GIANCARLO ANTOGNONI – Settembre 1978

Il «piede buono» per eccellenza ha ritrovato, dopo un Mundial sfortunato giocato con un piede solo, la condizione fisica migliore e il morale giusto per tentare una rivalutazione del proprio mito. In questa intervista-confessione, durante la quale tocca temi e personaggi i più vari, esprime la convinzione di vincere un campionato in viola e uno… in azzurro

Antognoni «europeo»

FOSDINOVO è forse l’angolo più bello dell’antica Lunigiana, da Sarzana si sale in mezzo a bo­schi che invitano a cercare fun­ghi e fagiani. Le trattorie co­stringono il turista a fermarsi, lo attirano con i testaroli, i salu­mi genuini e un vinello che dà allegria. A Fosdinovo c’è il ca­stello dei Malaspina, ricco di sto­ria e di arte. Il «Don Rodrigo» è ancora più in alto, costruito alla maniera dei castelli. Sul terrazzo sventola la bandiera viola, quella della Fiorentina. In giardino Gian­carlo Antognoni si confessa al cronista, dopo la resurrezione.

L’ incubo è finito…
«Sì, ho avuto paura. Ma per for­tuna tutto è passato. Al Torneo del Tirreno mi sono convinto di essere tornato quello di prima».

– Tarsalgia, cos’era costei?
«Sono andato pure a leggerlo nel vocabolario, me la sognavo gior­no e notte, avevo paura di dover continuare a giocare con una gamba sola, come in Argentina».

– A proposito: Bernardini ha detto che avresti fatto meglio a non andarci.
«Me l’aveva consigliato anche Chiappella, che era il mio alle­natore. Ma santo cielo, come si fa a rinunciare ad un Mondiale? Eppoi Bearzot mi aveva affidato ai medici, e i medici mi avevano rimesso in sesto per il Mundial».

– Però in Argentina hai dovuto giocare con il plantare…
«Questo l’hanno scritto i gior­nali, ma non è vero niente. Il plantare me l’ha fatto il profes­sor Boni dell’Università di Pavia, ma quando sono tornato in Italia».

– A Buenos Aires hai ricevuto molte critiche perché i giornali­sti di tutto il mondo non hanno visto il vero Antognoni ma la brutta copia. Per non rovinarti la reputazione forse ti conveniva davvero stare a casa.
«E io invece sono contento di es­sere andato in Argentina, anche se ho ricevuto stroncature fero­ci. Le accetto, perché è giusto che i critici mi abbiano giudicato per quello che hanno visto. Per come ero ridotto, credo di aver fatto sin troppo. Sicuramente ho fatto il mio dovere, la mia co­scienza è tranquilla».

– Nonostante tutto giudichi po­sitivo il tuo bilancio?
«Guarda che io ho perso solo una partita, quella con il Brasile. Eppoi non disprezziamo pure nemmeno il bilancio complessi­vo dell’Italia. L’Olanda ha vinto perché ha trovato quei due gol».

antognoni-e-w-intervista-wp IL PRESIDENTE della Repub­blica Pertini ha dichiarato che l’Italia sarebbe potuta diventare campione del mondo se ad un certo momento non avesse avu­to paura, così invece di continua­re ad attaccare si è messa a di­fendersi…
«Io dico che avremmo potuto di­ventare campioni del mondo con un pizzico di fortuna, solo la fortuna ci è mancata. Ma non è vero che ad un certo punto si abbia avuto paura, perché abbia­mo sempre continuato ad attac­care. Non scendiamo più in cam­po con complessi di inferiorità. E l’abbiamo dimostrato proprio in Argentina».

– Torniamo alla tarsalgia. E’ vero che avevi provato anche 1’agopuntura dei cinesi?
«Quando si vuole guarire si pro­vano tutte. Ho letto che si era offerto di guarirmi anche un ma­go di La Spezia che aveva cura­to Lojacono. Ma quando è venu­to a Fosdinovo, io ero ad Abano a fare i fanghi e quindi non ho avuto modo di incontrarlo».

– Adesso che sei tornato quello di prima i giornali hanno scrit­to che a Livorno hai vinto netta­mente il duello con Paolo Ros­si…
«Ma io sono entrato in campo per fare la mia partita, per bat­tere anche la tarsalgia, non pen­savo certo a Paolo Rossi».

