Peruzzi e Carnevale: Fentermina mon amour

La pastasciutta, si sa, rappresenta una delle basi su cui è fondata la nostra Repubblica. Piatto nazionale per eccellenza, esaltato dalla dieta mediterranea, ha rischiato tuttavia di iscriversi nel libro nero delle magagne del Bel Paese, nell’ottobre 1990.

È infatti in occasione dello «scandalo Peruzzi-Carnevale» che viene inventata una ricetta inedita: le fettuccine alla fentermina. Una autentica bomba, per cui subito largo ai fatti. Nella serata di lunedì 8 ottobre 1990 un comunicato stampa emesso dalla Figc scocca come un fulmine a ciel sereno: il portiere Peruzzi e il centravanti Carnevale della Roma sono risultati positivi al controllo antidoping successivo alla gara di campionato Roma-Bari del 23 settembre, per «fentermina». La sostanza incriminata è definita come «stimolante, derivante dalle amfetamine, in grado di attivare la produzione nell’organismo dell’adrenalina». I due giocatori interessati sul momento negano con profondo sdegno.

Quando però gli interrogatori incalzano, emerge una sconcertante (e nutriente) linea difensiva: essendo la fentermina contenuta nel «Lipopill», un dimagrante, all’origine del giallo c’è una pastiglia allungata dalla mamma di Peruzzi ai due giocatori al termine di una cena a base di un po’ troppe fettuccine.

Il problema, tuttavia, si pone quando gli inquirenti mettono a confronto le dichiarazioni dei due giocatori e del loro presidente, Dino Viola. Per Carnevale, la cena per festeggiare il successo in Coppa Uefa sul Benfìca si tenne a Blera (Viterbo) a casa-Peruzzi e la mattina successiva il portierone gli consegnò la pasticca diabolica; per Peruzzi, invece, le pasticche furono consegnate direttamente a Blera da mamma Peruzzi, ai due giocatori, che ne fecero immediato uso; per Viola, infine, la cena avvenne a Monte San Biagio (Avellino), a casa-Carnevale e il giorno successivo mamma-doping avrebbe dato la pillola (acquistata in Svizzera) al figlio.

Proprio le discordanze tra le deposizioni sono decisive nel provocare la mano pesante della commissione disciplinare, che sabato 13 ottobre squalifica per un anno i due giocatori, condannando la Roma a un’ammenda di 150 milioni. Il 30 ottobre la C.A.F. conferma le condanne, motivando tra l’altro che i due giocatori, nel corso dell’istruttoria, raccontarono soltanto bugie, tanto che il farmaco ingerito dai due non può essere stato il «Lipopill». Insomma, le fettuccine sono scagionate.

Anni dopo, questa sarà la versione di Peruzzi:

«Ci furono un’inchiesta e un processo penale nei quali io e Carnevale fummo assolti. Però, la storia è completamente diversa, tanto ormai è andato tutto in prescrizione. Non c’era stata nessuna cena. Il Lipopill me l’aveva data un giocatore. Io venivo da un infortunio e mi venne detto che, prendendola, non avrei parato di più, ma non mi sarei rifatto male.
Fui ingenuo e stupido a crederlo e per questo meritai la squalifica. Mi dissero di dire così, anche se io non volevo che fosse tirata in ballo la mia famiglia. Io accettai perché non contavo niente. All’epoca non ero nessuno. Meglio bruciare un ragazzino piuttosto che un giocatore affermato. Le alte sfere della Federazione consigliarono questa versione al presidente Viola, sostenendo che così avrei avuto soltanto tre mesi di qualifica, ma andò diversamente. Aspettavano questo momento per massacrare Viola che per me è stato un grandissimo presidente, e lui si è fidato. Questa, almeno è la mia versione».

In definitiva, dunque, niente è salvo, tranne che la pastasciutta. È già qualcosa.

Una vignetta di Giuliano tratta dal Guerin Sportivo