Per il bomber tedesco, superare le difese avversarie era facile; ma non la temibile “Sigurimi”, la polizia segreta dell’Albania comunista, dove viveva la donna che gli aveva rubato il cuore.
Nel freddo dicembre del 1967, la nazionale della Germania Ovest si recò in Albania per una partita di qualificazione agli Europei. Tra i convocati c’era un giovane attaccante di 22 anni destinato a diventare una leggenda del calcio mondiale: Gerd Müller. Quel giorno, il futuro bomber non scese in campo, ma il suo cuore fu comunque protagonista di un evento che avrebbe segnato la sua vita.
La delegazione tedesca alloggiava all’Hotel Dajti, il migliore che l’Albania potesse offrire all’epoca. Fu qui che il destino fece incontrare Gerd con una giovane cameriera albanese, conosciuta solo con il nome di Hojna. In un paese isolato dal mondo esterno, governato da un regime comunista oppressivo, nacque una scintilla che avrebbe continuato ad ardere per anni.
L’incontro fu breve, furtivo, ma intenso. Gli sguardi si incrociarono nei corridoi dell’hotel, parole sussurrate in lingue diverse ma con lo stesso linguaggio del cuore.
Il contesto storico: l’Albania di Enver Hoxha
L’Albania degli anni ’60 e ’70 era uno dei paesi più chiusi e isolati del mondo. Sotto la dittatura di Enver Hoxha, il paese viveva in uno stato di paranoia costante, controllato dalla temuta polizia segreta, la Sigurimi.
Hoxha aveva preso il potere nel 1944 e aveva instaurato un regime comunista di stampo stalinista. Negli anni, aveva rotto i rapporti prima con la Jugoslavia di Tito, poi con l’Unione Sovietica di Krusciov, e infine anche con la Cina di Mao. L’Albania si era così ritrovata completamente isolata, un’isola di estremismo ideologico in un’Europa che, seppur divisa dalla Cortina di Ferro, stava lentamente evolvendo.
In questo clima di terrore, ogni contatto con stranieri era visto con sospetto. I cittadini albanesi rischiavano severe punizioni, inclusa la prigione o addirittura la pena di morte, per il semplice fatto di parlare con un “forestiero”. La paranoia del regime era tale che persino possedere una radio che potesse captare frequenze straniere era considerato un crimine.
È in questo contesto che dobbiamo immaginare l’incontro tra Gerd e Hojna: un momento di umanità in un mare di paura e sospetto. Per Hojna, anche solo scambiare qualche parola con Müller rappresentava un rischio enorme. Per Gerd, abituato alla libertà dell’Occidente, doveva essere difficile comprendere appieno la situazione in cui si trovava la ragazza.
L’ascesa di Gerd Müller
Mentre il suo cuore batteva per una ragazza dall’altra parte della cortina di ferro, Gerd Müller stava diventando uno degli attaccanti più letali nella storia del calcio. La sua carriera fu un crescendo di successi e record che lo portarono a essere considerato uno dei più grandi cannonieri di tutti i tempi.
Con il Bayern Monaco, Müller vinse quattro titoli della Bundesliga (1969, 1972, 1973, 1974) e tre Coppe dei Campioni consecutive (1974, 1975, 1976). La sua abilità nel trovare la rete era quasi sovrannaturale. Basso di statura (solo 1,76 m) ma dotato di un fisico possente e di un’agilità sorprendente, Müller era capace di segnare in ogni modo: di testa, di piede, in acrobazia. La sua specialità erano i gol “sporchi”, quelli segnati nell’area piccola, spesso con tocchi di prima che sorprendevano i difensori.
Con la nazionale tedesca, si laureò campione d’Europa nel 1972 e del mondo nel 1974. Fu proprio un suo gol, nella finale contro l’Olanda, a regalare alla Germania Ovest il titolo mondiale.
I suoi numeri parlano da soli: 1461 gol in carriera, 365 gol in Bundesliga (un record che resiste ancora oggi), 66 gol in 62 partite con la nazionale tedesca. Vinse due Scarpe d’Oro europee (1970 e 1972) come miglior marcatore dei campionati europei, e il prestigioso Pallone d’Oro nel 1970.
Non a caso, si guadagnò il soprannome di “Bomber der Nation” (Il Bomber della Nazione). La sua capacità di segnare era tale che si diceva che quando Müller era in campo, la sua squadra partiva praticamente con un gol di vantaggio.
1971: il secondo incontro
Il destino volle che le strade di Germania Ovest e Albania si incrociassero nuovamente nel 1971, questa volta per le qualificazioni agli Europei del 1972. La delegazione tedesca tornò all’Hotel Dajti, e con essa Gerd Müller.
Per Müller, deve essere stato un momento di grande emozione e trepidazione. Avrebbe rivisto Hojna? Lei si sarebbe ricordata di lui? E soprattutto, come avrebbero potuto comunicare sotto gli occhi vigili del regime?
