A quindici anni (è nato ad Aberdeen, in Scozia, il 24 febbraio del ’40), un giorno di maggio Dennis Law aspetta diligentemente il suo turno, in mezzo a tanti coetanei, per un provino con l’Huddersfield. Per ingannare il tempo che può fare un ragazzino innamorato del pallone? Palleggiare, naturalmente. Abbastanza per rapire l’attenzione di Bili Shankly, tecnico della prima squadra: «Ragazzi, venite a vedere che roba», osservò sbalordito, poi chiese allo sbarbatello: «Come ti chiami?». Il biondino è arpionato, e a diciassette anni firma il suo primo contratto da professionista. Esordisce in massima serie, e mostra subito le sue qualità: ha il football nel sangue, è un artista del pallone, una mezzala ispirata e generosa («non pare neanche uno scozzese», dirà di lui Walter Winterbottom).
A vent’anni è già nel mirino del Manchester City, che lo paga 53.000 sterline. La sua famiglia vive da quarant’anni di pesca, lassù ad Aberdeen, ma lui si presenta all’appuntamento con la gloria vestito come un dandy. I pratici inglesi arricciano il naso, ma si rilasseranno vedendolo giocare. Disputerà una delle sue partite più memorabili contro il Luton Town in FA Cup. Dopo soli 18 minuti, sotto la pioggia battente, il City sta perdendo 2-0. Law si scatena, segnando sei reti prima del settantesimo, quando l’arbitro dichiara il terreno inagibile e annulla la partita.
Nella primavera del 1961, si scatenano le sirene Italiane. Sul tavolo di Alan Douglas, presidente del City, arrivano cinque richieste ufficiali: le firmano Milan, Inter, Fiorentina, Roma e Sampdoria. Ci sarebbe anche la Juve, ma è fuori tempo massimo. Ma Douglas è già in parola con Gigi Peronace, e mantiene gli impegni presi: Law, scozzese che ha sfondato in Inghilterra, finisce al Torino insieme a Joe Baker, inglese che ha fatto sfracelli in Scozia, con la maglia degli Hibs di Edimburgo. L’arrivo di Law è un’operazione da 190 milioni, ma la spesa sembra giustificata dallo smisurato talento.
Le promesse sono tante e belle. Un Torino uscito malconcio da tante singhiozzanti stagioni (fra cui anche quella del primo scivolone in serie B) sta finalmente rialzando il capo, per riprendersi quel posto che gli spetta nell’eccellenza del nostro calcio, in parte smarrito sin dal giorno di Superga.
Ad un valido gruppo di giovani (fra i quali spiccano Albrigi, Cella, Fossati, Rosato, ma soprattutto Giorgio Ferrini e Lido Vieri), si accosta uno zoccolo di uomini d’esperienza e coriacei, come Bearzot, Buzzacchera, Lancioni, il portiere Panetti, un insieme coronato, appunto, dalle ciliegine dei due nuovi acquisti, deputati a innescare il cambio di marcia che in realtà avviene fra il tripudio della tifoseria.
Law ha un fisico asciutto, nevrile, che lo fa quasi sembrare gracile. Ma non è così. Quando scende in campo si trasforma e sfodera un repertorio di gran classe. Possiede uno scatto bruciante, che lascia sul posto l’avversario, e quando parte in progressione palla al piede diventa irresistibile. Il dribbling, poi, è come una scossa elettrica: fulmina. In questo, a molti tifosi ricorda un altro grande del passato: Faas Wilkes, l’olandese volante, il cui dribbling rapace e razziante, non lasciava scampo.
Così si esprimeva Giancarlo Cella sul suo compagno Law: «Law aveva un talento impressionante. Con lui in squadra ci sentivamo più sicuri e capaci di vincere qualsiasi partita. Certo, era fatto a modo suo, non amava la disciplina, ma quando decideva di giocare. Ricordo che in quella stagione 1961-62, alla fine del girone d’andata eravamo secondi soltanto all’Internazionale, avendo per di più fatto nostro anche il derby con una rete di Baker. Poi, purtroppo, accade l’incidente e tutti noi ne risentimmo».
