ZIDANE Zinedine: combat foot

Il genio non è cosa che si compri con i soldi o che si acquisisca per via chimica. Il genio ce l’hai o non ce l’hai. Yazid ce l’aveva

Quando Jean Varraud del Cannes lo vede giocare a 14 anni e ne resta colpito gli dicono: «Se lo prendi, è un violento». Invece ha visto giusto: quel ragazzino cresciuto sulle strade di Marsiglia è destinato a diventare un genio assoluto. Ha dispensato lampi di arte alternandoli a improvvisi blackout, dalle incornate mondiali del ’98 alla testata a Materazzi che ha cancellato il lieto fine nel 2006. Ma con lui funziona così, perché Zidane è stato l’alfa e l’omega, il giorno e la notte, il bianco e il nero. Come i colori con cui si è rivelato al mondo

Palla c’è, palla non c’è. La veronica, il gioco delle tre carte applicato al calcio. La sublimazione della finta. Tu difensore sei convinto di vedere il pallone, ma è un’illusione ottica, e quando ti accorgi di essere stato gabbato, il prestigiatore è volato via. La veronica era la specialità di Zinedine Zidane, seppure nella variante della “ruleta” che in spagnolo significa roulette. Non a caso Zidane ha sposato una ballerina di nome Véronique. Illusioni, sparizioni, passi danzanti. Sottile è il confine tra football, balletti e amore.

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Zidane è il terzo in piedi da sinistra con la fascia di capitano al braccio

La veronica non è cosa che si impari alle scuole calcio. E pura tecnica di strada. Muri, palazzi, auto parcheggiate di sghembo. Spiazzi di cemento e polvere tipo Place de la Tartane, periferia estrema di Marsiglia, quartiere La Castellane, dove Zizou è cresciuto. «Lì ho giocato sette anni per sei ore al giorno». Fino ai 10-11 anni, quando entra nel settore giovanile del Saint Henri, piccolo club locale, Zinedine non sa che cosa sia una squadra, un campionato. La strada, niente altro che la strada, dove lo chiamano Yazid o per brevità Yaz. «Una volta ero in campo a Lille, nel Nord della Francia. Non ero ancora famoso. Sentii un urlo dagli spalti: “Yaziiid!”. Io in partita ignoro le voci del pubblico, ma quel giorno mi voltai, cercai di dare un volto al grido. Inutilmente».

Yazid!, come il fischio di richiamo che il bandito Sante Pollastri rivolgeva a Costante Girardengo, e chi conosce la canzone interpretata da De Gregori sa di che cosa stiamo parlando. Yazid, come un califfo arabo di qualche secolo fa, riluttante a ogni ordine costituito. La strada, la cattiva strada. Combat foot, calcio da combattimento: per capire i colpi di testa dello Zidane adulto non bisogna scomodare la psicanalisi né andare in Algeria, basta fare un giro a La Castellane. Duri a Marsiglia, azione e reazione. Se a Place de la Partane fai una veronica, devi aspettarti che qualcosa ritorni indietro. Sgambetti, spintoni, pugni. Yazid si iscrive a un corso di judo, la cintura marrone gli procura libertà di veronica.

Yazid, figlio di Smail, guardiano notturno, e di Malika, arrivati in Europa nel 1953. Gente di Algeria, della Cabilia, la regione delle cinque tribù insofferenti ai romani colonizzatori. Rivoltosi nati, che non si piegarono neppure agli arabi e ai francesi. Poi immigrati, sopportati, relegati. «Ma io – avrebbe detto Zizou — sono nato in Francia e prima di tutto mi sento francese». Sul tema le fonti discordano. Secondo alcuni, in altre circostanze, Zidane ha asserito il contrario: «lo per prima cosa vengo dalla Cabila, poi sono un algerino di Marsiglia, infine un francese». Zidane in arabo significa «bellezza della religione». La Castellane e a seguire Cannes. Opposti estremismi. La malavita e il festival del cinema, il porto di Marsiglia e le luci della Costa Azzurra. E però al Henne Zidane accade l’imprevedibile. Ciao Place de La Tartane, si va sulla Croisette («Un giorno arrivai a 20 metri da Madonna e Michael Jackson»).

