ZICO – Intervista febbraio 1984

Al suo primo anno italiano sta mettendo in fila tutti i bomber: e ogni suo bersaglio ha il marchio d’autore

L’arte del gol

UDINE – Chi ha buona memoria ricorderà certamente che il miglior serbatoio del calcio italiano è stata per lungo tempo la terra veneta, dalle rive dell’Adige al Friuli-Venezia Giulia, un vivaio inesauribile che riforniva squadre di mezza Italia, una miniera di calciatori e di tecnici, da Nereo Rocco a Dino Zoff, tanto per citare solo un paio di nomi. E ricorderà altresì che nella sua storia quasi centenaria l’Udinese ha vissuto un altro momento di grande euforia: avvenne nel 1954-55, quando arrivò a un passo dallo scudetto, piazzandosi seconda alle spalle del Milan di Schiaffino e di Liedholm. Anche allora la quadra bianconera era guidata in campo da un campione straniero, un giocatore venuto dal freddo, lo svedese Selmosson, soprannominato «Raggio di luna» a causa della sua biondissima capigliatura.
Oggi è un altro campione straniero, venuto dal caldo Brasile, Artur Antunes Coimbra soprannominato Zico, a far rivivere alla squadra bianconera e al fedele popolo friulano i fasti di trent’anni fa, anche se perfora le ambizioni sono più limitate, non si parla di scudetto ma solo di zona Uefa. La situazione però è diversa, non tanto perché il Friuli si è trasformato da produttore di calciatori in grande importatore che non bada a spese – la qual cosa potrebbe prestarsi a qualche interessante indagine socio-economico, ora che il calcio è diventato materia di studio anche per i sociologi – ma per il significato che la presenza di Zico a Udine è venuta ad assumere.

IL SOGNO E LA BANDIERA
Selmosson era semplicemente il sogno di una stagione di mezzo inverno e di mezza estate, l’asso che aveva portato una piccola squadra di provincia a competere da pari a pari con gli squadroni metropolitani; Zico è qualcosa di diverso, è diventato una bandiera, il simbolo della fierezza di un’intera regione e della sua contrapposizione al potere centrale.
L’antefatto è noto: le diatribe che l’estate scorsa precedettero il tesseramento di Zico vennero interpretate a Udine come una congiura ordita dalla famiglia in una villa principesca, ignoti tifosi hanno compiuto un intervento di plastica facciale alla toponomastica cittadina, cambiando il nome della strada; il celebre maestro della pittura veneta è stato sloggiato e la strada ribattezzata col nome di «Via Zico». Nei discorsi, nelle baruffe, allo stadio, nelle strade, dovunque si respira un’aria da «Zico non si tocca».

zico-udinese-intervista-wp TRE ANNI. E l’interessato che ne dice?
«Quell’episodio ha ancor più aumentato le mie responsabilità – osserva Zico ricordando le vicende dell’estate scorsa – Non posso sbagliare, non posso deluderli con un comportamento men che corretto in campo e fuori, non me lo perdonerebbero mai. E penso che se qualcuno dovesse decidere di cedermi a un altro club dovrebbe fare i conti con loro. Io comunque sono legato all’Udinese da un contratto di tre anni e intendo rispettarlo».
– Ma se l’Udinese, per ipotesi, decidesse di cederla a un’altra società italiana, in quale squadra preferirebbe giocare?
«Un’altra squadra italiana? Preferisco non parlare in termini di ipotesi. Sono qui con un contratto di tre anni, ripeto, mi trovo bene, intendo rispettarlo e penso che questo sia pure l’intento della società. Poi tornerò in Brasile a concludere la carriera… se mi vorranno ancora. Ma sarà nell’86, è presto per parlarne. Ed è inutile discorrere su delle ipotesi».
Di sicuro, comunque, adesso se ne fanno tante di ipotesi. Non appena rientrato dal Brasile, dove si trovava in vacanza a fine anno, il presidente Lamberto Mazza si è affrettato a smentire, ma Radio Fante ha continuato a emettere i suoi bollettini. C’è chi è pronto a scommettere che nel prossimo campionato Zico giocherà nella Juventus e c’è chi parla addirittura di un gruppo di giapponesi non meglio identificati disposti a rilevare la squadra; la fama di Zico è arrivata anche in Estremo Oriente, dove il calcio non è poi tanto popolare. Che vogliano comprare e smontare una squadra per scoprirne i segreti e riesportarla in Europa col marchio «made in Japan»? Dai giapponesi c’è da aspettarsi di tutto. Questa ridda di voci e di illazioni ha fatto scattare un’altra smentita da parte di Francesco Dal Cin, l’uomo che ha trattato l’ingaggio del brasiliano con la mediazione di Lamberto Giuliodori e ha inventato il marchingegno della «Grouping» per aggirare gli ostacoli legali e finanziari che si frapponevano all’operazione.