– Però tu eri considerato il suc­cessore di Rivera in tutti i sensi, mentre Rivera ha detto che la prossima sarà l’epoca di Paolo Rossi.
«Io non mi sono mai ritenuto il successore di Rivera, anche per­ché penso di avere un gioco di­verso. Lui è sempre stato un rifi­nitore per le punte, io gioco a tutto campo. Non credo poi che si possa fare un paragone tra me e Paolo Rossi, data la diversi­tà dei ruoli».

– Ma Rivera alludeva a Rossi come un giocatore-simbolo, il giocatore appunto che caratteriz­za un’epoca come indubbiamente l’ha caratterizzata lui. L’Italia calcistica era divisa in due: da una parte i riverani e dall’altra gli anti-riverani…
«Però è difficile, stabilire sin da adesso chi sarà il calciatore-sim­bolo degli Anni Ottanta. Io pen­so che non ci saremo solo io e Paolo Rossi, la concorrenza sarà spietata».

– Tu hai detto che Rossi ha sba­gliato a fare l’uomo-sandwich du­rante le vacanze, avrebbe fatto meglio a riposarsi.
«Non mi sono permesso di cri­ticarlo, perché ognuno fa quello che desidera. Ho detto soltanto che secondo me un calciatore in vacanza deve pensare solo alle vacanze e non parlare continua­mente di calcio, essere assediato dai fans».

– Paolo Rossi è stato costretto a passare da una premiazione all’altra…
«Ma io penso che se uno vuole trovare un posto tranquillo per le vacanze, lo trova. Io l’ho tro­vato addirittura sulla Costa Sme­ralda. E mi sono presentato al raduno della Fiorentina riposatissimo e con una gran voglia di ricominciare».

– Rossi invece non si concede soste, ha dichiarato di aver as­sunto pure un manager per cura­re i suoi affari nel campo della pubblicità. Tu invece preferisci fare solo il calciatore, non hai mai cercato di fare soldi anche vendendo l’immagine di Antognoni. Ricordiamo gli abiti Facis dei vent’anni e basta.
«Non voglio esagerare e soprat­tutto desidero limitarmi al cam­po dello sport. Ma reclamizzo da tempo le scarpe Puma e, questa è una novità, ad ottobre uscirà un pallone che porterà il mio nome».

– E’ vero che dalla Fiorentina ricevi 120 milioni, 98 al netto del­le tasse?
«Quello che scrivono i giornali non è attendibile. Quello che gua­dagno lo so io, il presidente che mi ha preparato il contratto e purtroppo lo sa anche il fisco».

– Qualcuno ha calcolato che l’anno scorso hai guadagnato 45.000 lire al minuto, come Amanda Lear…
«Non ho fatto il calcolo di quel­lo che guadagno al minuto, ma penso che Amanda Lear guadagni di più, come è giusto del resto».

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I GIORNALI hanno scritto anche che i giocatori della Fiorentina che volevano guadagnare in pro­porzione al tuo ingaggio, sono stati fatti tutti fuori…
«L’ho letto anch’io, ma non lo so, è un problema che non mi ri­guarda. Io so solo che alla Socie­tà non ho mai creato problemi. Quest’anno ho firmato il contratto in cinque minuti».

– Non ci tieni a fare il capitano-padrino come fa Rivera nel Mi­lan…
«Io come capitano della Fioren­tina so soltanto che ho il dovere di dare l’esempio, in campo e anche fuori del campo. Non so cosa faccia Rivera nel Milan».

– Sono cose ufficiali, le ha det­te Nereo Rocco. Benetti, Chiarugi, Turone hanno dovuto lasciare il Milan perché non erano più graditi a Rivera.
«Per me, invece, quello che fa la Società è ben fatto».

– Anni fa tuo padre, che era presidente di un Milan Club, dis­se invano a Rivera di portarti al Milan. Pensi che Rivera avesse già paura di perdere il posto?
«Non lo credo affatto perché al­lora avevo soltanto 14 anni. Eppoì non credo nemmeno che mio padre abbia detto quelle cose a Rivera. Comunque adesso ha sciolto il Milan Club, tifa per la Fiorentina pure lui».

– L’anno scorso rifiutando i mi­liardi di Boniperti il presidente Ugolini disse: «Antognoni è co­me il campanile di Giotto, appar­tiene alla città di Firenze, essen­do un monumento nazionale non si può vendere. Davvero sei ras­segnato a rimanere a Firenze per tutta la vita e non continui a so­gnare la Juventus?
«La Juventus è sempre la Juven­tus. Ma a me sta bene anche la Fiorentina. E anzi penso di pren­dermi qualche soddisfazione pu­re con la Fiorentina. Sono certo che arriverò a giocare la Coppa dei Campioni con la maglia vio­la, il che significa che saremo riusciti finalmente a vincere lo scudetto».

