L’Associazione Italiana Calciatori (AIC) è il sindacato dei calciatori, fondato il 3 luglio 1968 su spinta dell’avvocato Campana, già calciatore di Lanerossi Vicenza e Bologna. Ecco la sua lunga ed appassionante storia…
PROLOGO
Quel 3 luglio 1968 nello studio del notaio Barassi campioni del calibro di Bulgarelli, Castano, Corelli, De Sisti, Losi, Mazzola, Mupo, Rivera e Sereni diedero vita al sindacato dei milionari, come venne subito definito con malcelata ironia. Tutti giocatori che non avevano di certo bisogno di chi tutelasse i loro interessi.
«Per questo l’iniziativa partita dai campionissimi è ancor più meritoria. Ricordo che avevo smesso di giocare l’anno prima, ricevetti la telefonata dal ritiro della nazionale: “Sergio, stavamo pensando a un organismo in grado di tutelare i giocatori meno fortunati. Sono tanti, sai”. Li conoscevo tutti come avversari, io ero laureato in Giurisprudenza e per quello avevano pensato a me. Ci mettemmo in moto trovando subito l’adesione di tanti calciatori di serie A. L’anno dopo arrivarono quelli della B».
Una crescita immediata: «La categoria dimostrò subito grande compattezza, qualità che ha conservato. Del resto all’epoca il calciatore era considerato dalle società una sorta di proprietà privata. Doveva chiedere il permesso se intendeva cambiare residenza, andare in auto, non parliamo delle moto…».
Il famigerato vincolo a vita: dopo le tante conquiste, va considerato l’età della pietra…
«E beh, sì. All’ epoca non esisteva uno status giuridico ed eri costretto ad accettare anche clausole assurde come quella delle 24 partite»
Le ventiquattro partite?
«Era uso comune legare il pagamento del quaranta per cento degli emolumenti al raggiungimento da parte del giocatore delle ventiquattro presenze in prima squadra. Da uno studio attento scoprimmo che il novanta per cento dei giocatori arrivava al termine della stagione con ventitrè presenze…».
LA PREISTORIA
AGOSTO 1945
Nasce in Italia una prima corporazione dei piedi, dal nome già “importante”: A.I.C., Associazione Italiana Calciatori. L’idea se la sono messa in testa tre professionisti del pallone: Borel II, Frossi e Camolese. Il primo, centravanti, soprannominato “Farfallino”, ha segnato a raffica nella Juve del quinquennio, facendo incetta di scudetti; il secondo, noto come l’occhialuto “dottor Sottile” del calcio italiano, ala destra, è stato stella dell’Ambrosiana-Inter e della Nazionale olimpica, con cui ha conquistato a Berlino il massimo alloro nel 1936. Il terzo, Bruno Camolese, già buon mediano della Lazio, ancora gioca nel Vicenza, in Serie A. Ma soprattutto è avvocato e tiene studio in una cittadina veneta a pochi chilometri da Vicenza con la predestinazione a diventare l’epicentro del sindacato dei piedi: Bassano del Grappa. A lui viene affidato il ruolo di presidente (una premonizione?), mentre Annibale Frossi, laureato in giurisprudenza, recluta due avvocati: Carlo Masera e l’ex giocatore (di Seregno e Novara) Angelo Longoni, ed è al primo che passa il ruolo di segretario quando decide di saltare il fosso, diventando allenatore. Se rimanesse in carica, si troverebbe in un classico caso di conflitto di interessi.
30 DICEMBRE 1948
Il Supplemento Illustrato della Gazzetta dello Sport elenca gli obiettivi dell’ A.I.C.: «Organizzarsi in sindacati professionali, ottenere rappresentanti presso gli enti della Figc accanto ai rappresentanti delle società e degli arbitri; avere una Cassa di Previdenza per infortuni, malattie e vecchiaia; sottoporre alla Federazione un progetto di regolamento professonistico, elaborato dai legali Muserà e Longoni e da specialisti in materia sindacale».
Progetti ambiziosi e lungimiranti, il primo dei quali tuttavia (la costituzione di un sindacato professionale) dimostra il carattere ancora non ben definito dell’associazione. La quale, nonostante l’imponente sostegno di «circa 2500 iscritti tra Serie A, B e C», non riesce a decollare…
MARZO 1950
Dal “Calcio e Ciclismo Illustrato”, ovvero ancora buoni propositi e poco più: «L’Associazione Italiana Calciatori, proponendosi l’assistenza in ogni campo agli associati, non poteva trascurare la loro tutela legale nelle vertenze con le società: così ha istituito un ufficio per il contenzioso che è stato affidato all’avv. Angelo Longoni. Sul suo tavolo, nello studio di via Chiossetto a Milano, si ammonticchiano le pratiche di molti giocatori, anche di buona fama, che chiedono: «Mi è capitato questo e questo; cosa posso fare? Come devo regolarmi? Come è la procedura e la forma del ricorso?». Il legale dell’A.I.C. allora risponde, consiglia, chiarisce, qualche volta stende anche il ricorso materialmente. Di più, per ora, non può fare perché le norme federali vietano l’assistenza legale degli associati nella forma della rappresentanza. Il calciatore, cioè, non può dare il mandato di curare i suoi interessi al difensore, ma deve firmare personalmente e sempre i ricorsi cosicché spesso, per ignoranza non certo lodevole delle norme procedurali, va “fuori termine” o cade in vizi di forma, tanto da non poter far valere i suoi diritti».
Un “sindacato” marginale, dunque, più che una istanza rappresentativa della categoria. Col tempo, di questa istituzione si perdono le tracce. Non riconosciuto come controparte da Federazioni e Leghe, ma neppure come proprio rappresentante dai calciatori. Gli avvocati sono indispensabili, ma quando la direzione effettiva passa in mano a persone estranee al mondo del calcio, il distacco diventa inevitabile. Quello del pallone è un microcosmo chiuso, attraversato da personalismi e piccole invidie, soprattutto per quel tasto economico che non è quasi mai consigliabile trattare (inflessibile l’omertà, anche tra compagni di squadra, sull’ammontare dei rispettivi ingaggi). Così il sindacato c’è, ma è come se non ci fosse. E al Palazzo va bene così…
GLI “AZZURRI” CARBONARI
LUGLIO 1967
Durante gli anni Sessanta l’idea di un sindacato “vero” ha preso a serpeggiare tra i giocatori più svegli, di pari passo con lo scontento per quell’associazione così in difficoltà a farsi apprezzare. In un’intervista a Lino Cascioli, il capitano della Roma, Giacomo Losi (detto “core de Roma”, foto a fianco), esce allo scoperto, denunciando l’esperienza frustrante vissuta dai giocatori giallorossi. La Roma, alle prese con una pesante crisi economica, aveva deciso di fare un pò di salutare economia, partendo… dagli stipendi dei giocatori, vistosamente tagliati d’imperio.
