ZITO: Il Direttore

Il leggendario “Gerente” del Santos, ridefinì il ruolo del mediano negli anni ’60 combinando leadership e talento. Bicampione mondiale con il Brasile, fu pilastro di uno dei più grandi team di sempre.

José Ely de Miranda, meglio conosciuto come Zito, nacque il 18 agosto 1932 a Roseira, una piccola città vicino ad Aparecida do Norte, nello stato di San Paolo. I suoi genitori lo chiamavano affettuosamente Joselito, presto abbreviato in Zito. Fin da giovane dimostrò una straordinaria disciplina e determinazione nel perseguire il suo sogno di diventare calciatore, un obiettivo che non nascose mai alla sua famiglia.

Durante l’adolescenza, si distinse come “organizzatore” naturale, coordinando frequenti trasferte con gli amici del quartiere per partecipare a tornei nelle città vicine come Caçapava, São José dos Campos e Taubaté. Era lui a gestire il “transfer” da una città all’altra, arrangiando passaggi sui camion di conoscenti e amici, mostrando già quelle doti organizzative che lo avrebbero contraddistinto in futuro.

Alla fine degli anni ’40, il trasferimento a Pindamonhangaba segnò l’inizio della sua ascesa. Dopo aver giocato per il São Paulo locale e l’Estudantes de Pinda, le sue prestazioni attirarono l’attenzione del Taubaté, che gli offrì il suo primo contratto da professionista. Qui Zito costruì la sua reputazione di mediano completo: oltre a essere un eccellente recuperatore di palloni, impressionava per la capacità di costruire gioco e spingersi in attacco. La sua voce in campo e la sua leadership naturale contagiavano i compagni, e presto la sua fama si diffuse in tutta la Valle del Paraíba. Nessuno in quella regione giocava meglio di lui a centrocampo: i suoi passaggi precisi e la sua lettura del gioco erano fuori dal comune.

L’arrivo al Santos

Nel 1952, quando i dirigenti del Santos si recarono a Taubaté per vederlo giocare, scoprirono che il Palmeiras era già interessato al giocatore, ma offriva un pagamento dilazionato. Il vicepresidente del Santos, Modesto Roma, agì rapidamente e chiuse l’affare con un pagamento cash, assicurandosi quello che sarebbe diventato il più grande mediano nella storia del club.

L’allenatore del Santos Aymoré Moreira lo sperimentò in vari ruoli – terzino, difensore centrale e centrocampista offensivo – in una fase di adattamento che mise alla prova la pazienza di Zito. La svolta arrivò quando un infortunio di Hilton Alves gli aprì le porte della titolarità nel suo ruolo naturale di mediano. In quel periodo, Antoninho Fernandes era il punto di riferimento del Santos, e la sua leadership fu fonte di ispirazione per Zito, che ne assimilò lo stile di comando e la capacità di guidare i compagni.

Le sue caratteristiche tecniche si affinarono ulteriormente: era imbattibile nei recuperi palla, dominava nei duelli aerei, eccelleva nelle transizioni dalla difesa all’attacco e mostrava una precisione chirurgica nei passaggi con il piede destro. L’unico “difetto” era il piede sinistro, che lui stesso definiva scherzosamente “cieco”, compensando questa limitazione con una straordinaria abilità con il destro.

L’era d’oro dei Peixes

Il primo titolo con il Santos arrivò nel 1955 con la vittoria del Campionato Paulista, giocando al fianco di campioni come Del Vecchio, Vasconcelos e Pepe, quest’ultimo diventato uno dei suoi più cari amici. Fu proprio Pepe a dargli il soprannome di “Chulé” (piede puzzolente), un aneddoto che testimonia l’atmosfera cameratesca di quella squadra.

Ma la vera svolta avvenne nel 1956 con l’arrivo di un giovane fenomeno chiamato Pelé. L’aggiunta progressiva di altri talenti come Dorval, Mengálvio e Coutinho trasformò il Santos in una macchina da calcio perfetta. Sotto la guida dell’allenatore Lula, Zito divenne capitano e leader indiscusso. Era lui il tramite tra l’allenatore e la squadra, trasmettendo le tattiche ai compagni e, quando necessario, modificando autonomamente lo stile di gioco.

I suoi rimproveri in campo erano leggendari: non risparmiava nessuno, nemmeno Pelé, soprattutto quando il Re del calcio esagerava con i dribbling. “Solta a bola, negão!” (Passa la palla, negro!) era il suo grido caratteristico. Nonostante la durezza dei suoi interventi verbali, il suo obiettivo era sempre mantenere alta la concentrazione della squadra e la fame di vittorie, anche quando il risultato era già acquisito.

I trionfi internazionali

Il periodo tra il 1952 e il 1967 vide il Santos dominare il calcio mondiale sotto la guida di Zito. Il palmares è impressionante: due Coppe Intercontinentali, due Coppe Libertadores (fu il primo brasiliano a sollevare questo trofeo come capitano, entrambe le volte in trasferta), cinque Taça Brasil e nove Campionati Paulista.

Un episodio che illustra perfettamente il suo carattere avvenne nel 1967 durante una partita in Germania. Con il Santos sotto 4-1 nel primo tempo, Zito, che era in panchina per un leggero infortunio, si infuriò nell’intervallo e convinse l’allenatore Lula a farlo entrare. La sua presenza in campo galvanizzò la squadra che completò una rimonta straordinaria vincendo 5-4.