– Qualche mese fa avete corso il rischio di finire in Serie B…
«E spero proprio che la Fioren­tina imiti il Milan che, dopo aver evitato per un pelo la retroces­sione, l’anno scorso ha sfiorato addirittura lo scudetto».

– La Fiorentina sfiorò lo scu­detto all’epoca di Radice…
«Ma purtroppo quella Fiorentina yé-yé non è mai maturata. Non so nemmeno io il perché. So solo che non è stata colpa della dolce vita, delle automobili e delle ma­donne fiorentine come hanno scritto certi giornali».

– Forse quei giovani non erano campioni come si pensava. In Nazionale c’è rimasto solo Antognoni..!
«Però gli altri sono rimasti nel giro della Serie A, segno che non sono nemmeno dei brocchi. Non so proprio cosa sia successo a quella Fiorentina che aveva illu­so tutti».

– Come spieghi il fallimento di Mazzone?
«E’ stato rovinato dal terzo po­sto. Dopo il terzo posto la gente ricominciava a pensare allo scu­detto. E si sa come va a finire: quando non arrivano i risultati a pagare è sempre l’allenatore».

– Per fortuna è arrivato Chìappella come salvatore della Pa­tria…
«Sicuramente Chiappella era ì’ allenatore ideale per salvare la Fiorentina, ed è arrivato pure al momento giusto, quando la squadra era pronta per reagire».

– A Genova sono convinti che a salvare la Fiorentina sia stato un Torino troppo compiacente…
«Ma quando è venuto a Firenze il Torino era sempre in corsa per lo scudetto. Abbiamo trovato un gol su punizione, poi tutto è di­ventato facile. Ma niente regali, per carità».

– Cosa ha acquistato la Fioren­tina con Carosi?
«La grinta del nuovo allenatore. Ma penseremo anche al gioco, non solo a correre ed a lottare. Il bel gioco è sempre stata una caratteristica fondamentale del­la Fiorentina».

– Carosi ha detto di averti dato due gregari, Amenta e Restelli, per permetterti di giocare più avanti e di fare anche i gol. Tu in­vece preferisci giocare a tutto campo…
«Non abbiamo ancora parlato di modulo tattico. Comunque se c’è anche chi corre per me, tanto meglio».

– Liedholm ti relegava addirit­tura all’ala destra…
«Ma non è che facessi l’ala pura. Giocavo come adesso, però mi li­mitavo alla fascia destra. Ma non ho nulla da rimproverare a Lie­dholm, ci mancherebbe altro. Nella Fiorentina c’erano due mezzeali dei calibro di De Sisti e Merlo, non era facile trovare po­sto a centrocampo…».

– Rocco mandava in mona pure te?
«Certo, ma lo faceva a fin di bene, non era un insulto ma una parola affettuosa, io almeno l’ho sempre interpretata così».

– Personalmente ho l’impressio­ne che ti manchi un po’ di grin­ta, che tu sia troppo buono. Non hai mai querelato nemmeno chi ti ha soprannominato ebetino, né chi ha creato uno scandalo foto­grafico su tua moglie…
«Con le querele avrei fatto il lo­ro gioco, certi giornali vivono su questo tipo di pubblicità. Io penso che titoli come ebetino si ritorcano su quelli che Io dicono. Eppoi chi cerca lo scandalo e l’insulto? “Novella 2000” e il “Cor­riere d’Informazione ” che secon­do me è la “Novella 2000” dello sport».

– Quando leggi che ti chiamano Maria Antonietta oppure il Bell’Antonio, cosa pensi?
«Che evidentemente certi gior­nalisti non conoscono la storia e nemmeno la letteratura. Perché io non sono bolso e fatuo come la Maria Antonietta dei francesi e non sono impotente come il personaggio del romanzo di Brancati».

– Forse hai contribuito tu stesso a far farti una certa fama dicen­do che non ami perdere il tem­po nelle letture…
«Come non leggo? Mi tengo ag­giornato su tutti i problemi. Non leggo certi rotocalchi preferiti dalle colf, questo volevo dire».

