22 ottobre 1967: nasce la moviola

Quasi per caso uno strumento di lavoro diventò l’occhio per analizzare i casi controversi di una partita. Si partì da un “gol-non-gol”. Nessuno lo sapeva, ma quella sera cambiò il calcio

Nessuno se ne era accorto, ma era sempre stata lì, sotto i nostri occhi. Moviola, una parola che nasce da un marchio americano (movie, film) e diventa un nome comune, indicava in origine l’apparecchio usato per il montaggio dei film, per scegliere le scene migliori tra quelle girate. Poiché il calcio veniva ancora ripreso su pellicola, il primo servizio televisivo su una partita (e tutti quelli successivi fino al 22 ottobre 1967) era stato sottoposto alla moviola senza che nessuno pensasse di usare il termine per indicare l’effetto prodotto dall’apparecchio, cioè la visione fotogramma per fotogramma.

Fu una strana coincidenza (o un disegno astrale perverso?) che quella sera del 22 ottobre 1967 Carlo Sassi ed Heron Vitaletti notassero qualcosa di diverso in un’operazione abituale. Ma così succede spesso, come quando qualcuno ha avuto l’idea di abbinare melone e prosciutto…

Avanzo di un fotogramma… torno indietro di un fotogramma… avanzo… indietro… avanzo… No, quel gol di Rivera che secondo l’arbitro D’Agostini di Roma aveva pareggiato il vantaggio dell’Inter di Benitez nel derby di andata proprio non sembrava essere valido. Una curiosità: in quella stessa quinta giornata di andata (la prima dopo la morte di Gigi Meroni) si disputò anche il derby di Torino (4-0 per i granata, tre gol di Combin), una coincidenza che i moderni signori dei palinsesti non sarebbero mai disposti a tollerare.

Il derby Inter-Milan, terminato 1-1 dopo un “gol-non gol” di Gianni Rivera.

Ma torniamo a noi. La moviola, che all’inizio interveniva solo in presenza di episodi controversi, diventò presto un appuntamento fisso. I radiocronisti sempre più spesso si astenevano rinviando la sentenza alla prova delle prove, un giudizio di dio preteso infallibile, in realtà poco più di una superstizione idolatra. Vittime prescelte erano quasi esclusivamente gli arbitri, occultando la tara originaria del “ralenti”: l’analisi fotogramma per fotogramma dilata il tempo della decisione, ma nell’immaginario la relazione si ribalta e l’irreale diventa reale. Pezzo forte i rigori concessi o negati. Talvolta si poteva discutere un fuorigioco, che all’epoca era un evento assolutamente episodico: la tattica omonima era di là da venire, come la distinzione tra attivo e passivo che ha introdotto una pericolosa dose di discrezionalità nelle precedenti certezze: o di qua o di là e in linea si era già punibili.

La Rai non è stata esente da colpe, ma il cambiamento più radicale è stato causato (non solo dalla moviola) dall’arrivo della televisione definita commerciale e dalla conseguente gara a stimolare le pulsioni più basse dello spettatore. L’emittente pubblica ha inaugurato, con il “Processo del Lunedì”, l’era della chiacchiera sicuramente inutile e spesso volgare. Nato da un’idea di Enrico Ameri, che probabilmente l’aveva presa da quello zavoliano alla tappa che come inviato di ciclismo aveva seguito, il processo si è progressivamente snaturato. Ben presto, con la completa biscardizzazione, si è verificato il rovesciamento totale: non era più la partita a “giustificare” la moviola ma il contrario. Mediaset (che forse allora non aveva ancora questo nome) replicò con l’appello del Martedì e solo la fortuna (o le coppe europee) ci ha risparmiato dalla cassazione del Mercoledì e via procedendo.

Il gol di Turone, simbolo della moviola

La moviola divenne così il centro della chiacchiera istituzionale: non era più il sobrio strumento tecnico che permetteva a un arbitro come Lo Bello (nel senso di Concetto) di riconoscere l’errore, ma una religione con i suoi sacerdoti e i suoi profeti. Nacque allora la mania necrofila che trasformò via via giornalisti, a volte anche bravi, poi sempre più spesso ex arbitri, spesso mediocri, in tante imitazioni di un medico legale (quello che fa le autopsie, insomma) alla frenetica ricerca del dettaglio decisivo, sapendo bene che più che trovare era importante cercare, creando una nuova professione: il moviolista. Parallelamente si è sviluppata la sottospecie del commentatore, lamentatrici e coristi il cui unico scopo era di piegare una realtà già virtuale al proprio desiderio o, più spesso, alla propria parte ben identificabile. La metastasi finale è stata l’eterodirezione di stampo moggiano, con uno schema, se non addirittura una sceneggiatura, per sostenere le ragioni della parte finanziatrice: il falso non per tifo (se mai era accaduto) ma per interesse.

Nell’ansia moltiplicatrice, la moviola è arrivata a scontrarsi con il proprio limite intrinseco: non si può andare oltre l’unità minima del singolo fotogramma. Poteva essere la fine o, almeno, una ripresa di senso, e invece ecco il capolavoro: il passaggio all’interpretazione di ciò che né la pellicola né il successivo supporto magnetico possono registrare: le intenzioni. Voleva prendere la palla, il fatto che tra il suo piede e quella ci fossero una tibia e un perone è un danno collaterale…

In realtà ci furono almeno un paio di tentativi precedenti di accedere all’ipervirtuale. Verso la metà degli anni ’80 si sperimentò il “telebeam”, un computer grafico di origine militare, capace di trasformare in tre dimensioni una ripresa a due, mostrando le “soggettive” dei protagonisti, dell’arbitro, del guardalinee, del giocatore. Una serie di universi paralleli, una sorta di “Rashomon” calcistico che finiva per allontanare la verità invece di avvicinarla. Un’evoluzione (?) di quell’operazione fu il cosiddetto “Moviolone” di Biscardi: ancora lui che anche nel suo crepuscolo invocava la moviola in campo, forse anticipando il titolo di una futura trasmissione de La 7: “Le partite non finiscono mai”.

Naturalmente (e fortunatamente) nessuna moviola ha mai potuto cambiare la storia o correggere un solo torto: lo sapevano tutti, ma forse l’obiettivo, di alcuni se non di tutti, era piuttosto quello di condizionare il futuro, attribuendo crediti da saldare. Una rivincita, seppur in incognito, la tv se l’è presa quando, al mondiale 2006, ha costretto chi non aveva visto (arbitro, segnalinee e quarto uomo) a espellere Zidane.

Poi dalla stagione 2017/18 è finalmente arrivato il VAR: abbiamo passato ben 50 anni esatti assieme alla moviola. Non sappiamo se Carlo Sassi, la sera del 22 ottobre 1967, abbia gridato “Eureka” come Archimede. Ma nemmeno la mitologia ci dice cosa abbia detto Pandora quando ha aperto il suo vaso maledetto. Quel che è certo è che, a distanza di quasi sessant’anni, l’invenzione della moviola assomiglia più al secondo episodio che al primo. Sassi e Vitaletti, per citare Faber in una canzone del maggio, altro legame con il Sessantotto, “per quanto voi vi crediate assolti, siete per sempre coinvolti”.