I giallorossi, punti sul vivo, non avevano gradito, il sindacato era intervenuto inutilmente e la questione aveva trovato soluzione solo grazie a un intervento politico, per interessamento di un onorevole tifoso: «Il sindacato?» si lamenta Losi «Fumo per gli occhi. Adesso quando mi arriva la circolare da leggere ai giocatori, i commenti dei compagni sono sempre gli stessi: “Ah, il sindacato. Bella roba!” e si tira via, senza nemmeno leggere. Ci siamo rimasti tutti scottati. Dovrebbero occuparsi di queste cose dei giocatori di calcio. L’uomo adatto sarebbe Campana, che è laureato in legge e conosce tutti i nostri problemi. Ecco, con Campana a guidare un sindacato penso che si iscriverebbero tutti».
Come dire: ecco uno che guarda lontano. Lo stesso Losi dimostra idee chiare sui compiti, tremendamente concreti, che il sindacato “vero” si troverebbe di fronte:
«Assicurare un avvenire a tutti. Ne ho visti, durante la mia carriera, di giocatori rovinarsi, restare al verde, essere costretti a emigrare per non morire di fame. Siamo degli sbandati ai margini della società. La gente si diverte, ci paga, ci porta alle stelle. Poi si spengono le luci della ribalta e ognuno resta solo, con le proprie miserie. E se non è stato abbastanza furbo da rinunciare ai facili lussi per mettere da parte, resta un fallito, un uomo su cui la gente punta il dito per poter dire: “Ecco come vanno a finire”. E credo che dicendo così i borghesucci si prendano una specie di rivincita. È giusto tutto questo? Noi non vogliamo i grandi soldi. Vogliamo la sicurezza, la tranquillità, come ce l’hanno tutti, come la pretendono tutti».
LUGLIO 1967
L’idea circola, ma tradurla in pratica non è facile. I grandi capi dei club, della Federcalcio e delle Leghe non possono apprezzare un’iniziativa che mira a limitarne il potere assoluto di decisione riguardo ai calciatori. La stessa “base”, cioè i prestatori d’opera del pallone, abituata a diffidare del sindacato, opporrebbe una tenace resistenza prima di lasciarsi convincere della bontà della nuova istituzione. L’unica possibilità di muovere le acque è in mano ai big, i campioni affermati, i più dotati di prestigio e potere contrattuale nei confronti delle “controparti”.
E in grado anche, sull’onda dell’affetto dei tifosi, di vincere la diffidenza della gente. Il sindacato diventa così un affare da “cospiratori” e la carboneria della situazione ha le maglie azzurre della Nazionale, i cui ritiri concentrano i massimi esponenti del campionato. L’anno, il Sessantotto dei grandi rivolgimenti, è propizio, e tanto più la primavera, consumandosi in questo periodo quella, effimera e tragica, di Praga e il famoso “maggio” degli studenti francesi. In vista della partita del 6 aprile a Sofia contro la Bulgaria per l’andata dei quarti dell’Europeo, gli azzurri allenati da Ferruccio Valcareggi vivono sott’aceto a Coverciano per qualche giorno e là, nelle lunghe ore libere dagli allenamenti, un gruppetto di loro decide di passare all’azione. Vengono stese le basi della nuova organizzazione e si conviene che ad assumerne la direzione debba essere un “professionista”: della legge, ma anche del calcio.
Il perfetto identikit di Sergio Campana, già tracciato da Losi. Campana, raffinato interno di Vicenza e Bologna, ha chiuso da un anno la carriera dei piedi e ha avviato come procuratore legale quella della testa. Mazzola, Rivera e soci gli scrivono una lettera, chiedendogli di mettersi alla testa dell’iniziativa. Per la cronaca, a Sofia gli azzurri perdono 2-3 e lo sfortunato Picchi vi rimedia un infortunio così grave da indurlo a chiudere la peraltro longeva carriera. Auspici solo apparentemente negativi: la strada azzurra avrà come approdo il titolo europeo (tuttora l’unico della storia). Ma torniamo al sindacato. Dopo qualche giorno di riflessione, Campana pronuncia il fatidico “sì”.
17 MAGGIO 1968
L’operazione accende i motori in una riunione a Bologna tra i rappresentanti delle squadre di A e B. Ai comandi, Sergio Campana, assistito da un altro calciatore laureato in giurisprudenza, il terzino della Reggina Carlo Mupo. Fissati i punti programmatici, stabilito il contenuto dello statuto, il nuovo sindacato dei calciatori è pronto a rullare sulla pista.
LE FIGURINE DAL NOTAIO
3 LUGLIO 1968
Davanti al notaio Giancarlo Barassi, nel suo studio di via Fontana 22 a Milano, compaiono i dieci calciatori “costituenti”. Il numero completo (guarda un pò la fantasia) sarebbe undici, ma Eugenio Rizzolini del Parma è assente giustificato. Ecco i nomi snocciolati dal notaio: Campana Sergio, Bulgarelli Giacomo (Bologna), Corelli Gianni (Mantova), Losi Giacomo (Roma), De Sisti Giancarlo (Fiorentina), Rivera Gianni (Milan), Mupo Carlo (Reggina), Mazzola Alessandro (Inter), Sereni Giorgio (Padova), Castano Ernesto (Juventus).
