ZBIGNIEW BONIEK – Intervista giugno 1982

Una maglia numero nove, la Coppa dei Campioni, una vita tranquilla sulla collina torinese, una canna per pescare nel Po: ecco il programma del «nero» di Lodz

C’est si … Boniek

VIGO. Zbigniew Boniek va alla bandierina del corner, in questo stadio «Bailados» di Vigo, nordest della Spagna, vento persistente dell’Atlantico, dove batterà i calci d’angolo contro l’Italia di Bearzot il pomeriggio del 14 giugno, un lunedì, e sento che dall’area di rigore il suo pupillo Wlodzimierz Smolarek, detto «Smolòsc», gli grida: «Murzyn! Murzyn» per chiamargli la palla. Che cosa significherà mai? Il diminutivo di Zbigniew è «Zbyszek», ma «Murzyn»? Si sta giocando da un’ora l’amichevole della Polonia contro il Celta di Vigo e non c’è niente di più interessante da chiedersi. Poi, nell’albergo sulla spiaggia con pineta di Samil, un po’ fuori città, Boniek mi spiega: «Murzyn in polacco significa negro. Mi chiamano così perché sono terribilmente bianco».

Zbigniew Boniek, polacco di un paese chiamato Bydgoszcz, 250 mila abitanti, a metà strada tra Varsavia e il confine con la Germania est, effettivamente è uno di quei rossi di capelli che il buon Dio immerge nel latte prima di affidarli alle cicogne perché sia molto evidente che la loro carnagione è chiara, anzi come dice la pubblicità degli angeli «che più chiara non si può». Capelli sempre spettinati, una pretenziosa linea di baffi di colore arancione che tendono a calargli agli angoli della bocca, portafortuna d’osso al collo e, per tutta la breve tournee spagnola, una maglia a strisce orizzontali nere e azzurre: così si è presentato Boniek, tra una partita e l’altra, sotto la pioggia di Bilbao e la luna piena di Vigo. Un ragazzo tranquillo, disponibile, con un programma ben preciso.

I SUOI NUMERI. Ventisei anni, sposato a una compagna di scuola (Wieslowa) oggi insegnante di lingue romanze, una figlia (Karolina) di cinque anni, Boniek proverà a giocarsi tre numeri sulla ruota di Torino: una coppa dei campioni, due bambine ancora per arricchire la famiglia, tre anni alla Juventus. Un, due, tre: quasi un gioco di prestigio. Tre numeri al lotto della vita di Zbigniew Boniek che ha sicurezze delicate. Mi dice: «Voglio ancora due bambine, le chiamerò Silvia e Monica, nasceranno a Torino». Rifiuta a Vigo l’interprete, che è la deliziosa Elvira Dominguez Alonso del Comitato organizzatore della Coppa del mondo, perché vuole sforzarsi di capire e parlare l’italiano, e assicura: «Imparerò la vostra lingua in due mesi e mi affiaterò coi giocatori della Juve in due giorni». Credo che di questo giocatore polacco possano essere ugualmente contenti Dante Alighieri e Giovanni Trapattoni.

PESCATORE. Una cosa che gradirà molto a Torino sarà il Po. «Oh, un fiume», dice. «Sarà buono per pescare. Mi piace molto». Al paese dove è nato, Bydgoszcz, c’è un lago. Zbigniew ci va spesso con la canna da pesca. «E, con me, viene Smolarek. Giochiamo insieme nella stessa squadra di Lodz e insieme andiamo a pescare». Ecco un bel quadretto. «Smolarek è un caro ragazzo», dice Boniek. «Ed è un attaccante molto forte. Chissà che non venga anche lui a giocare in Italia. Dovrà aspettare, ha venticinque anni». Così Boniek ci parla della sua fortuna. «Di solito, la federazione polacca dà il nullaosta per i trasferimenti all’estero dopo che i giocatori hanno compiuto i trent’anni. Così è stato per Lato, Szarmarch, Deyna. Hanno fatto un’eccezione per me. E’ anche per questo, per la mia età, che la Juventus ha speso quanto gli altri club hanno pagato per avere tutti insieme Lato, Szarmach e Deyna».

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DEYNA. Con la comitiva polacca c’è un giornalista di Varsavia. È Gregorz Stànok che scrive per lo «Sport» di Katowice. Mi spiega: «Al tempo in cui Deyna era l’indiscusso campione della Polonia, si diceva che Boniek fosse il quinto giocatore polacco. Perché primo veniva Deyna, secondo era Deyna, terzo sempre Deyna, quarto naturalmente Deyna e solo quinto Boniek. Questa era la differenza». Oggi Deyna gioca negli Stati Uniti, è solo un ricordo o un rimpianto per la Polonia calcistica e Boniek ha preso il suo posto. Nessun rimpianto per il suo trasferimento in Italia? Nessun giornale ha protestato? «Mi sembra giusto che Boniek vada per la sua strada», dice Stànok. Anche per Platini, che lascia la Francia per trasferirsi alla Juve, un personaggio come Mitterand ha detto la stessa cosa, senza inutili sentimentalismi. La Juve è la vera grandeur.

