Liam Brady nasce a Dublino il 13 febbraio 1956. Cresce calcisticamente nella squadra del St. Kevin’s Boys FC, poi nell’Home Farm. Quando ha solo tredici anni viene notato dagli scouts dell’Arsenal, da cui viene acquistato nel giugno del 1971. In quegli anni la blasonata società calcistica inglese è orientata ad una politica di sviluppo del settore giovanile che le possa permettere di coltivare in casa propria, le future stelle della prima squadra e Liam Brady rientra in questa prospettiva.
Il giovane trascorre tre anni nel settore giovanile assieme ad un gruppo di giocatori che viene promosso in blocco in prima squadra: tra questi oltre a Brady vi sono David O’Leary, Richie Powling, Frank Stapleton, Graham Rix e John Matthews. Il giorno del suo diciassettesimo compleanno firma il contratto da professionista seguendo così le orme dei fratelli maggiori Pat Brady (giocatore nel Millwall), Ray Brady (giocatore nel QPR), Frank Brady Jr (giocatore nello Shamrock Rovers), nonché dello zio Frank Brady sr.
Il 6 ottobre 1973 Liam Brady esordisce subentrando al posto dell’infortunato Jeff Blockley nel match contro il Birmingham. Nel resto della stagione l’allenatore Bertie Mee decide di impiegarlo con parsimonia: termina la sua prima stagione con la maglia dei “gunners” con all’attivo soltanto tredici presenze. Durante il suo periodo all’Arsenal gli viene affibbiato il soprannome “Chippy”, non tanto per la sua capacità di calciare la palla dando particolare effetto (“chip” significa scheggiare o scalpellare) quanto per la sua predilezione per il tipico piatto britannico “fish and chips” (pesce e patatine fritte). Con la squadra londinese vince la FA Cup nel 1978-1979; disputa le finali della stessa sia nel 1977-1978, sia nel 1979-1980. Con l’Arsenal raggiunge la finale di Coppa delle Coppe nel 1979-1980, perdendo però contro gli spagnoli del Valencia.
Il primo incontro di Brady con il calcio italiano avviene nella primavera del 1980 quando l’ Arsenal ed elimina la Juventus nelle semifinali di Coppa delle Coppe: 1-1 a Londra, 1-0 per gli inglesi a Torin con rete di Vaessen all’87’. È quella una stagione d’oro per Liam. I giocatori professionisti inglesi lo eleggono Calciatore dell’anno; il presidente dei “Gunners”, Hillwood, fa il diavolo a quattro per aumentargli lo stipendio e prolungargli il contratto ma non ci riesce: «Mi dispiace per lui, ma io avevo già deciso», racconterà poi, «a giugno del 1980 avrei lasciato l’Arsenal e sarei venuto in Italia».
Sì, perche proprio in quella calda estate le frontiere sono nuovamente aperte e, dopo anni di ostracismo, si possono acquistare giocatori stranieri. La scelta della Juventus cade proprio su Liam Brady e viene maturata dopo varie opzioni, compreso Maradona che Boniperti e Giuliano inseguono vanamente con una puntata segreta in Argentina. Ai primi di luglio parte una telefonata all’avvocato Freeman, legale londinese che cura gli interessi dei più importanti calciatori d’oltre Manica, compreso Brady. La risposta è affermativa, non altrettanto agile la trattativa che si conclude comunque, col trasferimento di Liam alla Juventus.
Brady è un regista giovane, ma calcisticamente maturo; arriva in Italia con etichetta irlandese, ma rivela ben presto insospettate capacità di adattamento che gli consentono d’inserirsi senza problemi nella squadra bianconera. Con il suo arrivo nella Juventus ricompare il regista, giubilato da Trapattoni dopo la partenza di Capello ed interpretato successivamente, seppure in modo anomalo, da Benetti e Furino. Così la Juventus torna ad una manovra ordinata, basata sulla ricerca di impostazioni logiche e razionali, anche se il ritmo non eccezionale dell’irlandese riduce in parte le accelerazioni. «Con quel sinistro potrebbe scappare di prigione», aveva scritto un reporter londinese, non privo di humour.
Investito nei primi giorni da una curiosità che sfiora aspetti morbosi, Liam Brady si rifugia ben presto in un rapporto formalmente ineccepibile, ma che poco concede all’interlocutore. Soluzione necessaria ed appropriata. Ma ancora oggi, a distanza di anni, Brady viene ricordato nell’ambiente torinese con ammirazione e simpatia. Anche per la sua vita privata Liam lascia nel ricordo tracce indelebili. Lo prova il fatto che, in perfetto accordo con la moglie Sarah, Brady decide di far nascere a Torino la figlioletta Ella, che viene alla luce a metà gennaio 1983, quando l’irlandese già si trova a Genova, in quanto trasferito nell’estate precedente alla Sampdoria. Il collega preferito del biennio juventino è Tardelli, ma anche con Rossi e Cabrini i rapporti sono ottimi.
Le due stagioni di Brady alla Juventus sono coronate dalla conquista di altrettanti scudetti. Trapattoni dirà che sono gli scudetti che sente di più come suoi, maturati nel rinnovamento di una squadra che comincia a perdere qualche grosso nome del passato (Morini, Benetti e Boninsegna) per dare spazio a giovani che si chiamano Cabrini, Farina, Prandelli, Marocchino e Galderisi, oltre al recupero di Virdis ed alla progressiva affermazione di Brio. In quella squadra il sinistro di Brady, proietta di volta in volta i compagni verso il goal, lo stesso irlandese si segnala anche nei panni di goleador: 8 reti il primo anno, cinque il secondo.