C’è il fior fiore del calcio italiano. E le squadre di appartenenza configurano uno schieramento “completo”, sia quanto a categorie (A e B, cui appartengono Padova e Reggina) sia dal punto di vista geografico. La notizia passa praticamente inosservata. La snobba la maggioranza dei calciatori, diffidente per principio e tanto più per la paternità di un gruppo dei più fortunati, poco importa ai tifosi, che i cervelli dei calciatori li apprezza quando governano i relativi piedi. Il 3 luglio 1968 va in scena una piccola grande rivoluzione, ma quasi nessuno se ne accorge.
2 SETTEMBRE 1968
Ad accorgersene sono costretti i vertici del pallone, chiamati a riconoscere i nuovi interlocutori. Dopo un primo incontro informale col presidente della Federcalcio, Artemio Franchi, ecco quello ufficiale col presidente della Lega professionisti, Aldo Stacchi.
Tutto bene? Tutto bene. Sorrisi, strette di mano, l’Associazione calciatori è la benvenuta, ci mancherebbe. Come segno tangibile di stima verrà ammessa (dopo alcuni mesi di trattative) alle riunioni della Commissione Affari Sindacali della Lega.
28 APRILE 1969
Una bella soddisfazione, per l’Aic, il debutto nella Commissione eccetera eccetera. Una specie di ingresso in società. Peccato che l’avvocato Campana abbia poi modo di scoprire che questa pomposa “Commissione” in cui ha pieno diritto di intervento conta meno di un fico secco.
In verità, il suo compito istituzionale è raccogliere un fastello di chiacchiere, impacchettarlo in confezione regalo e trasmetterlo al direttivo della Lega che provvede coscienziosamente a trovargli confortevole alloggio nel suo archivio a forma di cestino. D’altro canto, però, a questa data quello di Campana è ancora un club per pochi intimi, potendo vantare iscrizioni di giocatori di nove squadre di A (su sedici) e nove di B (su venti). Una rappresentatività ancora minoritaria, che rende indispensabile un successo eclatante in grado di promuovere la visibilità dell’associazione.
Il “listone” di rivendicazioni basilari, già presentato direttamente da Campana al presidente della Lega, Stacchi, nel dicembre 1968 e poi al ministro del Turismo e Spettacolo Natali il 31 marzo 1969, e infine ribadito alla riunione di debutto dell’Aic nella Commissione vedi sopra, si apre con la grande nemica dei giocatori: la “clausola del 40 per cento”.
In base ad essa, ogni club può ridurre del 40 per cento lo stipendio al giocatore che disputi meno di 20 partite (su 30) in Serie A o meno di 24 (su 38) in B. Un problema serio e di immediata presa, come d’altronde gli altri: aumento dei minimi contrattuali, previdenza e assistenza malattia per i familiari, garanzia del pagamento degli stipendi, rappresentanza dei calciatori nella Commissione Vertenze Economiche. Un bel banco di prova per comprendere che dietro la cartapesta dei sorrisi e dei “vedremo” carichi di buone intenzioni vibra il vuoto, o meglio, il silenzio.
PRIMAVERA 1969
Il sindacato all’epoca è ancora in fasce, ha preso sede a Bassano del Grappa, in via Verci 3, presso lo studio di Campana, e ha compreso che solo una clamorosa azione di forza può increspare le acque stagnanti del pallone. Così si decide di concentrarsi sulla questione del 40 per cento, che ha atteso per mesi invano una risposta: ne viene chiesta l’abrogazione con effetto retroattivo, così da salvare gli stipendi della stagione che volge al tramonto. Messa alle strette, la Lega si dice disposta a trattare, ma a partire dalla stagione successiva. Sembra una fiacca schermaglia tra sordi, ma la replica è clamorosa: sciopero!
Con tanto di data: 11 maggio, ovvero penultimo turno di A e quartultimo di B. Una bomba, che ha per primo effetto la corsa all’iscrizione al sindacato da parte dei calciatori. Ai primi di maggio l’Aic conta iscritti in tutte le 36 società di A e B e dunque gode di una rappresentatività senza precedenti che le conferisce forza e autorevolezza.
Sulla “Gazzetta dello Sport” Franco Mentana (padre di Enrico) scrive: «I giocatori hanno atteso troppo, minacciano lo sciopero; la norma deve essere abrogata – secondo loro – con effetto retroattivo. Siamo in un vicolo cieco. La Lega può intervenire presso le società per imporre di non applicarla e quindi di retribuire quei giocatori che non abbiano disputato più di venti partite? Si porrebbe, la Lega, fuori della sua legge. Dice Mazzola: “Per noi è importante l’abolizione di questa norma, perché tutti si rendano conto che non siamo più a vent’anni fa!” Dice Rivera: “Abbiamo atteso sette mesi, adesso siamo stanchi e poniamo l’aut-aut”. Ad un certo punto Stacchi ha anche proposto all’Associazione: “Aspettate fino al 14 maggio. Per quella data verrà radunato il Consiglio direttivo della Lega: ne discuterò con i miei collaboratori”. Ha risposto Rivera: “Noi sciopereremo il giorno 11: vuol dire che il 14 discuterete tutto. I giocatori sono decisi».
10 MAGGIO 1969
La minaccia riesce dove sette mesi di chiacchiere hanno fallito: di colpo la Lega accetta di abrogare la norma del 40 per cento con effetto retroattivo e l’Aic giusto alla vigilia della data fatidica annuncia la revoca dello sciopero. Un copione destinato a ripetersi spesso negli anni a venire, una volta appurata l’implacabile efficacia di quest’arma inedita per il mondo del pallone.
Sul “Gazzettino”, quotidiano veneto, Giorgio Lago intervista Campana ponendogli la domanda chiave: «Senta, Campana, non è stato un bluff quella minaccia di sciopero? “Bluff?” L’avvocato tira fuori da un cassetto della scrivania un pacco di telegrammi. “Dia un ‘occhiata, li conti, sono trentasei, tutti i club di A e B; i telegrammi dicono tutti la stessa cosa: Adesione incondizionata sciopero. Stop. Firmato De Sisti, Picchi, Juliano, eccetera, i trentasei capitani”. Ma non le sembra di essere manicheo: i giocatori tutti angeli, le società tutte diaboliche? “I giocatori lavativi possono essere colpiti in mille modi: con ammonizioni, multe, riduzione dei compensi. Ma non si può togliere il 40 per cento per una partita in più o in meno».