NUMERO NOVE. Gli piacerebbe avere questo numero sulla maglia della Juventus. «Ho giocato col nove da ragazzino», mi dice Boniek che ha le sue fisime e le sue scaramanzie come tutti i campioni. Mi racconta, per esempio: «Rimango affezionato a un indumento che ho messo proprio il giorno in cui mi è capitato di vincere una partita importante. Se sono andato allo stadio col parapioggia perché pioveva e poi ho fatto una grande partita e ho vinto, non ho vergogna a ritornare allo stadio con lo stesso parapioggia per la partita seguente anche se è una giornata di sole». Il leggero baffo arancione vibra attraversato da questa fine corrente di humour. «Il numero nove è un bel numero. Mi piacerebbe molto averlo alla Juve. Ora lo ha Rossi? Gli chiederò se per lui è importante quanto lo è per me. Ho giocato numero quindici in nazionale contro la Germania, l’Argentina e la Tunisia. Non era un bel numero e non sono state buone partite. Potrei giocare col dieci nella Juve? Preferirei il nove. Lo dirò a Rossi».

ARRIVEDERCI ROMA. Ha avuto già un maestro per imparare l’italiano. È Renato Rascel. «Con “Arrivederci Roma” ho imparato le prime vostre parole». Ecco una nuova versione del metodo Montessori, ma sembra anche una involontaria presa in giro per la Roma del presidente Viola che ha corteggiato inutilmente il fuoriclasse di Lodz. «Mi piacciono le vostre canzoni. Sono molto sentimentali. Non è solo per imparare l’italiano che le ascolto volentieri». E, così, tra i «libri di testo» di Zbigniew Boniek, studente di italiano, c’è anche Bobby Solo. Il doposcuola linguistico di Boniek si chiama Sanremo. Batte il piede destro, schiocca i pollici e i medi, e recita la lezione: «Tu stai tutto il giorno in piedi». Un motivetto che gli piace tanto. Formidabile. Zbigniew Boniek impara da Bobby Solo, Petrarca è un superato. Karolina, la figlia di cinque anni, avrà però una regolare scuola italiana, a Torino. «Lei imparerà molto seriamente la vostra lingua». Bobby Solo, evidentemente, ha dei limiti.

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BONIEK SEGRETO. Verrà via della Polonia a ciglio asciutto. Non c’è «saudade» per Zbigniew Boniek, solo i brasiliani hanno di queste debolezze. Lodz? «E un po’ come Manchester. Ci sono molte fabbriche di maglieria». È un ragazzo, Boniek, che non scrive libri «Cuore». Così, la storia del padre che giocava al calcio. «Non ci ho mai giocato contro. A trent’anni lui smise e io cominciavo appena». Figlio attaccante contro padre difensore. Sarebbe stata una bella storia. E Roman, il fratello che giocava meglio di lui? «Roman, oggi, fa il rappresentante di articoli sanitari. Anche mio padre fa questo lavoro». Un’ altra bella storia che va in fumo: il fratello più bravo e sfortunato, tolto di mezzo da un grave infortunio a un ginocchio, tutti questi Boniek calciatori, il vecchio Joseph difensore, Roman l’artista, Zbigniew quasi un Cenerentolo. Boniek scuote la testa. Non è per niente una gran storia. E la mamma, una sportiva anche lei? Macché. Mamma Jadwiga è una tranquilla massaia. Tutto qui. Però, se vogliamo, Zbigniew può dirci qual è il suo attore preferito, il cantante che più gli piace, il colore che ama, il cibo di cui è più goloso, la bevanda che gradisce. Ormai ha imparato a memoria questo ritornello. È quello che ricorre, puntuale e immutabile, da quando, apprestandosi a trasferirsi nell’Europa occidentale, ha capito che da noi non si gioca solo a pallone ma anche a fare le interviste. E così ecco le benevoli risposte. È John Wayne l’attore che preferisce, e Claudia Cardinale l’attrice. Ama i Bee Gees. Il colore: verde, l’azzurro. E ghiotto di capretto. Non beve né birra, vino; un whisky è meglio. Zbigniew Boniek è un buon ragazzo all’antica. I suoi desideri non sono spinti, le sue moderate preferenze sono anche piuttosto superate, fuori moda. E, naturalmente, ha in serbo un mestiere dolce, da vecchi tempi, che avrebbe voluto fare se non avesse fatto il calciatore. «Avrei voluto fare il maestro», dice dopo averci pensato un po’. Il caro, mansueto maestro di Bydgoszcz che è diventato invece un campione di calcio.