100 MILA DOLLARI. «Checchè se ne dica, l’operazione Zico non è affatto un fallimento sul piano economico – afferma il general manager dell’Udinese – Abbiamo incassato più di cinque miliardi solo con gli abbonamenti, la nostra quotazione internazionale è passata da 10 mila a 100 mila dollari a partita. Le voci sulla vendita della squadra possono essere semmai il riflesso di un fatto personale che non coinvolge l’Udinese come società, come azienda. Noi intendiamo continuare su questa strada, tant’è vero che stiamo già muovendoci nella stessa direzione in vista del prossimo campionato». Dove ci si sta muovendo e come? E Lamberto Mazza è andato in Brasile solo per una vacanza, come pretende la versione ufficiale, o per gettare le basi di un’altra clamorosa operazione? Anche a tal proposito girano le voci più disparate: si parla di un altro brasiliano, si fanno i nomi di Eder, di Balthazar, si fa un particolare il nome di Junior, che sarebbe il puntello ideale per una difesa un po’ allegra.

A proposito di questa difesa che si fa perforare con troppa facilità i tifosi chiamano in causa l’allenatore Enzo Ferrari e qualcuno dà per scontato il ritorno di Massimo Giacomini, ma, secondo altri ben informati, Giacomini ha già in tasca il contratto con la Fiorentina. Altre voci parlano di una possibile sponsorizzazione da parte della Coca-Cola; per Zico, che già prima dell’ultimo Mundial aveva prestato la propria immagine a una campagna pubblicitaria della Coca-Cola in Brasile, sarebbe un ritorno agli antichi amori. Se invece venisse confermato il trasferimento alla Juventus, Zico verrebbe a formare con Platini la coppia dì realizzatori più forte del mondo sui calci piazzati.
Al vecchio stadio Moretti, dove l’Udinese si allena durante la settimana, fra enormi cataste di casse di birra ammucchiate ai margini del campo, c’è l’attrezzatura occorrente per permettere a Zico di esercitarsi sulle punizioni dal limite: si tratta di sagome di legno di quattro giocatori affiancati che vengono disposte fra il tiratore e la porta. Un paio di volte la settimana, al termine dell’allenamento, Zico si trattiene sul campo con Edinho e qualche altro compagno ed effettua decine di tiri, tentando di aggirare la barriera. E come si arrabbia quando non ci riesce.