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Con la maglia biancorossa del Cannes

Yazid gioca nel Septèmes Les Vallons, quando lo convocano per uno stage al Centro di addestramento giovani calciatori di Aix-en- Provence. Qui il ragazzo incrocia l’uomo del suo destino, Jean Varraud osservatore del Cannes. Varraud è lì per studiare un’altra giovane promessa, certo Monachino, che però non si presenta. Varraud ha l’occhio clinico, gli bastano pochi minuti per intuire che la pepita è altrove. Yazid indossa la maglia numero 11 della selezione del Mediterraneo. Una trazione la gioca all’ala, un’altra in difesa come libero. Per colpa sua gli avversari, i ragazzi del Marsiglia, segnano due gol, perché Yazid dribbla tutti, e non tutti i dribbling riescono col buco. «Alla fine – avrebbe raccontato Varraud – attraversai il campo e dissi: “Mi interessa quel ragazzo’. Risposero: “Se lo pigli, è un violento . Non era cattivo. Era un guerriero del calcio di strada. Usava poco sinistro e colpo di testa, ma roteava il destro a una velocità impressionante». Visto, studiato, preso.

Via da La Castellane, via dalla famiglia. Zizou a Cannes va a vivere nella villetta di Jean Claude Elineau, dirigente della squadra, e di sua moglie Nicole, dipendente di una casa per anziani. Quasi un’adozione e non è gradevole la domanda che monsieur Elineau si sente rivolgere da un vicino: «Vi mettete un arabo in casa?». Madame Nicole diventa la seconda mamma di Zizou. «Pensavo che ognuno avesse diritto a una sola persona che ti sveglia in un certo modo e ti fa trovare tartine imburrate. Io ne ho avute due, però nella stanzetta della casa dei signori Elineau all’inizio io di notte piangevo».

Zidane cresce, nel fisico e sul campo, nel bene e nel male. Un giorno l’Auxerre offre a papà Zidane un pacco di milioni, ma a dire no è la signora Malika, mamma di Zizou. La madre ha capito che a casa Elineau il figlio non potrebbe stare meglio. Un altro giorno, durante un Nizza-Cannes, Zinedine cammina con calma da un’area all’altra. Una passeggiata, all’apparenza. Poi si para davanti a un avversario e lo abbatte con una testata. Il combat foot ce l’ha dentro, nel cuore e nell’anima, impossibile sopprimerlo.

Il debutto in Ligue 1, la Serie A di Francia, arriva il 18 maggio 1989 in Nantes- Cannes. Diciassette anni da compiere. «Ricordo che come compagni avevo i gemelli Vujovic. Corsi come un pazzo, ma quasi mai trovai il pallone». Zizou acerbo per il calcio dei grandi. Se ne riparla due anni più tardi, quando entra in pianta stabile nella prima squadra. Segna il primo gol da “prò” nel febbraio 1991 contro il solito Nantes, il club delle sue prime volte. Il presidente gli regala una Clio rossa. Cominciano a girare discorsi sul “nuovo Platini” del Cannes e Le Roi in persona rilascia alla rivista Onze una dichiarazione per niente proletica: «Non credo che Zidane sarà il nuovo Platini: io ero più concreto, i suoi gol sono eccezioni». La sindrome del maestro che soffre l’allievo. Lo stesso Platini non aveva notato Zidane tredicenne, durante un camp estivo.

Cannes è importante per un altro motivo: vicino al centro di formazione della squadra, Zizou conosce una giovane e bella ballerina della scuola di danza “Rosella Hightower”. Veronique, la donna della sua vita, che di cognome fa Fernandez Lentisco, perché la famiglia ha origini spagnole. La sposerà nel 1994 e insieme avranno quattro figli: Enzo, nato nel 1995 e così chiamato in onore di Enzo “El Principe” Francescoli, campione uruguaiano del Psg, dell’Olympique Marsiglia e del Cagliari, idolo dell’adolescente Yazid; Luca ( 1998); Theo (2002); Elyaz (2005).