Già, quel maledetto incidente. E’ l’alba del 7 febbraio 1962, quando, in pieno centro di Torino, Joe perde il controllo della sua Giulietta Sprint. Quando la scena si arresta in un groviglio di lamiere, Baker ha la faccia a pezzi, Law è ferito, ma se la caverà in pochi giorni. Baker scappa in patria, Law resta fino ad aprile, è un idolo dei tifosi, 10 gol in 27 partite. Perde col Napoli in Coppa Italia e se ne va oltre Manica. «lo non sapevo distinguere i buoni dai cattivi – racconterà dopo l’esperienza -, Avrei dovuto affidarmi a Peronace, e a Bearzot che cercava sempre di tenere alto il mio morale. Invece ascoltai troppe campane». Law prende accordi col presidente del Manchester United. Sulla parola. Quando torna In Italia per fare i bagagli, trova ad attenderlo un dirigente della Juve, a cui il Toro lo ha venduto a peso d’oro. «Mi avevano messo sul mercato senza neppure consultarmi. Così decisi di tornare immediatamente in Inghilterra». Fine dell’avventura italiana. E ritorno alla gloria sui campi amici.
L’occasione di tornare in Inghilterra arriva per mano del solito Matt Busby: con il trasferimento di Dennis Viollet allo Stoke City si è liberato un posto all’Old Trafford. Il 18 agosto 1962 Denis Law esordisce con la maglia del Manchester United contro il West Bromwich Albion. La stagione culmina con la vittoria in FA Cup: Law mette a segno la prima rete della finale di Wembley, vinta 3-1 ai danni del Leicester City.
All’inizio della stagione successiva, sull’onda dei gol segnati, viene convocato per la rappresentativa del Resto del Mondo per giocare contro l’Inghilterra a Wembley, a fianco di leggende come Kopa, Di Stefano, Eusébio, Masopust, Yashin, Schnellinger, Djalma Santos e Puskás. Gli inglesi vincono 2-1: il gol del Resto del Mondo è proprio di Law, a segno grazie a un assist da favola di Ferenc Puskás. È la stagione in cui, sempre contro il West Brom, esordisce George Best, una giovane promessa arrivata da Belfast. Con Best e Charlton, Law forma quella che verrà ribattezzata la Santissima Trinità dell’Old Trafford. A fine stagione i gol segnati dallo scozzese saranno 46, e gli varranno il riconoscimento del Pallone d’oro 1964.
Nel frattempo il campionato inglese, stagione 1964/1965, è diventato una corsa a due tra lo United e il Leeds. La sfida si risolve il 26 aprile, quando Law, con sei punti al ginocchio, segna una doppietta nella vittoria 3-1 sull’Arsenal che consegna finalmente il titolo al Manchester United. Nella stagione successiva gli sforzi dei Red Devils sono tutti tesi alla realizzazione del sogno di Matt Busby, la vittoria nella Coppa dei Campioni. L’8 marzo si rivela una serata magica. È il ritorno del quarto di finale contro il Benfica e, di fronte al pubblico dell’Estádio da Luz, il diciannovenne George Best rivela il suo talento al mondo, guidando il Manchester a una vittoria 5-1 contro la squadra di Eusebio. Non è sufficiente per Law e compagni, che vengono eliminati in semifinale dal Partizan Belgrado. Ad aggiungere sale alle ferite c’è anche l’insuccesso nel campionato inglese, vinto dal Liverpool.
Bisogna aspettare il 1967 per vedere di nuovo lo United sul gradino più alto della First Division: l’assalto al titolo europeo è rimandato al 1968, con Law capitano della squadra. Riuscirà a giocare solo fino all’andata della semifinale, vinta 1-0 all’Old Trafford contro il favoritissimo Real Madrid. Nel ritorno al Santiago Bernabeu, lo United rimonta un passivo di 3-1 e pareggia, guadagnandosi il posto per la finale contro il Benfica. Una finale che viene però negata a Law, costretto a operarsi al ginocchio e a seguire da una TV del St.Joseph Hospital di Manchester le gesta dei suoi compagni. Il tempo regolamentare si chiude 1-1, con una rete di Bobby Charlton. Durante i supplementari, nel giro di sette minuti, vanno a segno Best, Kidd e di nuovo Charlton. Il sogno di Matt Busby è realizzato: il Manchester mette finalmente le mani sulla Coppa dei Campioni.
