Alto e bello (?), scoperto da Fulvio Bernardini e ieri uno dei «big» del Brescia, oggi è approdato alla corte di Fraizzoli e Mazzola con una valutazione da capogiro: un miliardo e mezzo. Ma Altobelli è pronto a giurare che con lui la squadra ritroverà certamente a fisionomia dei tempi migliori e verrà la riscossa. In altri termini, il ventiduenne di Sonnino è sicuro che i nerazzurri cambieranno faccia…
Il beauty-case dell’Inter
MILANO – Di Alessandro Altobelli, ventiduenne di Sonnino, un piccolo borgo in provincia di Latina, il primo estimatore rimane Fulvio Bernardini (l’attuale Direttore Generale della Sampdoria) che avallò il suo acquisto quando ricopriva carica analoga nel Brescia. Su segnalazione di Lamberti, l’ex Commissario Tecnico della Nazionale si recò a Latina a visionare la giovane «promessa»: era il 73 ed il ragazzo, diciassette anni appena compiuti, aveva debuttato da poco in serie C con la squadra laziale. A «Fuffo» quel giovane alto e filiforme piacque molto, a tal punto – anzi – che lo volle subito con sé in riva al Garda. Una volta di più Bernardini non sbagliò diagnosi: a dispetto, fra l’altro, dei dirigenti interisti i quali non ritennero, allora, il giovane attaccante degno di far parte del clan nerazzurro.
Eppure, qualche tempo più avanti Altobelli avrebbe compiuto proprio con l’Inter quel salto di qualità capace di caratterizzare e qualificare tutta quanta la sua carriera, ancora in pectore. Dell’importanza del suo acquisto è testimone lo stesso programma di lavoro che l’Inter e i suoi nuovi dirigenti (Mazzola e Beltrami in primis) intendono portare avanti e che ha avuto inizio proprio con l’ingaggio di Altobelli. Il quale è stato valutato mica poco se è vero (come lo è certamente) che al Brescia sono andati, oltre a Martina, Guida, Mutti e Magnocavallo, ben seicento milioni.
In altre parole l’attaccante di Sonnino è stato valutato oltre un miliardo e mezzo: il che, se responsabilizza oltre misura non reca certo dispiacere ad un giovane di ventidue anni. Al di là, comunque, dei segni che compaiono sulla sua schedina personale, chi è questo Alessandro Altobelli, di professione calciatore di punta? E’ un ragazzo introverso e pacato, estremamente equilibrato, a cui la paternità ha recato precoce maturità e che i fasti della cronaca non hanno affatto intaccato. «La popolarità – dice – non mi infastidisce, tutt’altro. Penso, infatti, che sia un fatto positivo per chi ha intenzione di fare carriera. Soprattutto, poi, nel mondo del calcio.
Dispiace, invece, che qualche suo collega, magari per fare sensazione, riporti il pensiero in maniera sbagliata. Oppure faccia dei titoli che nulla hanno a che vedere con l’articolo cui si rivolgono». Altobelli si riferisce, in particolare, (anche se non lo dice apertamente) alla «Gazzetta dello Sport» che, un paio di settimane fa, ha così titolato in prima pagina: «L’Inter nasconde un asso. La risposta di Altobelli: risparmiate, basto io».
Con la logica conseguenza che alcuni compagni di squadra lo hanno già criticato prima di conoscerlo da vicino.
«All’Inter – aggiunge l’ex bresciano – penso di poter fornire un buon contributo. Non credo, però, di poter essere considerato il “Salvatore della Patria” neroazzurra; tanto più che Mazzola ha lasciato l’attività agonistica.
Devo conquistarmi – anzi – il posto in squadra e far fronte alla concorrenza di Muraro, Anastasi e Pavone».
– Cosa ne pensi della tua nuova squadra…
«Non posso rispondere con precisione alla domanda perché l’Inter l’ho potuta vedere solo in televisione. Non la reputo, comunque, in grado di minacciare, fin da quest’anno, le due torinesi. Ha buone prospettive, questo sì».
– E di Bersellini cosa ne dici?
«E’ un ottimo tecnico, e l’ha dimostrato dovunque è stato chiamato a guidare una squadra. Predica un calcio totale, a tutto campo, con ampia utilizzazione delle fasce laterali. Dovrei trovarmi bene perché non sono una punta che aspetta il pallone in area di rigore».
– Tecnicamente, come ti definisci?
«Un attaccante di movimento a cui piace giocare la palla: parto da lontano, infatti, per rendermi più utile alla squadra e per creare difficoltà di marcamento al mio avversario. Sono tutto l’opposto, insomma, del centravanti-boa. Eppoi il calcio statico non mi soddisfa proprio…».
– Con chi ti piacerebbe fare coppia?
«Non so, al momento almeno, perché non ho avuto modo di conoscere sul campo i miei nuovi compagni di squadra. In ogni caso non potrei rispondere senza veli. Per diplomazia, se non altro».