Il 17 febbraio 1971, tre giorni dopo San Valentino, la Germania Ovest scese in campo allo stadio “Qemal Stafa” di Tirana. Questa volta, Müller non solo giocò, ma segnò l’unico gol della partita al 38° minuto, regalando la vittoria alla sua squadra.
Possiamo solo immaginare se la presenza di Hojna all’hotel abbia in qualche modo ispirato la sua prestazione. Forse, in quel gol c’era tutto il desiderio di impressionare la ragazza, di mostrarle chi era veramente quel giovane tedesco che aveva incontrato quattro anni prima.
La partita si svolse in un’atmosfera tesa. Il regime albanese aveva riempito lo stadio di soldati e poliziotti per intimidire i giocatori tedeschi. Ma Müller, con la sua solita freddezza, non si fece impressionare. Il suo gol fu un classico della sua produzione: un tocco rapido in area di rigore, anticipando difensori e portiere.
Dopo la partita, Müller e i suoi compagni tornarono all’Hotel Dajti. Ci fu un altro breve incontro con Hojna? Le cronache non lo riportano, ma possiamo immaginare che i due abbiano trovato un modo per scambiarsi almeno uno sguardo, un sorriso, un cenno di riconoscimento.
L’impossibile sogno d’amore
Nonostante il successo sul campo, Müller non poteva liberarsi del pensiero di Hojna. Ma le circostanze erano contro di loro. L’Albania rimaneva un paese inaccessibile per i turisti, e le opportunità per Müller di tornare erano limitate alle partite internazionali.
Per Müller, abituato a superare ogni ostacolo sul campo da calcio, questa situazione doveva essere particolarmente frustrante. Come poteva un uomo capace di segnare contro le difese più forti del mondo essere impotente di fronte a un regime politico?
Purtroppo, né la Germania Ovest né il Bayern Monaco furono più sorteggiati per giocare in Albania durante la carriera di Müller. Il sogno di rivedere Hojna sembrava destinato a rimanere tale.
Nel frattempo, la vita di Müller proseguiva tra successi e gloria. Si sposò con la sua fidanzata di lunga data, Uschi, nel 1967, e la coppia ebbe una figlia nel 1971. Ma il pensiero di quella cameriera albanese, simbolo forse di un amore impossibile e di una vita che avrebbe potuto essere, non lo abbandonava.
Per Hojna, la situazione era ancora più difficile. Vivendo in un regime totalitario, non aveva modo di cercare informazioni su Müller o di seguire la sua carriera. Poteva solo sperare che un giorno, per qualche miracolo, il calciatore tedesco sarebbe tornato in Albania.
L’ultimo tentativo
La storia avrebbe potuto finire qui, ma nel 1985, quattro anni dopo il ritiro di Müller dal calcio professionistico, si presentò un’opportunità inaspettata. Il Flamurtari FC, club albanese, si qualificò per la Coppa delle Coppe e fu sorteggiato per affrontare l’HJK Helsinki nel primo turno.
In un gesto che dimostra quanto fosse profondo il suo sentimento, Müller contattò l’HJK con una richiesta straordinaria: voleva un contratto per una singola partita, solo per poter viaggiare in Albania con la squadra. “Voglio vedere la mia ragazza“, avrebbe detto Müller ai dirigenti del club finlandese.
La richiesta metteva l’HJK in una posizione difficile. Da un lato, avere una leggenda come Müller, anche se a fine carriera, sarebbe stato un colpo mediatico senza precedenti. Dall’altro, c’era il timore di provocare un incidente diplomatico. Nonostante la recente morte di Enver Hoxha, l’Albania rimaneva un paese chiuso e pericoloso.
I dirigenti dell’HJK devono aver discusso a lungo sulla questione. Immaginiamo le riunioni, le telefonate, forse anche le consultazioni con il governo finlandese. Alla fine, prevalse la cautela. L’HJK declinò la richiesta di Müller. La notizia trapelò e fu pubblicata sul giornale finlandese Italehti, rivelando al mondo questo capitolo romantico e struggente della vita del grande attaccante.
Per Müller, deve essere stata una delusione enorme. Era il suo ultimo tentativo di rivedere Hojna, ed era fallito. Per la prima volta nella sua vita, forse, si trovava di fronte a un ostacolo che non poteva superare con la sua abilità o la sua determinazione.
Il mistero di Hojna
Uno degli aspetti più intriganti di questa storia è il mistero che avvolge Hojna. Non sappiamo se questo fosse il suo vero nome o un nomignolo. Non conosciamo il suo cognome, né cosa le sia accaduto dopo gli incontri con Müller.
In un’Albania dove ogni contatto con gli stranieri poteva essere punito severamente, Hojna doveva aver corso rischi enormi anche solo parlando con Müller. La paura delle rappresaglie del regime, unita alla mentalità conservatrice della società albanese dell’epoca, potrebbe spiegare perché la sua identità sia rimasta nascosta fino ad oggi.