LA… STRADA DELLA RIVOLUZIONE
All’epoca, come visto, le questioni sul tappeto sono tante, tutte riassumibili nella domanda che i giocatori più avvertiti, i fondatori del sindacato, si pongono: «Chi siamo?».
Una domanda tutt’altro che banale o teorica. Il calciatore non aveva uno status giuridico preciso.
Era un professionista, sì, in quanto svolgeva, perlomeno in A, B e C, un’attività retribuita. Ma al contempo poteva definirsi un dilettante, per la mancanza di regole relative alla sua figura.
Il calciatore “apparteneva” al club sin dall’età di quattordici anni, quando il tesseramento dava vita al cosiddetto “vincolo”, chiave di tutto il sistema.
Il calciatore era vincolato al club, che lo poteva cedere a proprio piacimento (ricavandone un introito che non sfiorava neppure l’interessato), poteva allontanarlo per scarso rendimento o comportamento non regolamentare, insomma, sospenderlo e rimandarlo a casa in qualsiasi momento.
Non erano previste nè assistenza sanitaria nè previdenza, cioè contributi pensionistici, trattandosi di un’attività limitata nel tempo, in media una decina o poco più d’anni. È chiaro che era interesse delle società curare i giocatori infortunati, così salvaguardando un proprio patrimonio, ma è altrettanto evidente che nei casi di gravi problemi sanitari il giocatore poteva facilmente essere abbandonato, specie se si profilava il ritiro dall’attività agonistica o un lungo stop corredato di onerose cure chirurgiche o riabilitative. Il sistema non scandalizzava nessuno alla luce degli “ingaggi d’oro”, dimenticando che questi beneficavano una ristretta minoranza di campioni, lasciando allo scoperto tutti gli altri. Molti giocatori dovevano accontentarsi dei minimi contrattuali, ancora piuttosto bassi, e la mancanza di supporti previdenziali minacciava di ridurre il calciatore medio poco propenso al risparmio a ritrovarsi a poco più di trent’anni con scarsi mezzi economici e ancor minori prospettive di trovarsi un lavoro fuori dal calcio, cioè di rifarsi letteralmente una vita.
Su questo corpo sempre più vistosamente malato man mano che il calcio, sospinto dagli introiti del Totocalcio e dagli incassi degli stadi e dei diritti televisivi, andava vorticosamente aumentando il proprio giro d’affari, l’Aic decise di incidere con un bisturi affilatissimo.
Da quel primo successo – l’abolizione dell’iniqua norma del 40 per cento – partì un lungo cammino volto a cambiare completamente la figura del calciatore, capovolgendo i rapporti di forza con i club, in base all’indubbio dato di fatto che è lui, il calciatore, la pedina indispensabile del grande carrozzone.
Parlavamo di configurazione giuridica. Vi sembra un problema astratto, un’astrusità lessicale?
Niente affatto. La morte tragica di Gigi Meroni, il giovane fuoriclasse stroncato da un incidente stradale domenica 15 ottobre 1967 dopo la partita, ebbe strascichi giudiziari chiusi da una sentenza della Corte di Cassazione che nel febbraio del 1971 sanciva che il calciatore era un “lavoratore subordinato”. Un riconoscimento addirittura esplosivo. Basti pensare alla chiusura delle frontiere, da anni vigente nel calcio italiano: come poteva un lavoratore subordinato di uno degli altri paesi aderenti al Mercato comune europeo (il progenitore dell’Europa unita, nato col Trattato di Roma) trovare sbarrate le frontiere d’Italia, membro effettivo dell’istituzione?
Oppure alla impossibilità per un giocatore di rifiutare un trasferimento: come era possibile negare a un lavoratore subordinato la possibilità di “dimettersi”? Questo aspetto, solo uno dei tanti, della “diversità” del mondo del calcio che sempre più difficilmente si conciliava col progresso dei tempi, ottenne un primo riconoscimento nel 1970, col “caso Strada”.
LUGLIO 1970
Aldo Strada, 28 anni, è sceso in C col Monza ed è dunque diventato semiprofessionista. In luglio riceve la classica raccomandata: al mercato è stato ceduto al Cesena per 20 milioni.
Strada si ribella. Potrebbe lamentare le tre fratture a un piede patite nell’ultima stagione come causa di menomazione per uscire dal mondo del calcio, invece preferisce dire la verità: ha avviato a Monza un’attività lavorativa, non se la sente di continuare a giocare a calcio se deve rinunciarvi cambiando sede. La risposta del Monza è in linea con il regolamento, che all’articolo 27 impone ai giocatori di accettare qualunque trasferimento. Strada non ne vuole sapere? Bene rifonda lui al club brianzolo i 20 milioni di mancato introito.
La storia fa rumore, il Monza chiede alla Federcalcio l’autorizzazione a scavalcare la clausola compromissoria (che impone di dirimere le controversie attraverso i tribunali sportivi) per adire il giudice ordinario. L’Aic è sul piede di guerra e la Federcalcio decide di rifiutare l’autorizzazione, per quieto vivere: cosa accadrebbe se un giudice civile si trovasse a valutare la compatibilità con la Costituzione italiana del vincolo a vita dei calciatori? Con crudezza, il caso Strada spiega a tutti che mantenere il vecchio sistema con tutte le sue incrostazioni è ormai impossibile.
FIGURINE DELLA DISCORDIA
OTTOBRE 1970
Il Consiglio dell’Aic chiede che i provvedimenti economici relativi ai calciatori vengano adottati dalla Lega previo accordo coi rappresentanti di questi ultimi. In pratica, l’Aic vorrebbe discutere di stipendi arretrati, sanzioni e quant’altro nell’ambito di una “Commissione paritetica“, cioè con una rappresentanza dotata di uguali poteri rispetto agli interlocutori. Richiesta respinta.
FEBBRAIO 1971
L’Aic protesta contro l’emissione indiscriminata di provvedimenti disciplinari da parte dei club, che, potendo decidere senza contraddittorio, trovano spesso comodo ridurre le spese multando pesantemente i giocatori per infrazioni regolamentari anche veniali («A Landoni il Palermo ha inflitto un milione di multa per essersi rifiutato di salutare l’allenatore, già licenziato dalla società»).