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Agosto 1994: Zidane debutta in Nazionale segnando una doppietta alla Repubblica Ceca

Nell’estate del ’92 Zidane lascia la Costa Azzurra. Il Cannes lo cede al Bordeaux. Un affare un po’ così. Tre giocatori del Cannes — Zidane incluso — contro uno del Bordeaux e tre milioni di franchi. L’allenatore bordolese, Rolland Courbis, lo mette al centro del gioco e conia il soprannome di Zizou. Nasce il triangolo Lizarazu-Zidane-Dugarry. Nella Coppa Uefa ’96 il Bordeaux elimina il Milan e perde in finale contro il Bayern Monaco. Curioso che il Milan in estate vada a prendere l’attaccante Dugarry (un flop) e ignori Zidane, autore di un gol fantastico da 35-40 metri nei quarti di Uefa contro il Betis Siviglia. Zizou l’incompreso. «Dava l’impressione di essere grosso e lento – spiegherà Courbis -, ma bastava guardarlo bene per capire che sarebbe diventato un grande».

Così, in quell’estate del 96, Zidane viene acquistato dalla Juve per 10 miliardi di lire. L’impatto con Torino è difficile. Zinedine è schiacciato dai paragoni con Platini e dalla strisciante rivalità col giovane Del Piero. Perplesso Gianni Agnelli, noto “platinofilo”. Anni dopo l’Avvocato lo avrebbe infilzato con una delle sue battute: «Più divertente che utile». Timido Zizou, che in partita lascia battere le punizioni a Padovano «perché Michele ci tiene». Marcello Lippi lo invita a sfruttare di più il tiro. Alla lunga Zidane decolla. Giocate, assist e scudetti, però il bilancio è appesantito dalle due finali di Champions buttate via, una dietro l’altra, contro Borussia Dortmund ( 97) e Real Madrid (’98), e dal solito colpo proibito, la testata inflitta a Jochen Kientz, tedesco dell’Amburgo, “colpevole” del reato di marcatura aggravata durante una partita di Champions. Il combat foot è un’onda che viene e che va.

Zizou trova rifugio da Angelino, ristorante lungo il Po dove c’è una saletta riservata a lui. Il cuoco gli dedica un piatto, i rigatoni alla Zidane. Gli anni torinesi attraversano il suo primo Mondiale. Francia 1998, la Coppa del Mondo in casa. Zidane non si fa mancare nulla: l’espulsione contro l’Arabia Saudita per un brutto gesto a un avversario e la doppietta nella finale vinta 3-0 contro il Brasile. Coincidenza delle coincidenze, i gol ai brasiliani Zidane li segna con due colpi di testa, non proprio la specialità del repertorio. Di solito la testa è al servizio della metà oscura della sua luna, senza distinzioni di censo, scenari e mansioni. Yazid spara testate, a La Castellane e altrove: il destino è scritto e cambiarlo non si può.

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Durante le sue cinque stagioni alla Juventus arriva il Pallone d’oro nel 1998

A dicembre 98 arriva il Pallone d’oro. Logico, meritato. Meno scontata, nell’estate del 2001, la cessione al Real Madrid. E però la cifra è mostruosa: 150 miliardi di lire, e c’è chi dice qualcosa di più. Fiorentino Perez, presidente dei blancos, copre l’investimento con un nuovo grattacielo, la Torre Zidane, che campeggia nelle vicinanze della vecchia Ciudad Deportiva, assieme alle towers dedicate a Figo, Beckham e Ronaldo. L’affare lascia “vedovi” milioni di tifosi juventini, ma permette alla Juve di intascare una gigantesca plusvalenza, 15 volte la cifra pagata al Bordeaux nel 96. Il Real fa subito strike, vince la Champions League, con gol decisivo di Zizou nella finale di Glasgow contro il Bayer Leverkusen. Rete da copertina, tiro al volo di sinistro dalla distanza.

La Champions al primo colpo; la Liga di Spagna al secondo tentativo, nel 2003. La spinta propulsiva di Zidane al Real si esaurisce in fretta, di fatto Zizou madridista non va oltre questi subitanei exploit. Seguono stagioni di molta estetica (belle giocate abbondano) e di poca pratica (grandi vittorie scarseggiano). Qualcosa si rompe dentro Zidane. Non ha più gambe e voglia dei tempi migliori e nella primavera del 2006 fa un annuncio choc su Canal Plus: «Gioco il Mondiale in Germania e mi ritiro. Col Real ho risolto il contratto».