Stupenda la prima stagione, anche se ci mette un po’ di tempo a prendere le misure del campionato italiano. Il vero Brady viene fuori il pomeriggio del 23 novembre 1980, mentre un terremoto squassava l’Italia del sud. La Juventus gioca contro l’Inter campione in carica, con una formazione decimata dalle squalifiche; Liam segna un goal ed un altro lo fa fare a Scirea. La squadra bianconera vince 2-1 e comincia, seriamente, ad inseguire la Roma.
La seconda stagione è meno appariscente ma è suggellata, comunque, da un significativo finale. Il 30 aprile 1982, un venerdì, alla vigilia delle ultime tre giornate di campionato, Liam viene informato, all’improvviso, che alla Juventus non sarà riconfermato. Deve cedere il posto a Michel Platini, acquistato il giorno stesso; l’evento matura nello spazio di ore, dalle 12:00 (ora in cui firma Platini) alle 20:00 (ora in cui Brady esce sconvolto dall’ufficio di Boniperti). Verso le 15:00, negli spogliatoi dello stadio, prima dell’allenamento pomeridiano, tocca a Trapattoni il ruolo di primo ed incolpevole messaggero. Brady non può restare alla Juventus, che qualche settimana prima ha acquistato Boniek come secondo straniero e sarà ceduto a condizioni, non meno vantaggiose, ad una società di suo gradimento; così, Brady firma per la Sampdoria.
Ma di Brady non si può non ricordare l’ultima partita in maglia bianconera, il 16 maggio 1982, a Catanzaro, giorno in cui la Juventus conquista lo scudetto approfittando del concomitante pareggio della Fiorentina a Cagliari. Vince 1-0 la Juventus, con un rigore trasformato dallo stesso irlandese per fallo di mano sulla linea di Celestini. L’episodio accade a metà ripresa, con la Juventus accanitamente protesa verso la vittoria. Liam, rigorista designato, si avvia a battere dal dischetto come se non fosse l’ultima partita e l’ultimo rigore nella Juventus, con un grandissimo esempio di professionalità. Il goal sancisce l’apoteosi bianconera ed è la rivincita morale di Brady: «Avevo due scelte, due possibilità: fare il professionista e calciare bene il rigore, oppure fare il bambino stupido e rifiutarmi di calciare o, peggio, sbagliare volutamente il tiro. Ho scelto di fare il professionista, ho tirato ed ho fatto goal».
Boniperti all’indomani dirà: “Preso Platini, avevo un grosso problema. Ed un dispiacere enorme. Dirlo a Brady. Perché di stranieri ne erano consentiti soltanto due e noi avevamo già Boniek, preso in quegli stessi giorni. Brady, Boniek, Platini: uno era di troppo. Avessimo potuto tenerli tutti e tre, con Brady dietro a quei due, saremmo diventati la più grande squadra del mondo. Poi racconta come andò l’episodio e le inaspettate lacrime dell’irlandese di ghiaccio. Dopo avergli spiegato il problema, Liam pianse ed un po’ di magone venne anche a me. A fine stagione venni contattato da Paolo Mantovani, presidente della Sampdoria, per discutere la cessione del centrocampista irlandese. Il reingaggio di Liam l’ho fissato io. E Mantovani fu d’accordo su tutto“.
La neopromossa Sampdoria che si affida ad Ulivieri può contare oltre che sull’irlandese su un diciottenne di belle speranze, Roberto Mancini, e su un altro anglosassone, Trevor Francis. La partenza dei blucerchiati è sparata: 3 vittorie su 2 contro Juventus, Inter e Roma. Le illusioni cullate dai tifosi genovesi però cedono ben presto il campo ad un campionato anonimo concluso al settimo posto.
L’anno successivo stessa posizione in classifica ma per Brady l’ottimo rendimento gli vale la chiamata di Ernesto Pellegrini, neo presidente dell’Inter, deciso ad avviare col botto la propria avventura nerazzurra e alla ricerca di una mente capace di armare il formidabile “braccio” ingaggiato in Germania: Karl Heinz Rummenigge. L’accoppiata funziona a corrente alternata, specie per i guai fisici del biondo fuoriclasse teutonico, e dopo due anni, in mancanza di successi, Brady viene considerato al capolinea.
Si accasa all’Ascoli, ma non finisce la stagione: se ne va l’11 marzo 1987. dopo aver chiesto la risoluzione del contratto (a salvezza ormai conseguita), per divergenze con i dirigenti. Si accasa al West Ham dove disputa ancora tre stagioni prima di chiudere definitivamente il 5 maggio 1990 quando nel match contro il Wolverhampton vinto per 4-0 realizzerà anche la sua ultima rete. In nazionale Brady rappresenta l’Irlanda in un arco temporale lunghissimo: ben sedici anni che vanno dal suo esordio appena diciottenne nel 1974 contro l’URSS fino al 1990 quando prima dei Mondiali italiani lascia dopo aver disputato 79 incontri e 9 reti.