Di fronte a un nuovo caso, quello di Vaiani del Catania, che si è visto chiedere una decurtazione di metà stipendio alla Lega da una lettera del club firmata dal suo presidente squalificato, Campana chiede incontri a Stacchi (Lega) e Franchi (Federcalcio), che tuttavia declinano in quanto… molto impegnati. L’Aic replica proclamando lo sciopero dei piedi per il 2 maggio 1971. La stampa in gran parte si schiera a favore del sindacato e persino il governo, nei panni di Franco Evangelisti, sottosegretario al Turismo e Spettacolo, interviene chiedendo lo spostamento della Lega da Milano a Roma.
28 APRILE 1971
Dopo giorni convulsi di caute aperture e reiterazioni della minaccia, il 28 aprile la Lega concede l’istituzione di una “Commissione per la regolamentazione dei rapporti tra società e calciatori”. E la sospirata commissione paritetica: vi figurano cinque rappresentanti dei club e altrettanti dei calciatori. Lo sciopero viene cancellato. Ma il difficile, avverte Campana, comincia adesso. L’Aic punta forte sulla Commissione paritetica, fissando cinque grandi obiettivi:
1) definizione dello stato giuridico dei calciatore;
2) revisione del vincolo;
3) previdenza e assistenza;
4) abolizione del mercato
5) stop ai mediatori al mercato.
La Commissione si rivelerà però una mezza delusione: i dirigenti della Lega o non vi partecipano (Boniperti non ne varcherà mai l’uscio) o lo fanno senza poteri.
GIUGNO 1971
L’Aic raggiunge tre obiettivi: rivalutazione dei minimi di stipendio per A e B, diritto dei calciatori all’assistenza legale nelle vertenze economiche con la Lega, partecipazione all’amministrazione del Fondo di assistenza alimentato con le multe inflitte ai giocatori dagli organi disciplinari.
11 OTTOBRE 1971
L’Aic si allarga alla Serie C. Giacomini, Pagani e Buccione sono i primi membri della categoria nel Consiglio direttivo dell’associazione.
Nella circostanza si parla per la prima volta anche di diritto di immagine: Romeo Benetti si è rifiutato di posare per le ormai tradizionali figurine. A dicembre Campana si dichiara pronto a un’azione concordata con società, Leghe e Federcalcio per «ottenere che una gran parte della grande massa di denaro mossa dal calcio “rientri” nel calcio».
17 GENNAIO 1972
Viene nominato segretario Claudio Pasqualin, udinese, ex calciatore, laureato in giurisprudenza con una tesi sulla trasformazione delle società calcistiche in società per azioni. La sede dell’Aic viene trasferita da Bassano del Grappa a Vicenza.
LA STRATEGIA DELLA… PENSIONE
11 FEBBRAIO 1972
Previdenza e assistenza diventano gli obiettivi primari. L’Aic, stanca delle continue dilazioni, consegna al presidente della “Commissione per lo studio dei rapporti tra calciatori e società” Franco Carraro un ultimatum: se entro luglio il problema non troverà soluzione, il campionato ’72-73 non partirà.
13 SETTEMBRE 1972
Il presidente della Lega, Aldo Stacchi, resiste in trincea sul fronte pensioni fino a settembre, tra rassicurazioni fumose e tattiche dilatorie. La prospettiva che gli italiani restino senza il campionato mobilita il governo, sensibile ai diritti inalienabili della popolazione. Presso il ministero del Lavoro viene firmato l’accordo sul disegno di legge previdenziale per i calciatori, che il 19 verrà approvato anche dalla Lega. Il 1 ottobre il Consiglio dei ministri licenzierà il progetto, che diventerà legge nel giugno del 1973, con efficacia però retroattiva dal 1 luglio 1972.
Una conquista clamorosa: anche i calciatori hanno diritto alla pensione.
29 GENNAIO 1973
Entra a far parte dell’Aic, grazie al nuovo statuto, anche la Serie D. Dopo le pensioni, il nuovo grande obiettivo è il vincolo. Parola d’ordine: entro cinque anni dovrà sparire dal vocabolario del calcio italiano.
FEBBRAIO 1973
Esce il primo numero de “Il Calciatore”, organo mensile voce dell’Aic.
31 LUGLIO 1973
L’Aic ottiene che anche in C possano essere tesserati giocatori (ufficialmente) professionisti. È il primo passo per l’abolizione della categoria dei “semipro”: le società stipulavano contratti con i giocatori con l’impegno di impiegarli in due allenamenti settimanali e nella partita domenicale; poi regolarmente gli allenamenti diventavano quattro, magari con l’aggiunta del ritiro prepartita, trasformando così l’impegno in professionistico (con scarso tempo da dedicare all’eventuale attività alternativa), mantenendo uno stipendio da semi professionisti. Altre concessioni ottenute dall’Aic sono destinate a cambiare la vita dei calciatori: il diritto al giorno di riposo settimanale, l’abolizione del divieto di allontanarsi dal comune di residenza senza autorizzazione, la riduzione del limite massimo delle multe inflitte dalle società (dal 20 al 10 per cento dello stipendio).
SCALA A CHIOCCIOLA
NOVEMBRE 1973
Con il caso Scala parte l’operazione “firma contestuale”, per ottenere l’accettazione dei trasferimenti da parte dei calciatori. Augusto Scala, centrocampista ceduto a novembre dal Bologna all’Avellino in comproprietà, oppone il gran rifiuto.
Il presidente del club irpino minaccia di fargli chiudere la carriera acquistando l’altro cinquanta per cento, l’Associazione interviene e alla fine l’Avellino “disgustato” si ritira. Scala torna al Bologna dove viene emarginato nella Primavera.
14 APRILE 1974
La situazione di Scala non si sblocca. Dopo un inutile incontro tra Campana e Luciano Conti, presidente del Bologna, l’Aic indice una nuova forma di protesta, il ritardato inizio delle partite.
Domenica 14 aprile le squadre entrano in campo alle 15,30, ma aspettano le 15,40 per dare il via al gioco. Scala ringrazierà per la compattezza dimostrata dai colleghi, ma chiede loro di non scioperare più: attenderà i due mesi e poi a fine stagione lascerà il Bologna, possibilmente senza polemiche.
