Nel 1970 il Re del calcio fallì il colpo perfetto. Trentasette anni dopo, una donna con la stessa maglia verdeoro ci riuscì al posto suo.
Era il 1970, e il mondo del calcio assisteva a uno dei Mondiali più leggendari della storia. Durante la partita contro la Cecoslovacchia nella fase a gironi, Pelé aveva tentato qualcosa di audace: un pallonetto dalla metà campo che avrebbe dovuto superare il portiere avversario Viktor. Un gesto che sfiorava l’impossibile, ma che racchiudeva l’essenza stessa del calcio brasiliano.
Quando i giornalisti gli chiesero perché avesse tentato una giocata così spettacolare, il Re del calcio rispose con parole che sarebbero rimaste nella storia: voleva un “goal signature“, qualcosa che per sempre sarebbe stato ricordato come “il Goal di Pelé“. Non era presunzione o esibizionismo, ma la ricerca di un momento che definisse la sua carriera per l’eternità.
Purtroppo, quel pallonetto finì di poco a lato, e il più grande numero dieci di tutti i tempi non riuscì a centrare il bersaglio. Ma a volte il destino sa essere beffardo e generoso allo stesso tempo. Trentasette anni dopo, un’altra giocatrice avrebbe realizzato quel sogno, indossando curiosamente la stessa maglia canarinha e lo stesso numero dieci sulla schiena.
La regina del calcio femminile brasiliano

Il suo nome è Marta Vieira da Silva, ma per il mondo del calcio è semplicemente “Marta“. Quando arrivò il Mondiale femminile del 2007, era già una stella planetaria, la donna che lo stesso Pelé aveva soprannominato “Pelé in gonnella“. Un riconoscimento che non tutti avrebbero saputo portare con la stessa naturalezza e talento.
In quello stesso anno, Marta aveva già conquistato il cuore del Brasile guidando la Seleção alla vittoria nei Giochi Panamericani. La partita si era giocata davanti a 68.000 spettatori al leggendario Estádio do Maracanã di Rio, e la sua prestazione era stata così straordinaria che, dopo la vittoria, venne realizzato un calco in cemento dei suoi piedi esposto nello stadio stesso. Era l’unica donna nella storia del calcio brasiliano ad essere stata onorata in questo modo.
Ma il suo momento di gloria assoluta doveva ancora arrivare. L’autunno del 2007 avrebbe scritto una pagina indimenticabile nella storia del calcio femminile, con la Cina che ospitava il Mondiale e Marta pronta a dimostrare di essere la migliore giocatrice del mondo.
I mondiali cinesi del 2007

Il Brasile attraversò la fase a gironi di quei mondiali come un fiume in piena, vincendo tutte e tre le partite. Marta segnò quattro volte, mostrando una forma fisica e tecnica impressionante. Negli ottavi di finale contro l’Australia, un’altra sua rete contribuì al 3-2 che portò la Seleção in semifinale.
L’avversario era di quelli che fanno tremare i polsi: gli Stati Uniti d’America. Le americane avevano ancora fresco il ricordo della sconfitta per 4-0 subita a Rio durante i Giochi Panamericani, e arrivavano alla semifinale con voglia di riscatto. Ma stavano per scoprire che alcune sconfitte, più che vendette, richiedono l’accettazione di una superiorità tecnica schiacciante.
Il 27 settembre, lo Yellow Dragon Stadium di Hangzhou si preparava ad assistere a qualcosa di straordinario. Le due squadre si presentavano in campo con ambizioni diverse: le americane volevano la rivincita, le brasiliane volevano confermare la loro supremazia. Ma quella sera, più di tutto, il mondo del calcio stava per assistere a una lezione di calcio che sarebbe rimasta nella storia.
La notte magica di Hangzhou

Come spesso accade nelle partite decisive, i primi minuti furono tesi. Entrambe le squadre si studiavano, attente a non commettere errori che potessero compromettere la partita prima ancora che iniziasse davvero. Ma c’era una giocatrice che brillava già di luce propria: il numero dieci danzava sulla schiena di Marta mentre lei saltava gli avversari, oscillando da una parte all’altra per trascinare la sua squadra in avanti.
Al 20° minuto arrivò il vantaggio brasiliano. Marta batteva un corner dalla sinistra, e mentre l’americana Leslie Osborne si chinava per cercare di respingere il cross insidioso, riuscì soltanto a deviare la palla nella propria porta. Un goal fortunato, forse, ma che aprì le danze per quello che sarebbe diventato uno spettacolo indimenticabile.
Sette minuti dopo, la fortuna non c’entrava più niente. Marta tagliò da destra verso il centro, lasciandosi alle spalle una scia di difensori americani che sembravano muoversi al rallentatore. Poi, rientrando sul sinistro, si spostò sul limite dell’area di rigore e scaricò un tiro angolato che si infilò sul palo vicino, superando il disperato tentativo di Tina Ellertson. Era il goal di una giocatrice che sapeva di avere il mondo ai suoi piedi quella sera.
Il goal che nemmeno Pelé riuscì a segnare

Per la mezz’ora successiva, tra primo e secondo tempo, Marta tenne il pubblico col fiato sospeso ogni volta che toccava la palla. Accelerazioni improvvise, dribbling ubriacanti e passaggi millimetrici che mettevano in difficoltà un’intera squadra. Come disse più tardi la giocatrice americana Cari Lloyd: “Ha sollevato lo stadio, completamente da sola.”
Poco prima dell’ora di gioco arrivò il terzo goal, e naturalmente fu Marta a crearlo. Partendo da sinistra, si lanciò verso la metà campo americana attirando su di sé tutti i difensori come falene verso una luce. Ma la sua intelligenza calcistica le permise di vedere Cristiane che correva nello spazio che la sua corsa aveva creato. Un assist perfetto, un controllo e un goal che chiudevano definitivamente la partita.
Ma il momento che avrebbe definito per sempre quella serata doveva ancora arrivare. Mancavano una dozzina di minuti alla fine quando un pallone arrivò a Marta sulla fascia sinistra. Era a un’altezza difficile, ma lei non ebbe bisogno di controllarlo. Con un tocco di tacco al volo superò il primo marcatore, accelerò per recuperare la palla, fece sedere con una finta di spalla il secondo difensore, e poi scaricò un tiro imparabile in rete.
Partita chiusa, vittoria schiacciante, e soprattutto: goal signature. Marta l’avrebbe definito il migliore della sua carriera: “Quella sera ho segnato quello che considero il miglior goal della mia carriera. Quindi è davvero un ricordo perfetto.”
Il ricordo perfetto di una leggenda
Il Brasile avrebbe perso poi 2-0 in finale contro la Germania, e Marta fallì anche un rigore che avrebbe potuto riaprire la partita. Magra consolazione fu finire come capocannoniere del torneo e miglior giocatrice della competizione. Ma lei aveva già ottenuto qualcosa di più prezioso: il suo “ricordo perfetto” della notte in cui aveva brillato come la più grande stella del calcio femminile mondiale.
Quello che Pelé aveva sognato nel 1970 – un goal che lo definisse per sempre – Marta l’aveva realizzato nel 2007. Non un semplice pallonetto dalla metà campo, ma una sequenza di tocchi che racchiudeva tutta la bellezza, l’eleganza e la genialità del calcio brasiliano. Un goal che parlava di tecnica sopraffina, di visione di gioco, di coraggio e di quella magia che solo i più grandi campioni sanno regalare.