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IL SEGNO DI Z. Ogni campione lascia di sé un segno caratteristico – un gol segnato in un certo modo, un tiro, un gesto, un episodio – che ne definisce la personalità e lo stile e resta impresso nel ricordo degli sportivi anche oltre la fine della sua carriera. Zico è subito diventato famoso in Italia per i suoi tiri da fuori, la frase «Un tiro alla Zico» è ormai entrata nel linguaggio comune.
Ora il cannoniere brasiliano ha preso a segnare anche per interposta persona, quando costringe gli avversari a fare harakiri nell’affanno di bloccarlo, come è avvenuto recentemente ai difensori del Genoa; il gol più bello e spettacolare della sua ancor breve carriera italiana lo ha segnato probabilmente a Milano, nella Scala del calcio, con una stupenda rovesciata, ma la sua specialità restano ì tiri di punizione o comunque da fuori.
– Qual è il segreto di questi tiri? – gli chiediamo
«Non ci sono segreti. Probabilmente si tratta, come dire, di un dono naturale e io cerco di affinarlo esercitandomi continuamente. Per riuscire in questa specialità, come in tutte le cose del resto, il segreto in fondo è uno solo: lavorare, applicarsi, cercare sempre il meglio. E ci vogliono naturalmente due piedi buoni, come li chiamate voi».
– Si è letto sui giornali brasiliani che secondo certe malelingue (ce ne sono anche da voi, non solo in Italia) lei sarebbe un goleador casalingo, un cannoniere da Maracanà, che segna tanti gol sul proprio campo ma pochi in trasferta.
«In Brasile segnavo molto sia in casa che fuori. Qui ho segnato finora due gol a Genova, uno ad Avellino, due a Milano due a Catania; sette gol su quindici, dunque, li ho fatti in trasferta. Ma non voglio neanche rispondere a certe chiacchiere».
– Eppure meriterebbero una risposta.
«Senta, l’anno scorso il cannoniere dell’Udinese era Edinho, che ha segnato sette reti in tutto il campionato, quindi un bel bottino per un difensore. Io sono arrivato alla 3. di ritorno e tenga conto che per un certo periodo non ho potuto giocare al meglio perché non stavo bene. E poi un conto è giocare in una squadra che mira allo scudetto e un conto è giocare in un’altra squadra».
– Ad Avellino lei ha protestato contro il gioco duro degli avversari, ha detto che gli uomini di classe non sono abbastanza protetti dagli arbitri. Cosa pensa degli arbitri italiani? Meglio loro o i brasiliani? Se non fosse diventato una stella di prima grandezza nel firmamento calcistico – cosa senz’altro più vantaggiosa sia per la gloria sia per il denaro – forse Zico avrebbe potuto fare una brillante carriera diplomatica. Capisce e parla ottimamente l’italiano, non si sbilancia mai, risponde soppesando le virgole, non vuol mettersi in polemica con nessuno. Quando lo incontriamo per questa intervista, in compagnia di un amico brasiliano che lo fotografa per la rivista «Placar», ci chiede anzitutto con fare circospetto: «Ha portato il registratore?». Vuole che tutto sia chiaro, registrato e documentato, per evitare qualsiasi possibile contestazione.
«Ad Avellino – dice – ho parlato in quel modo dopo che erano avvenuti certi fatti spiacevoli, ma non è sempre così, altre partite sono del tutto normali. Preferisco non parlare degli arbitri, dobbiamo lasciarli lavorare in tranquillità. In Italia come in Brasile gli arbitri sono buoni, sono più o meno allo stesso livello».Salomone non potrebbe essere più imparziale
– La prima parte del campionato è stata caratterizzata da gravi episodi di violenza, negli stadi e sui terreni di gioco. Che impressione ne ha avuto?
«È un brutto momento, sono cose che non si devono ammettere, né in tribuna né sul terreno di gioco. Non mi piace quando lo sport degenera nella cattiveria. È comprensibile che un giocatore vada in campo già teso, ma non si può concepire che uno vada in campo già con l’idea di rompere un altro».

