Scandalo 1961: un gioco da Bari

Il calcio italiano, sul finire degli anni Cinquanta, attraversa il periodo più difficile della sua storia. La Nazionale degli oriundi per la prima volta nel 1958 resta esclusa dalla fase finale dei Mondiali. E il campionato è scosso da una serie di scandali che si susseguono, in pratica, a cadenza annuale. Risolto, nel 1960, il caso Cappello, nel febbraio del 1961 si replica. E, come se non bastasse un giallo a stagione, sono addirittura due i casi di illecito che sconvolgono il torneo.

Tanto per cominciare, la storia dei portieri e della schedina miliardaria. Succede che Bruschini, estremo difensore del Lecco, denuncia all’ufficio indagini di aver subito un tentativo di corruzione. Ma la vicenda si presenta subito più complicata. Un sedicente giornalista siciliano aveva contattato non solo il portiere del Lecco, ma anche Lido Vieri del Torino ed Enzo Matteucci della Spal.

Obiettivo della chiacchierata? Un accordo che prevedesse le vittorie esterne di Bari, Atalanta e Roma impegnate il 26 febbraio proprio a Lecco, Torino e Ferrara. Ne sarebbe risultata una vincita milionaria al Totocalcio, vincita che i tre portieri “distratti” si sarebbero divisi col misterioso giornalista. L’inchiesta coinvolge subito Vieri e Matteucci, che non avevano denunciato il fatto, e il Bari che, impegnato nella lotta per non retrocedere, avrebbe tratto vantaggio dalla combinazione dei risultati e quindi era perseguibile per responsabilità oggettiva.

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Ma le indagini stabiliscono che l’intrallazzatore misterioso, un impiegato pubblico di Palermo, non ha alcun legame con le società coinvolte. Perdipiù le partite incriminate finiscono tutte in parità e insomma il caso si sgonfia in fretta: il Bari viene assolto e i due portieri reticenti condannati a una squalifica di poche settimane. Ma ben altro doveva accadere…

A due giornate dal termine la lotta per non retrocedere è accesissima e coinvolge almeno sei squadre. Il match tra Lazio e Bari, in programma alla penultima, di fatto conta solo per i pugliesi, che devono vincere per mantenersi a galla. I bianco-celesti, ultimi, sono ormai fuori dai giochi. Tre giorni prima della partita un dirigente del Bari chiama in causa l’Ufficio Inchieste: dice di aver ricevuto una telefonata sospetta da parte di un parente del terzino della Lazio Nicola Lo Buono. Il difensore è barese di nascita e ci terrebbe – spiega l’interlocutore a giocare nella squadra della sua città. «Perché non fissiamo un incontro?»: tanto basta a far drizzare le antenne al dirigente pugliese, che non vede motivo di discutere l’affare proprio alla vigilia di Lazio-Bari. A meno che nella trattativa non si volessero inserire altre contropartite.

Gli inquirenti prendono nota, ma intanto si gioca: Lo Buono sta fuori, eppure il Bari vince 1-0, grazie a un gol di Rossano nel primo tempo. A cose fatte, scatta l’inchiesta: torchiato a dovere, Lo Buono dice di non sapere nulla della telefonata incriminata – i soliti parenti impiccioni – ma ammette di aver fatto in settimana una capatina a casa e di aver casualmente incontrato i giocatori baresi Macchi e Mupo.

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Ma per gli investigatori questo è nulla in confronto all’episodio che emerge durante le indagini. Si apprende infatti che nella caotica settimana che ha preceduto la partita dell’Olimpico, Tagnin, ex della Lazio, aveva telefonato a un suo vecchio compagno di squadra, l’ala Prini, per proporgli un patto assai poco onorevole: caro amico – questo il senso dell’accordo – sai quanto ci farebbe comodo questa vittoria. Ne abbiamo tanto bisogno che saremmo anche disposti a farti un regalino, se tu convincessi i tuoi a non fare troppo sul serio. Due milioni potrebbero bastare?

Maurilio Prini non ci pensa due volte: accetta e ringrazia. Ma dopo un’ora sente squillare di nuovo il telefono: ancora Tagnin. «Carissimo, ti ricordi quel che ci siamo detti? Bene fai finta che abbiamo scherzato: non se ne fa più niente. Non ci sono i denari: chi doveva tirarli fuori si è fatto di nebbia».

Insomma – concludono gli investigatori – la partita è stata regolare, ma il tentativo di corruzione non può essere ignorato. Così, quando ormai si è concluso il campionato (con la retrocessione del Bari), il 14 luglio 1961 la commissione giudicante condanna i pugliesi a scontare 10 punti (poi ridotti a 6) di penalizzazione nel successivo campionato di Serie B. Anche con Tagnin il giudice usa la mano pesante: due anni e mezzo di squalifica (ridotti a uno), mentre Lo Buono, nonostante i viaggi e i colloqui compromettenti, viene assolto per insufficienza di prove. Giustizia è fatta. Forse.

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Quanto a Tagnin, la squalifica venne ridotta ad un anno. Tornato operativo, l’ormai trentenne calciatore che intanto aveva dovuto abbandonare il Bari venne ingaggiato dall’Inter di Herrera. Perfettamente inserito nel meccanismo della squadra e agendo giocare in copertura alle spalle di Suarez e Corso, Tagnin lasciò il segno il 27 maggio 1964 quando a Vienna si laureò campione d’Europa contro il Real Madrid (di quella storica sfida si racconta anche questo: Tagnin marcava a uomo il grande Di Stefano ; il suo assillo, per quanto corretto, a un certo punto fece sbottare il capitano madridista : “Mi seguirai anche sotto la doccia?”).

Carlo Tagnin concluse la carriera in B all’Alessandria, la squadra della sua città, che allenò vent’anni dopo in C2. Tagnin è scomparso nel 2000 di osteosarcoma. Anche per le affermazioni contenute nel libro scritto da Ferruccio Mazzola (“Il terzo incomodo”) riguardante l’abuso di sostanze dopanti da parte di diversi calciatori della Grande Inter, la sua morte viene associata a quella di altri celebri elementi di quella squadra scomparsi prematuramente come Armando Picchi, Giacinto Facchetti, Mauro Bicicli e Ferdinando Miniussi.