FORMAZIONE IDEALE. Rumenigge è il calciatore che più ammira. E come sarà la Juve con Boniek e Platini? «Si gioca in undici. Due giocatori non sono tutto. Certo, mi sembra una Juve forte. Sulla carta, è forte. Sul campo vedremo. Brady era un grosso giocatore. Peccato che non ci sarà». Gira subito pagina. Arriva di fresco alla Juve e non vuole rilasciare sentenze. Si presta di più a fare la sua formazione ideale. Hellstroem o Zoff in porta. Difensori: Kaltz e Cabrini terzini, Pezzey stopper, Krol libero. Al centrocampo: Schuster, Breitner, Maradona. All’attacco: Rumenigge, Paolo Rossi e Blochin. Ha pronto anche un uomo per la panchina: Zico, che diamine! Prende confidenza e mi dice: «Mi voleva anche il Barcellona. In febbraio, c’erano per me due richieste ufficiali. Una era della Juve, l’altra era del Barcellona. Ma avrebbero voluto avermi anche il Paris Saint Germain e il Wolverhampton». L’Italia ha vinto, forse anche per merito di Bobby Solo. «Giuliano è venuto fino a Lodz per concludere e Boniperti mi ha telefonato». Non c’è stato niente di grosso. La moglie, felice di venire in Italia? «Nessun problema. A lei devo molto. Andiamo dove è meglio per te, mi ha detto». Una coppia collaudata da sei anni di fidanzamento.

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UN NORMALE GROSSO GIOCATORE. Ma, poi, questo Boniek, che tipo di giocatore ritiene di essere? La risposta è tranquilla, il giudizio su se stesso è misurato. «Non mi considero molto speciale. Voglio dire che non sono un giocatore che ha una tecnica particolare. Io gioco per il collettivo, non sono un individualista, sono un giocatore utile, ecco. Sono rapido, questa forse à la mia dote. E tiro con tutti e due i piedi. E non ho bisogno di lavorare molto per essere in forma». Poi aggiunge, cambiando registro: «Se serve, mi piace molto il gioco degli scacchi». Che, poi, è un suo hobby risaputo. Un cartellino rosso quattro anni fa, due cartellini gialli in tutta la carriera. «L’espulsione c’è stata perché protestai vivacemente per un gol in fuorigioco segnato da un giocatore del Pogon contro il Lodz nel nostro campionato. Mi dettero sei giornate di squalifica. Ero il “capitano”. Poi ne feci solo quattro».
Altre storie inquiete: rifiuta i giornalisti sul torpedone della nazionale durante una trasferta in Olanda, i giornalisti ne fanno un «caso», scoppia una incredibile bagarre, Boniek con Lato e Szarmach si becca quattro mesi di squalifica; il ct. polacco Ryszard Kulesza, che non è più ct., fa fuori dalla nazionale il portiere Mlynarczyk: ha bevuto un bicchiere, il reo, Boniek ne prende le difese, dodici mesi di squalifica, poi ridotti a otto. Alla Juve non beve nessuno e i giornalisti vanno per conto loro. Boniek, a Torino, sarà un irreprensibile professionista. Col Widzew Lodz ha vinto due campionati e una Coppa di Polonia, ma il suo stipendio a Lodz era di sole settecentomila lire al mese. Ora sarà di duecentomila dollari (260 milioni di lire) all’anno. Più di 50 partite in nazionale e 18 gol figurano nel suo carnet.

JUVE ELIMINATA. Ricorda con piacere l’ eliminazione della Juve in coppa Uefa 81 ad opera sua e del Widzew Lodz. Un souvenir che ora dovrà cancellare. «Col Saint Etienne di Platini, invece, fummo eliminati noi». Un ricordo spiacevole che non significa più nulla. Quando avrà fatto il suo, cioè tutto il suo possibile con la Juve, non ci sarà l’America come succede per molti campioni attratti da un viale del tramonto lastricato di dollari. Gli Stati Uniti? «Giammai», è stata la risposta. «Al calcio voglio giocare seriamente fino all’ultimo», è stata la spiegazione. Come giocherai nella Juve? «Io sono un centrocampista di attacco». Si presenta così. Il resto è mestiere di Trapattoni. Era il primo nella lista-acquisti della Juve, non ci saranno incomprensioni. Certo, una Juve così, con Boniek e Platini, dove non arriverà? Sulla terrazza dell’albergo davanti alla spiaggia di Samil, un po’ fuori Vigo, Boniek indossa la sua prima maglia bianconera e palleggia per il nostro fotografo. Boniek si è prestato al «provino» nelle prime ore del pomeriggio mentre il resto della nazionale polacca dormiva. Ha avuto questo pudore. «Si sta parlando troppo di me, e ci sono ancora i mondiali. Sono un nazionale della Polonia, non sono ancora un giocatore della Juve». Poi chiede per souvenir la maglia bianconera che ha appena indossato. «Ha il numero nove», dice. Ma Rossi non gliel’ha ancora data. «Me la darà», sorride accattivante.