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FOLLIE. In Italia si esagera con le follie del tifo. Ma eravamo convinti che quanto succede qui da noi è ancora poco in confronto alle follie sudamericane. Invece questi brasiliani venuti in Italia a scoprire l’America sono convinti esattamente del contrario, sono loro a scandalizzarsi del nostro fanatismo da paese sudamericano.
– Che differenza vede tra il modo brasiliano di concepire il calcio e il modo italiano? Wagner Noaes dell’ambasciata brasiliana a Roma sostiene che in Brasile il calcio è ancora un gioco. Noi non possiamo dire certo la stessa cosa, più che un gioco ormai è un dramma.
«Quando si va in trasferta, qui in Italia, si gioca non per vincere ma per non perdere. Non parlo dell’Udinese, in genere lo fanno tutti, anche le grandi squadre, anche la Juventus e la Roma. E non sempre è il mister che dà questi ordini, sono i giocatori che lo fanno di loro iniziativa, è questione di mentalità. Nel Flamengo noi giocavamo sempre per vincere. In Italia si dà troppa importanza al risultato; ci sono molti giornali, tutti parlano molto di sport, tante pagine tutti i giorni. E non solo per il calcio ma per tutti gli sport. La mia impressione è che qui si tenda a drammatizzare più che da noi, forse si esagera».
Con questo sfogo Zico sveste per un attimo i panni del diplomatico, ma si affretta a indossarli di nuovo non appena gli chiediamo conto di quel noto battibecco in tv con un giornalista italiano.
– Che effetto le ha fatto apprendere che poi quel giornalista ha abbandonato il giornale sul quale aveva pubblicato l’intervista con lei?
«Affari suoi. Per quanto mi riguarda ha fatto una cosa che non mi è piaciuta e basta. Io ho un nome e voglio essere rispettato, come io rispetto gli altri».
– Ma queste cose non succedono anche in Brasile?
«A me no».
– Perché ha deciso di lasciare il Flamengo? E come mai tanti giocatori brasiliani lasciano il loro paese per venire in Italia? Solo questione di soldi?
«Ero convinto che il Flamengo non mi avrebbe mai ceduto, che avrebbe fatto di tutto per non rinunciare a me, considerato ciò che rappresentavo per il club e per il calcio brasiliano. Il Flamengo avrebbe potuto senz’altro recuperare i soldi che avrebbe speso per tenermi, non era questione di soldi ma di volontà. Ad ogni modo, ora sono contento; guadagno parecchio e questo mi ricompensa per tutto ciò che ho fatto in tanti anni di carriera. In Italia ci sono abbastanza soldi per pagare i giocatori che fanno da richiamo sul pubblico. In Brasile abbiamo giocatori, grandi stadi, grandi club ma le condizioni economiche non sono grandi. Se i club avessero i mezzi per pagarli, nessun giocatore lascerebbe il Brasile».

MUNDIAL. Sono trascorsi quasi due anni ma il ricordo brucia ancora. Parliamo dell’ultimo Mundial: nel trasferimento dal Brasile all’Italia molte cose sono cambiate per Zico, ma un’idea fissa gli è rimasta, che la sconfitta del Brasile con l’Italia nel Mundial di Spagna non è stata logica né giusta, i campioni «morali» sono loro, i brasiliani.
– Ora che conosce più da vicino il calcio italiano – gli domandiamo – riesce a trovare qualche spiegazione tecnica o tattica o psicologica, oltre quelle già risapute, alla sconfitta dell’82?
«Nessuna spiegazione. L’Italia non si aspettava di vincere e nemmeno di segnare due gol: ne ha fatti addirittura tre. Il maggior merito dell’Italia è stato quello di aver saputo sfruttare bene i nostri errori; quel giorno agli azzurri andava tutto bene, a noi andavano tutte storte. Nessuno può negare che il Brasile fosse la migliore squadra del Mundial, quella che praticava il gioco più spettacolare. Ma la colpa non è dell’Italia bensì della formula dei mondiali. Abbiamo assistito a un assurdo dopo l’altro: l’Italia non vince neanche una partita nel girone eliminatorio e arriva in finale; la Germania sembra già fuori e rientra pareggiando a quel modo con l’Austria: il Brasile domina, dà spettacolo e alla prima sconfitta deve tornarsene a casa. Tutto un assurdo, è la formula che va cambiata».
Non gli è andata giù, insomma, per il Mundial del Messico già spira aria di rivincita. Ma ci sarà una rivincita? E dove, in finale, in semifinale o nei quarti? Prima di parlare di rivincite bisogna arrivarci. È ancora presto per dirlo, ma col vento che tira sarà dura, dura per tutti. Per i campioni in carica e per i campioni «morali».