Possiamo solo immaginare cosa sia successo a Hojna dopo quegli incontri. Ha continuato a lavorare all’Hotel Dajti? È stata scoperta e punita per i suoi contatti con Müller? O forse è riuscita a mantenere il segreto, portandosi dentro per anni il ricordo di quell’incontro speciale?
E cosa pensava lei di Müller? Sapeva chi era veramente? Aveva capito la sua fama di calciatore? O per lei era semplicemente un giovane straniero affascinante, un assaggio di quel mondo oltre i confini che le era precluso?
Queste domande rimarranno probabilmente senza risposta. Il mistero di Hojna aggiunge un elemento di fascino e malinconia a questa storia, rendendola ancora più toccante.
L’Hotel Dajti: un monumento al passato
L’Hotel Dajti, teatro di questo amore impossibile, ha una storia interessante di per sé. Costruito negli anni ’40 su progetto dell’architetto italiano Gherardo Bosio, l’edificio era il fiore all’occhiello dell’ospitalità albanese durante il regime comunista.
Bosio, che aveva progettato anche i viali e il centro di Tirana, aveva creato un edificio che univa elementi dell’architettura razionalista italiana con dettagli ispirati alla tradizione albanese. L’hotel, con la sua vista panoramica sulla città e sul monte Dajti da cui prendeva il nome, era considerato il non plus ultra del lusso nell’Albania comunista.
Era qui che venivano ospitati i rari visitatori stranieri, per lo più diplomatici o delegazioni sportive come quella della Germania Ovest. Per gli albanesi comuni, l’Hotel Dajti era un luogo misterioso e inaccessibile, simbolo di quel mondo esterno da cui erano tagliati fuori.
Oggi, l’hotel non esiste più come tale. Diventato monumento culturale nel 2002, l’edificio è chiuso al pubblico e di proprietà della Banca Nazionale d’Albania. Rimane come testimone silenzioso di un’epoca passata e di una storia d’amore che ha sfidato i confini e le ideologie.
Le sue stanze vuote, i corridoi silenziosi, conservano forse ancora l’eco di quei brevi incontri tra Gerd e Hojna. È facile immaginare i due giovani che si incrociano furtivamente in un corridoio, scambiando sguardi carichi di emozione sotto gli occhi vigili del personale dell’hotel e, probabilmente, degli agenti del Sigurimi.
Il viale del tramonto
Il crollo del regime comunista in Albania nel 1992 segnò la fine di un’epoca di isolamento e oppressione. Le frontiere si aprirono, permettendo finalmente agli albanesi di connettersi con il resto del mondo. Ma per Gerd Müller e Hojna, questa libertà arrivò troppo tardi.
Müller, ritiratosi dal calcio professionistico, aveva intrapreso una nuova carriera come allenatore delle giovanili del Bayern Monaco. La sua vita aveva preso una direzione diversa, lontana da quei ricordi di gioventù in un hotel di Tirana. Eppure, chi lo conosceva bene notava a volte uno sguardo distante nei suoi occhi, come se una parte di lui fosse rimasta ancorata a quel lontano passato.
Nel 2015, la notizia della diagnosi di Alzheimer di Müller scosse il mondo del calcio. La malattia, implacabile, iniziò a erodere i ricordi di una carriera leggendaria. Forse, in qualche angolo della sua mente, persisteva ancora l’immagine di una giovane cameriera albanese, ultimo baluardo contro l’avanzare dell’oblio.
Il 15 agosto 2021, Gerd Müller si spense all’età di 75 anni, lasciando un vuoto incolmabile nel mondo del calcio. La sua scomparsa fu pianta non solo in Germania, ma in tutto il mondo calcistico. I tifosi ricordarono i suoi gol straordinari, la sua umiltà fuori dal campo, la sua dedizione al gioco. Pochi, però, conoscevano la storia del suo incontro con Hojna, un capitolo romantico e malinconico della sua vita che ora si chiudeva definitivamente.
Di Hojna, il destino rimane un mistero. Dopo la caduta del regime, molti albanesi cercarono fortuna all’estero. Altri rimasero, cercando di ricostruire le loro vite in un paese che si apriva al mondo dopo decenni di isolamento. Forse Hojna era tra loro. Forse seguì le gesta di Müller sui giornali finalmente disponibili, o forse il ricordo di quel giovane calciatore tedesco si era sbiadito nel corso degli anni. Chissà se la notizia della morte di Müller raggiunse mai le sue orecchie e quali emozioni possa aver suscitato.
A cavallo tra epica calcistica e racconto romantico, questa vicenda mette in luce l’intreccio tra i grandi eventi storici e le esperienze individuali. Il “Bomber der Nation” e la cameriera albanese, separati da un muro invisibile ma impenetrabile, rimangono simboli di un’epoca in cui anche il più semplice gesto d’affetto poteva essere un atto di ribellione.