigla 21 reti, issando l’undici di Setubal a un sesto posto eccezionale per una neopromossa. E va bene così alla Nigeria, che nel 1994 porta a suon di gol alla conquista della Coppa d’Africa e alla qualificazione per i Mondiali che lo stesso anno si giocano negli Stati Uniti.

Le Super Aquile, all’esordio assoluto nella rassegna iridata, strapazzano la Bulgaria (3-0) e il gol del vantaggio (semplice, semplice, a due passi dalla porta su assist di Finidi) porta la firma proprio di Yekini, che esulta urlando con le braccia inserite nella rete e protese al cielo. «In quel momento» commenterà poi «ho ringraziato Dio per avermi fatto giocare a livelli così grandi». Gli uomini di Westerhof lasciano il torneo agli ottavi, storditi da Roberto Baggio, e per il “Toro di Kaduna”, ormai quasi trentenne, comincia una precoce parabola discendente.

Attratto dalle dracme approda all’Olympiakos, ma il suo ambientamento in Grecia è problematico e ben presto fa le valigie, non senza aprire un contenzioso con il club del Pireo («Mi sentivo trattato come uno schiavo»). Poi gioca la carta spagnola, trasferendosi allo Sporting Gijon: nelle Asturie si presenta con un bel biglietto da visita, la doppietta con cui stende il Real Madrid in un’amichevole di agosto, ma è un fuoco di paglia, perché in due campionati consecutivi non segna neanche un gol. Al quel punto non gli resta che tornare a Setubal, dove ritrova l’affetto dei suoi vecchi tifosi, ai quali però regala tre sole segnature.

Dato per finito, Ye-king (un altro dei suoi nomignoli, insieme a Goalsfather) comincia a sentire profumo di Mondiali e nella stagione 1997-98 si rilancia alla grande in Svizzera: nello Zurigo segna 14 reti, formando un interessantissimo tandem d’attacco con l’emergente congolese Shabani Nonda. Torna quindi nel giro della Nazionale, ma in Francia le cose vanno maluccio, perché non vede la porta e a Parigi, al termine della gara persa con la Danimarca, saluta definitivamente le Super Aquile con un bottino complessivo di 37 reti in 58 apparizioni.

La Tunisia (Bizerte) e l’Arabia Saudita (Al-Shabab) sono due tappe interlocutorie prima del ritorno nell’Africa Nera. Nel 1999 Rashidi è di nuovo in Costa d’Avorio, con l’Africa Sports, e nel 2003 si ripresenta in patria, ma presto il suo rapporto con il tecnico del Julius Berger, Fatai Amoo, si incrina: non è facile allenare un giocatore con il suo carisma. E Yekini si fa nuovamente da parte, ma non smette e nel 2005, a oltre quarant’anni, un’ultima firma con un altro club nigeriano, il Gateway

Poi l’addio e una vita ritirata, lontano dalla fama. Gli avevano offerto di lavorare per la Federazione, di fare l’ambasciatore della Nigeria ai Mondiali del 2010. Niente. Rashidi pregava e viveva solo, nonostante i 3 matrimoni e i 3 figli. Negli ultimi anni iniziano a girare parecchie voci sulla sua reale salute, sia fisica che mentale. Si trasferisce a Ibadan, nel sud del paese. Trapelano notizie per cui sarebbe affetto da depressione, disturbo bipolare e altre patologie psichiche non meglio identificate. Ma nessuno fa nulla, tanto meno le autorità, pure ripetutamente sollecitate. La situazione precipita nel 2012, anche se le versioni disponibili sui fatti sono tutte molto confuse. Si parla di parenti che convincono Yekini a farsi curare da stregoni e altri santoni, di pratiche che finiscono per debilitarlo ulteriormente e lo riducono in uno stato pietoso, fino al ricovero in un ospedale di Ibadan, dove però arriva in fin di vita e muore il 4 maggio 2012.

Qualunque sia la verità sugli ultimi momenti della vita di Rashidi Yekini, rimane il fatto che il suo impatto sul calcio nigeriano è stato assolutamente senza eguali.

Fonti: Mauro Corno (Guerin Sportivo) e Roberto Cocchis (http://angologiallo.blogspot.com)