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Berlino 2006: game over

Nove luglio 2006, stadio Olimpico di Berlino. Italia-Francia finale del Mondiale. La Francia è stata trascinata fin lì da Zizou, autore del decisivo rigore contro il Portogallo in semifinale. E dal dischetto Zinedine porta avanti la Francia contro l’Italia. Fallo di Materazzi su Malouda c “scavetto” alla Panenka (o alla Totti) di Zidane. Gli azzurri pareggiano con Materazzi, bella incornata su corner di Pirlo. Gol di Zidane, gol di Materazzi. Strano, ma vero. L’insolito duo si rimpossessa della cronaca nei supplementari, al 111′. In mondovisione passa un replay: si vede Zidane che con una testata abbatte Materazzi. Combat foot al Mondiale. Poi l’arbitro, l’argentino Elizondo, su segnalazione del quarto uomo, lo spagnolo Medina Cantalejo, espelle Zidane, che sfila davanti alla Coppa e imbocca il tunnel degli spogliatoi. Comincia il tormentone: che cosa ha detto Materazzi a Zizou per provocarne una reazione così eclatante? L’Italia vince il Mondiale ai rigori, ma al mondo importa soltanto una cosa: che gli ha detto?

Congetture, ipotesi, allucinazioni. C’è chi parla di uno Zizou nervoso: la prima avrebbe litigato con la moglie.
«Avete notato — aggiungono – che non aveva la fede al dito?». Dimenticano che per regolamento in campo non si possono portare anelli, collane e monili. Altri vanno sul classico: figlio di puttana. Malika, la mamma, minaccia di evirare Materazzi. C’è chi vaneggia di undici settembre o di Islam. La verità viene fuori tempo dopo, nella biografia di Materazzi («Una vita da guerriero») scritta dai giornalisti Andrea Elefante e Roberto De Ponti. Il difensore dell’Inter rivela: «A Zidane dissi: “Preferisco la puttana di tua sorella ». Ricapitolando: Zizou si irrita per la rigida marcatura di Materazzi, che lo strattona e lo tiene per la maglia. Tipiche carezze all’italiana, come Gentile con Maradona e Zico al Mondiale ’82. Zidane si risente e lo deride: «Vuoi la maglia? Te la regalo dopo, negli spogliatoi». Materazzi risponde con la frase di cui sopra: «Preferisco la puttana eccetera eccetera». La sorella si chiama Lila e all’epoca della zuccata ha 37 anni, tre più di Zizou. Una bella donna, sola femmina tra cinque fratelli maschi. Legatissima a Zinedine, da bambini i due litigavano come cani e gatti, ma stavano sempre assieme. Diplomata in inglese, è l’unica della famiglia ad aver frequentato l’università. Chi tocca Lila “muore”. Così si spiega la capocciata di Zizou in faccia al mondo, e La Castellane di Marsiglia è l’unico posto in cui la gente non si chieda: «Perché l’ha fatto?».

A novembre del 2010 Zidane e Materazzi si rincontrano nel parcheggio di un hotel di Milano, in zona Fiera. Un incontro casuale. O forse no. Da un certo momento in poi Materazzi sapeva che avrebbe trovato Zidane. Qualche parola, una stretta di mano. Né giornalisti, né fotografi. Loro due soli. Materazzi racconta: «Ci siamo detti cose che sappiamo io e lui, che restano tra noi. Diciamo che sono stato io a parlare di più e quando lui alla fine mi ha allungato la mano, io l’ho tenuta stretta e non l’ho mollata finché non mi ha guardato bene in faccia. Era quello che volevo. E andata così: per me è stato bello, per lui non so». Zidane è stato un fuoriclasse inimitabile e un personaggio discusso. La giornalista Besma Lahouri gli ha dedicato un libro- inchiesta, «Zidane, una vita segreta», edito in Italia da Marsilio. L’abbiamo letto, non vi abbiamo trovato nulla di sconvolgente. E permaloso: e chi non lo è? È attaccato ai soldi: conoscete qualcuno che li disprezzi? Ha qualche scheletro nell’armadio in tema di vita privata: scagli la prima pietra chi è puro come un giglio.

Zidane è stato l’alfa e l’omega, il giorno e la notte, ma la veronica, il suo tocco d’artista, era sincera. Il genio non è cosa che si compri con i soldi o che si acquisisca per via chimica. Il genio ce l’hai o non ce l’hai. Yazid ce l’aveva, a La Castellane come a Berlino.