11 FEBBRAIO 1974
Altra questione ferma: la liquidazione di fine carriera. Altro ultimatum di Campana.
Se, dopo mesi di inutili insistenze, gli interlocutori continueranno a essere sordi, l’Aic adotterà “iniziative idonee”. Ma non lo sciopero: «Potremmo consigliare» spiega Campana «i molti calciatori in attesa delle nostre istruzioni di adire la giurisdizione ordinaria, sfidando in massa i fulmini della clausola compromissoria. Ci sarebbe una vera e propria pioggia di cause di questo genere che potrebbero incrinare seriamente ì nostri rapporti con la Federazione».
27 MARZO 1974
Messaggio recepito: i dirigenti del calcio e l’Aic riuniti a Roma presso la sede del Coni raggiungono un accordo di massima sulla liquidazione per fine carriera, con effetto immediato ancorché non retroattivo, impegnandosi a realizzare una “revisione graduale” del vincolo.
1 OTTOBRE 1974
Dopo un ultimatum a primavera e febbrili trattative, viene siglato l’accordo sul diritto di calciatori e società a partecipare ad iniziative pubblicitarie.
3 DICEMBRE 1974
I calciatori hanno ufficialmente la liquidazione. Viene siglato a Firenze l’accordo per l’indennità di fine carriera ai giocatori di A, B e C. Prevede l’istituzione di un Fondo di accantonamento apposito, amministrato da un comitato misto, a partire dal 1 gennaio 1975.
14 APRILE 1975
L’Aic lancia tre vertenze con tono ultimativo: per l’abolizione della categoria dei semiprofessionisti; contro i mediatori, i re del mercato, a cui vanno circa 2 miliardi l’anno di “tangenti” (come le chiama il sindacato) sulla compravendita dei giocatori; e per la firma contestuale, già avviata col caso Scala.
19 MAGGIO 1975
Di fronte al categorico “no” alle proprie richieste, l’Aic proclama lo sciopero per il 25 maggio, primo turno del girone finale di Coppa Italia e 34′ di B, e il 1 giugno, 35′ di C.
Il presidente del Coni, Giulio Onesti, in apprensione per il Totocalcio, finanziatore di tutto lo sport italiano, assume l’iniziativa organizzando un incontro tra le parti il 22 maggio, nel corso del quale, su promessa di Federazione e Leghe di una nuova normativa concordata, l’Aic annulla lo sciopero.
4 LUGLIO 1975
Alle parole del Palazzo non sono seguiti i fatti e il mercato è andato in scena col pieno contributo dei mediatori. L’Aic preannuncia un nuovo sciopero di protesta durante il girone d’andata dell’imminente stagione. Per intervento del ministro del Turismo e Spettacolo, on. Sarti, lo sciopero verrà annullato a seguito della promessa di una commissione ristretta che entro dicembre dovrà stilare un progetto.
10 NOVEMBRE 1975
Alla riunione indetta per il 10 novembre Lega e Federcalcio si presentano con una rappresentanza di basso profilo, senza alcun potere. Parte una nuova tattica dilatoria.
23 GENNAIO 1976
In una riunione della commissione paritetica alla presenza del ministro Sarti emerge la netta frattura sul tema del vincolo: difeso da Federcalcio e Lega, mentre l’Aic continua a proporre una abolizione graduale, da realizzarsi in un congruo numero di anni attraverso tappe intermedie.
AGOSTO 1976
L’Aic decide un ritardo di quindici minuti alla prima giornata del nuovo campionato, 1976-77, per protestare contro il mercato e i mediatori, colpevoli della lievitazione astronomica dei prezzi (le loro prebende sono calcolate a percentuale) che sta provocando il collasso finanziario delle società.
26 SETTEMBRE 1976
Le partite di B cominciano con un quarto d’ora di ritardo.
3 OTTOBRE 1976
Le partite di A cominciano con un quarto d’ora di ritardo. In entrambi i casi vengono diffusi dall’Aic volantini tra il pubblico per spiegare le motivazioni della protesta. Per il mancato rispetto dell’orario di inizio delle partite, tutti i club di A e B verranno multati dal giudice sportivo.
I presidenti pagheranno, senza fiatare. Nessuno chiederà i “danni” al (sempre più temuto) sindacato.
DEBUTTA LO SCIOPERO
30 GENNAIO 1977
Va in scena il primo sciopero della storia del calcio italiano. Il girone I della Serie D si ferma (con un’unica eccezione: Nuova Igea-Vibonese, a seguito di forti pressioni sui giocatori) a causa del “caso Artico”, un giocatore dello Scicli tenuto fuori squadra senza stipendio e con divieto di allenarsi, malmenato con gravi conseguenze dal presidente dopo un tentativo di accedere agli spogliatoi. E la spia di tanti altri casi del genere, gravi e diffusi. Le società non verranno multate per la mancata disputa, prevedendosi invece il recupero degli incontri come nei casi di forza maggiore. Viene così ufficialmente riconosciuta la liceità dello sciopero. Il presidente colpevole, Guccione, viene condannato dalla giustizia sportiva.
22 APRILE 1977
In una intervista alla “Gazzetta dello Sport” Franco Carraro, presidente della Federalcio, tuona: «La firma contestuale è un argomento sul quale il sindacato calciatori non potrà mai ottenere il consenso della Federazione!».
9 MAGGIO 1977
La lunga lotta ottiene un primo risultato. Un accordo tra Federcalcio e sindacato calciatori prevede, a partire dalla stagione 1978-79 la sparizione della categoria dei semiprofessionisti, grazie alla riforma generale dei campionati di C, imperniata su due campionati prevalentemente professionistici, CI e C2, per un periodo sperimentale di due anni.
13 GIUGNO 1977
Le Leghe di A-B e C, riunite sotto la presidenza di Carraro (che cumula ad interim la presidenza della Federcalcio e quella della Lega), stabiliscono il passaggio delle trattative per il trasferimento dei calciatori alla forma privata. È la “morte del mercato”, come titoleranno il giorno dopo i giornali?
No: di lì a qualche giorno, il mercato si svolgerà secondo l’ormai collaudato (facile) costume.