Un altro momento significativo fu durante le finali della Coppa Intercontinentale del 1963 contro il Milan. Pur infortunato e impossibilitato a giocare le partite decisive al Maracanã, Zito restò vicino alla squadra, assistendo l’allenatore Lula con consigli tattici e supportando moralmente i compagni. Il Santos vinse entrambe le partite (4-2 e 1-0), confermando l’importanza della sua leadership anche fuori dal campo.

La gloria con la Nazionale

Il cammino di Zito con la Seleção iniziò nel 1955, ma fu la Coppa del Mondo 1958 in Svezia a segnare il suo definitivo ingresso nell’olimpo del calcio brasiliano. Dopo aver assistito dalla panchina alle prime due partite del torneo – una vittoria per 3-0 contro l’Austria e un pareggio a reti inviolate con l’Inghilterra – il tecnico Vicente Feola decise di rivoluzionare la squadra. Contrariamente a quanto sostenuto da alcune leggende, lo stesso Zito ha sempre smentito che ci fossero state pressioni dei giocatori per modificare la formazione. Fu una decisione tecnica che portò all’inserimento simultaneo di tre giocatori destinati a fare la storia: Pelé, Garrincha e Zito.

Da quel momento, la nazionale brasiliana divenne inarrestabile. Vinse consecutivamente contro l’URSS (2-0), il Galles (1-0), la Francia (5-2) e infine la Svezia in finale con un perentorio 5-2. L’ingresso di Zito fu favorito anche dall’infortunio di Dino Sani, titolare nelle prime due partite. Con il “Gerente” in campo, il Brasile guadagnò solidità nei recuperi palla e maggiore intensità nel supporto alla fase offensiva, permettendo anche a Didi di spingersi più frequentemente in avanti.

Ma fu nel Mondiale del 1962 in Cile che Zito raggiunse l’apice della sua carriera internazionale. Formando una coppia di centrocampo perfetta con Didi, fu protagonista di una competizione straordinaria. Il momento più alto arrivò nella finale contro la Cecoslovacchia, in una partita che lo consacrò definitivamente. Con il Brasile in svantaggio per 1-0, Zito si rese protagonista di un’azione che cambiò il corso della storia: recuperò palla nella propria metà campo, avanzò con determinazione superando diversi avversari, scambiò con Amarildo e si inserì in area per colpire di testa, segnando il gol del 2-1. Quella rete fu decisiva per indirizzare la partita verso il 3-1 finale firmato da Vavá, consegnando al Brasile il suo secondo titolo mondiale consecutivo.

La rete di Zito nella finale del 1962

La prestazione di Zito in quel mondiale fu talmente impressionante da valergli l’inclusione nell’All-Star Team del torneo e nel World XI della prestigiosa rivista World Soccer. Dei 51 incontri disputati con la maglia della nazionale, segnò solo tre gol, ma quello nella finale del ’62 vale quanto una carriera intera.

In nazionale, Zito ebbe il privilegio di giocare al fianco di autentiche leggende come Gylmar, Djalma Santos, Nilton Santos, Didi, Garrincha, Zagallo, Pelé e Vavá. Pur trovandosi in una squadra piena di capitani nei rispettivi club, mantenne il suo stile di gioco caratteristico, anche se, come ricordava scherzosamente il compagno Pepe, “nella nazionale gridava come sempre, ma gli altri gridavano anche contro di lui!“.

Fu convocato anche per il Mondiale del 1966 in Inghilterra, ma non scese mai in campo in quella che fu una delle più deludenti spedizioni mondiali della storia del Brasile, con l’eliminazione già nella fase a gironi. Nonostante questo finale amaro, il suo contributo alla nazionale brasiliana rimane indimenticabile: fu uno dei pochi giocatori capaci di vincere due Mondiali sia con la nazionale che a livello di club, un’impresa che sottolinea ulteriormente la sua grandezza.

L’eredità del “Direttore”

Nel novembre del 1967, in una calda serata allo stadio Presidente Vargas, Zito chiuse il suo capitolo da calciatore come lo aveva sempre vissuto: da protagonista. Fu una goleada per 5-0, l’ultima delle 733 battaglie con la maglia del Santos, l’ultimo dei suoi 57 gol. Ma per il “Gerente” (Direttore) non era un addio, solo un cambio di prospettiva.

La sua seconda vita nel calcio lo vide trasformarsi da generale in campo a stratega dietro le quinte. Negli uffici della Vila Belmiro, il suo sguardo esperto continuava a cercare quei lampi di genio che aveva imparato a riconoscere in decenni di carriera. Fu così che un giorno, osservando un ragazzino di undici anni, il suo istinto gli suggerì di aver trovato qualcosa di speciale: quel bambino si chiamava Neymar.

“Gerente” non era solo un soprannome: era l’essenza stessa di Zito. Ridefinì il ruolo di mediano con una visione rivoluzionaria: le sue progressioni palla al piede, i suoi inserimenti letali, la capacità di orchestrare il gioco erano qualità rare per un centrocampista degli anni ’60. Ma era la sua leadership a renderlo unico: quella voce tonante che sapeva essere più efficace di qualsiasi tattica disegnata sulla lavagna.

Quando nel giugno 2015, a 82 anni, un ictus lo portò via, non se ne andò solo un ex calciatore: si spense una delle ultime luci di un calcio romantico ed eroico, dove la tattica si mescolava all’arte e dove un mediano poteva essere poeta. Il Santos degli anni ’60, quella macchina perfetta che incantò il mondo, aveva in Zito il suo motore nascosto, il suo cervello pensante, il suo cuore pulsante. Era l’equilibratore perfetto: grinta e classe, durezza e eleganza, disciplina e creatività. In un calcio sempre più specializzato, la sua figura poliedrica rimane un unicum irripetibile.