– Per fortuna hai anche la stam­pa amica. Ti hanno definito «giottino» perché sei un pittore del pallone. La «Nazione» ti ha pa­ragonato all’Enel perché illumini il campo, sei stato definito anche il «Mozart del pallone». Cosa pensi quando leggi certi elogi?
«Che i giornali esagerano sem­pre, in un senso o nell’altro. Mi hanno definito anche designer di lusso. Divertente, no?».

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– Bearzot aveva confidato tan­te volte che al tuo posto avrebbe preferito Zaccarelli. Sii sincero: rimpiangi Bernardini?
«Io per il dottor Bernardini ho un’autentica venerazione. Però ritengo che in Argentina, viste le mie condizioni fisiche, Bearzot non potesse comportarsi che co­me si è comportato».

– I maligni hanno notato che al tuo matrimonio c’era solo Ber­nardini, Bearzot si era fatto rap­presentare da un telegramma…
«Si bada anche a queste cose? Forse se mi fossi sposato a Mila­no sarebbe venuto anche Bear­zot. Ma la cerimonia si è svolta a Roma e per Bearzot era scomo­do».

– Tra Gianni Brera e Giovanni Arpino chi ti stima di più o me­glio, chi ti critica meno?
«Brera mi ha sempre criticato meno di Rivera e spesso anzi su “Il Giorno” è stato carino nei miei confronti. Con Arpino c’era stata una spiegazione a Torino dopodiché “La Stampa” ha smes­so di sparare a zero su di me. Anche con Gianni De Felice del “Corriere della Sera” ci siamo spiegati».

– Allo stadio di Firenze erano apparsi cartelli di sfida a questi giornalisti tuoi nemici…
«Sì, avevano tirato in ballo anche Aldo Biscardi di “Paese Se­ra”. Ma è stata tutta opera dei tifosi che evidentemente leg­gono più giornali di me. Perché io non è che segua tutta la criti­ca, ci mancherebbe altro».

– Qual è stata la tua partita più bella, quella di Rotterdam?
«Credo di averne fatte anche delle altre. Quella è rimasta più impressa perché era la prima».

– I giornali scrissero: questo Antognoni non assomiglia a Ri­vera, semmai assomiglia a Cruijff. Credi davvero di asso­migliare a Cruijff?
«Io non ho mai detto nemmeno di assomigliare a Rivera, l’hanno detto i giornali. Quanto a Cruijff, non credo di assomigliargi nem­meno nei guadagni».

– E’ vero che hai il complesso di essere nato il primo di aprile? Se è per questo, un anno dopo di te, lo stesso giorno, è nato an­che Pruzzo. E’ vero che appena arrivato a Firenze, per non es­sere considerato un pesce d’a­prile rispondevi ai cronisti che ti chiedevano la data di nascita: 1-4-1954?
«Dicevo uno-quattro perché nei dati anagrafici si usa così, ma non ho complessi sul pesce d’a­prile».

– Tu non hai condiviso l’operato di Campana…
«Certo. Prima di fare tutto quel pandemonio avrebbe dovuto al­meno interpellarci».

– Il tuo parere sullo svincolo?
«Una fregatura per i giocatori che dovranno andare sul merca­to a vendersi. Campana ha fatto gli interessi solo di pochi big, mentre l’associazione calciatori dovrebbe preoccuparsi soprattut­to della massa».

– Sei ottimista sul futuro del calcio italiano?
«Sì, perché ci sono tanti gio­vani in gamba. Sella, Jorio, Bare­si, Beccalossi, Pasinato, le nuove leve non mancano».

– Sarai tu a guidarli ai mondiali del 1982…
«La Spagna è ancora lontana. Per adesso dobbiamo pensare agli Europei dell’80».

– Il tuo pronostico?
«Per mera sfortuna c’è sfuggito il titolo mondiale, ma quello eu­ropeo non ci sfuggirà di sicuro. Parola di Antognoni».

Questa la confessione di Giancar­lo Antognoni, un ragazzo sincero e spontaneo, alla ricerca di veri­tà, comprensione e amicizia. Il capitano viola è maturato rispet­to agli anni giovanili di Asti. quando era il gioiello dell’Astimacobi, squadra ambiziosa di se­rie D. L’uomo-Antognoni ha cono­sciuto molte amarezze insieme ai tanti successi. Ha sempre cer­cato, però, di mantenere una pro­pria, giusta dimensione di uomo e atleta, cercando di essere se stesso, sia in campo che nella vita privata.