30 OTTOBRE 1977
Muore in campo Renato Curi, regista del Perugia, durante Perugia-Juventus. L’Aic, che da tempo conduce una battaglia per la tutela preventiva della salute dei calciatori, si costituirà parte civile nel processo contro i responsabili e prima della fine dell’anno prepara un progetto di nuova normativa in materia, che prevede staff sanitari fissi nei club, visite periodiche obbligatorie di controllo, libretti sanitari, istituzione di centri mobili di rianimazione negli stadi e congruo adeguamento della assicurazione obbligatoria dei calciatori. Il progetto verrà accolto dalla Federcalcio, ma limitatamente alle società di A, B e C, a partire dalla stagione 1978-79.
PASSA LO STRANIERO
23 FEBBRAIO 1978
L’Aic e i colleghi europei della F.i.f.Pro vincono la battaglia per la riapertura delle frontiere. La Commissione esecutiva della Cee impone di togliere ogni ostacolo alla libera circolazione dei calciatori dalla stagione 1979-80. Automaticamente, anche il vincolo e l’obbligo di accettazione del trasferimento subiscono un duro colpo.
2 MAGGIO 1978
Federcalcio e Leghe rispondono un secco no alla rinnovata richiesta di “firma contestuale” da parte del sindacato. Campana annuncia «provvedimenti che non potranno non essere di natura sindacale».
11 MAGGIO 1978
È il giorno storico della resa. Federcalcio e Leghe accolgono la richiesta di “firma contestuale”: d’ora in poi i calciatori possono decidere il proprio destino, cioè rifiutare un trasferimento non gradito.
E il primo passo verso lo svincolo. I malumori nell’ambiente sono fortissimi. La ribellione dei presidenti e l’abnorme valutazione di Paolo Rossi (alle buste il “piccolo” Vicenza di Giuseppe Farina si impegna a versare 2 miliardi e 612 milioni alla Juventus, contro gli 875 milioni offerti da quest’ultima), che rischia di mandare a monte ogni progetto di calmierazione dei prezzi, inducono Carraro a rassegnare le dimissioni dalla presidenza della Lega, mantenendo quella della Federazione.
4 LUGLIO 1978
All’hotel Leonardo da Vinci di Bruzzano, dove i presidenti hanno appena ripreso il mercato secondo vecchie abitudini, fanno irruzione i carabinieri, con due funzionari dell’Ispettorato del lavoro di Milano. A mandarli, su esposto dell’Aic, un magistrato, Giancarlo Costagliola, della quinta sezione penale della Pretura del Lavoro, per verificare la presenza di mediatori, cioè stroncare il reato di mediazione di manodopera a scopo di lucro. Vengono sequestrati centinaia di documenti e perquisite una dozzina di stanze d’albergo.
5 LUGLIO 1978
I carabinieri perquisiscono la sede della Lega Calcio, sequestrando i contratti già depositati.
A seguito delle indagini, il pretore dichiarerà definitivamente chiuso il mercato e nulli tutti i contratti stipulati fino a quel momento, oltre a inviare 73 comunicazioni giudiziarie (gli attuali avvisi di garanzia) a dirigenti di società. Il Consiglio direttivo della Lega calcio «invita le società a sospendere ogni attività». Per la prima volta si profila la minaccia di una serrata dei club.
11 LUGLIO 1978
Il governo promette un decreto tampone per la ripresa dell’attività calcistica, con l’impegno a presentare entro un anno alle Camere un progetto di legge per la regolamentazione definitiva dei rapporti tra atleti professionisti e società sportive. I contratti di acquisto e vendita annullati dal pretore riprendono validità.
19 MARZO 1979
Grazie alla lunga battaglia condotta dal sindacato, viene introdotta con una norma federale (ratificata il 31 marzo) la nuova normativa per la tutela sanitaria dei calciatori.
A partire dal 1979-80 le società di A, B, C e D sono obbligate ad avvalersi di un medico sportivo qualificato, coadiuvato da specialisti, e a sottoporre i giocatori ad almeno due visite annuali complete, con istituzione di una cartella sanitaria e un libretto sanitario.
8 GIUGNO 1979
Per far fronte all’impressionante mole di stipendi non pagati soprattutto nelle serie minori, l’Aic annuncia che senza le quietanze liberatorie di tutti i giocatori in credito al 30 giugno 1979, cioè la dimostrazione che i debiti sono stati saldati, i calciatori di tutte le serie, dalla A alla D, non scenderanno in campo alla prima giornata della stagione 1979-80. Risultato: Gallipoli, Vigevano e Crotone non vengono iscritti ai rispettivi campionati e ai primi di settembre ben duecento milioni di stipendi arretrati vengono versati ai giocatori. D’ora in poi la solvibilità del club è condizione indispensabile alla sua sopravvivenza tecnica.
L’ORA DELLA LIBERTA’
4 MARZO 1981
È forse la data storica per eccellenza del sindacato calciatori, che raggiunge il proprio più ambizioso obiettivo: la fine del vincolo. Il Parlamento emana la legge 91, provvedimento sullo sport professionistico che inquadra il professionista sportivo come lavoratore subordinato a tutti gli effetti, col diritto di maturare la pensione a 45 anni e la libertà di scegliersi il club per cui prestare la propria opera.
30 GIUGNO 1981
Sparisce la categoria dei “Semiprofessionisti”. D’ora in poi ci saranno due categorie: professionisti (dalla A alla C2) e dilettanti.
8 LUGLIO 1981
Al termine di una serie di incontri tra l’Aic e rappresentanti di Lega e Federazione viene stipulato l’Accordo Collettivo di categoria, con relativo Contratto Tipo cui dovranno d’ora in poi uniformarsi i rapporti tra società e calciatori.
23 LUGLIO 1981
Tra Aic e Leghe di A-B e C viene stipulata la “Convenzione sulla pubblicità”. I calciatori hanno il diritto di utilizzare liberamente la propria immagine purché non associata al club di appartenenza, di concludere contratti sulle scarpe da gioco da utilizzare in allenamento e in partita e di partecipare agli utili che la società ricavi dai contratti di pubblicità e sponsorizzazione.