– Con Muraro, però, potresti costituire una formidabile macchina da goal. In grado di far concorrenza ai «gemelli» di Toro e Juve, soprattutto nel gioco aereo…
«Esiste questa possibilità, tanto più se giungeranno molte palle in area di rigore dalle fasce laterali».
– Vuoi forse dire che preferiresti giocare con due ali di ruolo ai fianchi?…
«No, di certo, anche perché sì perde in incisività: un uomo solo, in mezzo alla difesa avversaria, viene facilmente soverchiato. Lo schema migliore è il solito: un’ ala tornante e due punte centrali in continuo movimento. Con gli altri pronti ad occupare gli spazi che si rendono liberi vicino alla linea dell’out. E noi, di questa gente, dovremmo averne molta a disposizione: Fedele, Oriali, Marini, Canuti».
– Di te potrebbe dirsi, con frase breriana, che somigli molto ad un «abatino»: lo dice pure il peso forma, appena 68 kg. per un metro e ottanta di altezza. Nei tackles, a proposito, come te la cavi?
«Paura non ne ho di certo, e poi sono molto meno fragile di quanto possa apparire. Nelle tre stagioni che ho trascorso ai Brescia mi sono irrobustito notevolmente tanto che, in area di rigore, so farmi rispettare a sufficienza».
Come afferma, d’altra parte, lo stesso Bernardini a cui è rimasto impresso, dell’Altobelli «prima maniera», la determinazione, pari all’eleganza, con cui il giovane sa districarsi in ogni parte del campo, incluse le «zone calde».
– A Brescia sei diventato qualcuno: ti senti di dover qualcosa a questa città e alla tua ex-società?
«Davvero molto, perché se fossi rimasto a Latina non sarei arrivato all’Inter ed alla serie A. Voglio dire, con precisa cognizione di causa, che al nord esistono maggiori possibilità di porsi in evidenza. Il calcio che conta è intorno a Torino e a Milano. E’ qui l’occhio del ciclone».
– Due anni fa hai realizzato undici reti in ventisei partite, ed il Brescia ha fallito di poco la promozione in «A»; la stagione scorsa sei andato a rete tredici volte in trentatré incontri aiutando la tua squadra ad evitare la retrocessione. Ti ritieni soddisfatto del tuo operato?
«Senz’altro anche se, fra le due annate, preferisco la seconda: ho giocato di più ed ho segnato di più: eppure la squadra s’è comportata peggio dell’anno precedente. Posso dire dì essere maturato e di aver mostrato una maggiore costanza dì rendimento».
– Perché?…
«Perché ho avuto completa fiducia in me stesso e nei miei mezzi; e di questo, devo ringraziare colei che sposerò fra breve e che già mi ha regalato una splendida bimba. Pensare a loro, alla mia ragazza e a mia figlia voglio dire, mi ha notevolmente responsabilizzato sotto ogni aspetto».
– A quali interessi ti dedichi quando non pensi al calcio?
«II fatto è che il calcio è in cima ad ogni mia riflessione: devo molto a questa mia professione ed è giusto che la rispetti c’è poi il fatto che mi piace immensamente starmene a casa dove trascorro molto tempo a leggere. Altri hobbies? Gioco a tennis e vado a caccia».
– Ti sei posto il problema di cosa farai dopo aver abbandonato l’attività agonistica?
«Ancora no: mi sembra troppo presto. Potrei coadiuvare il fratello del presidente del Brescia, Francesco Saleri, in qualcuna delle sue imprese commerciali. Con lui vado molto d’accordo: siamo stati assieme pure in Messico di recente».
– C’è un momento della tua vita di calciatore che ricordi con maggiore piacere?
«Può sembrare strano, ma mi riferisco ad una partita che il Brescia ha perso, contro il Genoa, per cinque a due: fu in quell’occasione – credo – che mi rivelai un attaccante completo e che giocai davvero ad alto livello. Segnai pure un gol: l’altro lo mise a segno Beccalossi».
– Con quali dei tuoi ex compagni di squadra ti sei trovato meglio sotto il profilo agonistico?
«Con Tedoldi ho formato un buon tandem; ci integravamo a vicenda. Lui mi apriva i varchi, e, non essendo molto egoista, mi forniva preziosi palloni. Poi è stato ceduto perché il pubblico non lo poteva soffrire: forse non è stato apprezzato a dovere per la sua mancanza di stile. In squadra, però, il suo apporto si faceva sentire. Eccome…».
– E fuori dal campo…
«Sono andato d’accordo un po’ con tutti: in particolare con Cagni, Berlando, Beccalossi, Biancardi. Solo che, dopo gli allenamenti o le partite, non si è mai stati molto tempo assieme perché preferivo tornarmene a casa».
– Sei ambidestro, sei forte di testa, tratti con sussiego la palla, vedi il gioco: ti reputi un campione?
«Neanche per idea: voglio sfondare, questo sì, ma, in particolare, desidero appagare le aspettative dei tifosi e di tutti coloro che mi hanno voluto all’Inter».