Il momento di gloria sarà l’ultimo per quel Manchester United, che si dirigerà verso un lento declino, segnato anche dai problemi di alcoolismo di George Best. Nel maggio 1969, dopo l’eliminazione dalla Coppa dei Campioni ad opera del Milan, Matt Busby decide di lasciare la panchina della squadra per entrare a far parte della dirigenza. Wilf McGuinness e Frank O’Farrell non otterranno buoni risultati: a fine 1972 viene chiamato a dirigere la squadra lo scozzese Tommy Docherty, manager della nazionale, raccomandato da Law in persona. Pochi giorni dopo il disastro di Monaco del 1958, era stato in sua compagnia che Law si era recato per la prima volta all’Old Trafford.
Law sta programmando il suo ritiro dal calcio giocato, dopo il quale intende entrare nello staff tecnico dello United. Viene perfino organizzato un testimonial, una partita d’addio contro l’Ajax, da tenersi nel settembre 1973, subito soprannominata dai giornalisti The Denis Law vs. Johann Cruyff match. Al testimonial Law non parteciperà (come del resto neanche Cruyff, ceduto dall’Ajax al Barcelona pochi giorni prima): l’ironia della sorte vuole che sia proprio Docherty a farlo fuori dallo United, inserendolo nella lista gratuita.
La possibilità di partecipare alla Coppa del Mondo del 1974 è la motivazione che spinge Law a non ritirarsi e ad accettare un’offerta del Manchester City dove chiude con 22 partite e 9 gol, non prima di aver chiesto l’approvazione a Matt Busby.
L’ultimo match di Dennis Law è proprio il derby di Manchester. La crisi dello United del dopo-Law porta la formazione a lottare per la retrocessione: verdetto che, a due giornate dalla fine, può essere ancora evitato. L’occasione per salvare la stagione, in tutti i sensi, sembra essere arrivata: derby in casa contro un City che ormai non ha più nulla da chiedere. Ma è qui che da simbolo Denis Law si trasformerà in carnefice.
I Reds devono assolutamente vincere se vogliono provare a salvarsi. La gara, dopo ottantaminuti, si sta incanalando verso uno 0-0 che non servirebbe comunque alla formazione di casa, visti i risultati dagli altri campi. Poi, Francis Lee dalla destra serve Law spalle alla porta che, quasi distrattamente, calcia con un colpo di tacco in fondo al sacco. La sua reazione è glaciale: nel suo volto c’è delusione e l’ombra di quelle lacrime che molto probabilmente avrà pianto dentro lo spogliatoio nel quale si accomoderà immediatamente dopo aver condannato la sua squadra alla retrocessione. Sarà la sua ultima gara in carriera. I tifosi dello United invaderanno poi il campo, decretando il termine della sfida prima del triplice fischio, tra le urla festanti di quelli del City, increduli per quanto accaduto. Law, un “diavolo” tanto odiato per più di un decennio, aveva condotto il nemico nell’inferno della seconda divisione.
Una carriera, quella di Law, dedicata a segnare gol, tutti firmati dal suo marchio di fabbrica: quell’esultanza con il braccio destro alzato, il polsino della manica lunga perennemente stretto in mano. Tutti e 257 tranne quello, il gol che condanna la sua vecchia squadra alla retrocessione, sancendo la fine dell’era d’oro del Manchester United. Il braccio di Law rimane a mezz’aria, i compagni si avvicinano per festeggiarlo. Lui cammina, a testa bassa, e si dirige verso la rimessa laterale per farsi sostituire. I tifosi invadono il campo e l’arbitro, David Smith, fischia la fine della partita con otto minuti d’anticipo. Denis Law non calcerà mai più un pallone nella sua carriera di club.