Nell’accordo viene riservata all’Aic la gestione economica di iniziative dirette alla realizzazione di album di figurine dei calciatori: una ricca fonte di reddito che assicura al sindacato la completa indipendenza economica. D’ora in poi chi intende realizzare figurine deve chiedere l’autorizzazione all’Aic.
18 OTTOBRE 1982
L’Aic proclama lo sciopero in tre giornate: la A il 31 ottobre, A e B il 7 novembre e A, B, CI e C2 il 21 novembre. Materia: il minimo di stipendio per i calciatori rimasti senza squadra. Ancora una volta, l’intervento in extremis della Federazione risolve il problema, riconoscendo il diritto all”‘indennità di mancata occupazione” per i calciatori a fine contratto a partire dal 1983-84.
12 LUGLIO 1983
A seguito della deliberazione della Federcalcio di un “tetto degli ingaggi” unilateralmente stabilito e della conseguente minaccia del sindacato di non far partire la successiva stagione agonistica, l’incontro tra Federcalcio e Leghe da una parte e Aic dall’altra si conclude con l’abolizione immediata del “tetto” e l’accettazione di altre rivendicazioni del sindacato, che viene riconosciuto ufficialmente «non quale controparte, ma come componente della organizzazione calcistica italiana».
6 MAGGIO 1984
Le partite di Serie A cominciano con un quarto d’ora di ritardo. I calciatori protestano contro due presidenti della massima serie, Angelo Massimino (Catania) e Romeo Anconetani (Pisa): il primo ha aggredito un suo giocatore, Sabadini, che gli chiedeva il pagamento di tre stipendi arretrati dopo la retrocessione della squadra; il secondo ha insultato i giocatori minacciandoli, in caso di mancata conquista della salvezza, di aprire i cancelli dello stadio e “darli in pasto” alla folla inferocita.
AGOSTO 1987
Per la prima volta l’Aic organizza un ritiro precampionato per giocatori disoccupati. Nel centro sportivo di Pomezia vicino a Roma, sotto la guida di uno staff tecnico di allenatori professionisti, i giocatori senza contratto svolgono la preparazione come i colleghi più fortunati, primo passo verso la sistemazione. L’iniziativa verrà istituzionalizzata.
22 FEBBRAIO 1990
Dopo lunga battaglia, l’Aic ottiene l’istituzione del “Fondo di garanzia”, che risarcisca calciatori e allenatori delle somme perdute a seguito di esclusione dei relativi club dai campionati.
28 FEBBRAIO 1990
Entra in vigore il Regolamento che disciplina l’attività del Procuratore sportivo, frutto di una lunga battaglia contro i “maneggioni” che cercano di approfittare della nuova situazione creata dallo svincolo.
7 MARZO 1994
Viene presentato, nella nuova sede di via Ceniglio a Vicenza (inaugurata in gennaio), il nuovo marchio dell’Aic.
L’ERA MODERNA
18 DICEMBRE 1994
La Serie A scende in campo con 45 minuti di ritardo per solidarietà nei confronti dei colleghi meno fortunati: la Federcalcio ritarda infatti il pagamento delle rate del Fondo di garanzia. Il 10 gennaio successivo Figc e Leghe acconsentiranno ad assicurare una migliore operatività del Fondo a favore di giocatori e allenatori in credito.
5 MARZO 1996
Il Consiglio direttivo dell’Aic proclama lo sciopero della Serie A per domenica 17 marzo. Sul tappeto una serie di questioni, su cui primeggiano quella del diritto di voto attivo e passivo nell’ambito del Coni, la minacciata cancellazione della C2 nel nuovo Statuto federale e la partecipazione alle discussioni sul futuro del calcio dopo la sentenza Bosman.
17 MARZO 1996
La Serie A si ferma. La controparte ha deciso di non cedere e di andare a vedere le “carte” di Campana, di cui qualcuno da tempo denuncia un supposto bluff. Risultato: la categoria sciopera, il campionato è fermo.
6 MAGGIO 1996
Dopo una riunione fiume a Milano viene trovato un accordo: azzeramento immediato dei parametri per i trasferimenti all’interno del mercato italiano per i calciatori dalla A alla C2 in scadenza di contratto, costituzione di una Commissione mista per il diritto di voto e pagamento da parte del Fondo di garanzia degli emolumenti a oltre 200 calciatori.
9 LUGLIO 1999
Col decreto Melandri, gli atleti entrano negli organi direttivi del Coni. L’Aic ha diritto di voto per la nomina del presidente federale.
10 APRILE 2000
L’Assemblea Generale delibera di estendere la tutela sindacale Aic a tutti i tesserati delle società appartenenti al settore dilettanti, calcio femminile e calcio a cinque.
28 DICEMBRE 2001
Primo “storico” Consiglio federale a Roma, convocato subito dopo l’elezione del nuovo Presidente della Figc Franco Carraro, con la presenza di calciatori e tecnici.
14 MAGGIO 2002
Il Consiglio Federale del 14 maggio ratifica l’intesa raggiunta da Aic e Lega Dilettanti che prevede l’abolizione graduale del vincolo e la tutela degli accordi economici per i calciatori dilettanti (comprendendo con questo termine naturalmente anche i calciatori di Calcio e 5 e le calciatrici del Calcio Femminile). Dal 1° giugno 2002 cade il concetto di vincolo.
GIUGNO 2002
L’Aic ottiene l’abolizione del provvedimento con cui si era reso obbligatorio l’impiego dei calciatori giovani in serie C.
GIUGNO 2003
Per quanto concerne il settore dilettanti, l’Aic ottiene ulteriori miglioramenti alla normativa in materia di svincolo e deposito dell’accordo economico.
21 OTTOBRE 2004
Aic e Lega Nazionale Dilettanti firmano un protocollo d’intesa che individua con precisione materie di interesse comune e fissa dei principi guida ai quali l’Aic e soprattutto la LND dovranno conformare le rispettive attività istituzionali in previsione di possibili future modifiche regolamentari.
1 FEBBRAIO 2007
Entra in vigore il nuovo Regolamento degli Agenti, nettamente migliorativo rispetto al precedente.
MAGGIO 2011
Dal 9 maggio 2011 Damiano Tommasi è al timone dell’Associazione Italiana Calciatori. Succede allo storico fondatore Sergio Campana