Quella telefonata a casa Lo Bello

Dopo Lazio-Milan del 21 aprile 1973, la partita dell’annullamento del gol di Chiarugi nel finale, il Corriere d’Informazione pubblicò il numero privato dell’arbitro siciliano e tentò di parlare con lui.

Sabato 21 aprile 1973, una data passata alla storia del calcio italiano. Fu il giorno del gol (regolare) annullato al rossonero Luciano Chiarugi in un Lazio-Milan di campionato pregno di polemiche. A vincere (2-1) furono i biancocelesti di Tommaso Maestrelli ma la decisione dell’arbitro Concetto Lo Bello, che annullò la rete del pareggio milanista, scatenò un’apocalisse di polemiche, accuse, contestazioni e proteste. Un episodio che – numeri finali alla mano – decise lo scudetto 1972/73, vinto al fotofinish dalla Juventus nella domenica della “Fatal Verona” dove andò ad arenarsi il Milan di Nereo Rocco. Una pagina indelebile.

Il Corriere d’Informazione, diretto da Gino Palumbo, edizione pomeridiana del Corriere della Sera, sei giorni dopo quella partita fece un titolo in prima pagina da sentenza inappellabile: “Lo Bello è finito”. E aggiunse: “Rivera è squalificato ma tornerà a giocare”. Il quotidiano del pomeriggio di via Solferino, pubblicato tra il 1945 e il 1981, rincarò la dose parlando di “scandalosi tentativi di vietare lo scudetto del Milan”.

Al centro della prima pagina spiccava la foto della terna arbitrale: Concetto Lo Bello al centro e i suoi fedeli guardialinee Franco Di Gaetano da Siracusa e Pietro Nicolosi da Acireale ai lati. “Guardialinee spia”, li definì il Corriere d’Informazione in riferimento alle dinamiche che avevano portato alla maxi squalifica di Gianni Rivera dopo quel tormentato Lazio-Milan. “Due compagni fidati e dalle orecchie pronte a intercettare ogni sussurro dei calciatori”, specificò l’autore del pezzo.

La Federcalcio fu costretta ad aprire un’inchiesta. A pagina 3 uscì un altro articolo al fulmicotone: “Il fischietto che uccide ha colpito ancora”. Colonne grondanti rabbia per la decisione del direttore di gara siciliano, parlamentare in carica della Democrazia Cristiana, che aveva determinato la sconfitta della squadra di Rocco. L’arbitro di Siracusa venne paragonato al settimo cavalleggeri contro gli indiani.

La Notte del 27 aprile 1973

“Lo Bello ha colpito ancora. Quattro giornate di squalifiche a Rivera, Rocco sospeso fino al 26 luglio. Se le sanzioni rimarranno invariate, il campionato-super di Rivera, uomo regia e capocannoniere, si è chiuso all’Olimpico, così come s’era chiuso a Cagliari l’anno scorso con cinque giornate di anticipo. Al di là dell’errore di valutazione sul gol di Chiarugi, a rendere insopportabile l’arbitraggio di Lo Bello all’Olimpico ha contribuito la sua arroganza e la sua insensibilità umana e psicologica”, scrisse il quotidiano milanese che chiuse con un periodo al vetriolo: “Al Milan non era gradito e lo sapeva: da duro qual è ha voluto far vedere che era lui il più forte. E così Rivera e Rocco pagano fin troppo salate le loro relative colpe. Lo Bello la mazzata l’ha data alla sua credibilità di arbitro al di sopra di ogni sospetto. La classica zappa sui piedi: succede, specie a chi tira troppo la corda”.

“Pronto, casa Lo Bello?”

Nella stessa pagina colpì un altro titolo: “L’onorevole c’è, non c’è, ha sbagliato”. Il Corriere d’Informazione pubblicò persino il numero di casa dell’arbitro di Siracusa. Un giornalista telefonò a casa Lo Bello, di buon mattino tanto “l’onorevole è uno che si alza presto”. Partì la telefonata, a rispondere fu una voce femminile. Il giornalista declinò generalità e testata di appartenenza, aggiungendo anche il nome di chi gli aveva fornito il numero. “C’è l’onorevole, per favore?”, chiese il redattore del Corriere d’Informazione. “Un attimo, forse è già uscito. Adesso guardo se sta uscendo”. Il giornalista rimase in linea. Dall’altra parte, il microfono della cornetta, non coperto in modo adeguato, fece trapelare tutto. In particolare la voce di un uomo: “Chi è?”. Pausa. Poi sempre la voce di un uomo: “Digli che ha sbagliato numero”. Seguì una voce di donna: “Come faccio, se prima…”. L’uomo divenne incalzante: “Digli che ha sbagliato!”. La donna rimise la cornetta all’orecchio dicendo: “Guardi, ha sbagliato”. Il giornalista non si arrese: “E’ sicura?”. Nuova risposta: “Si, ha sbagliato numero”. Fine della chiamata a casa Lo Bello.

La redazione milanese effettuò una verifica tramite il servizio 181 relativo agli abbonati telefonici. Venne fuori un altro numero dove a rispondere fu un uomo che affermò: “Ha sbagliato, purtroppo sulla guida il mio numero risulta quello di Lo Bello, non so come mai. E’ un guaio, continuano a telefonarmi”. Il numero giusto era quello precedente e che ai successivi tentativi risultò sempre occupato. Giovanni Bovio, esperto di diritto sportivo, definì la squalifica di Rivera “una sentenza sbirraiola”. Padre Eligio parlò di “faide e vendette che rovinano il calcio”. Nereo Rocco sostenne che “un arbitro di A non può stare sulla breccia più di sei o sette anni”.

Trapelò persino l’indiscrezione di una presunta sfuriata di Lo Bello, a fine partita, verso un suo guardalinee. Non venne specificato il destinatario della reprimenda: Nicolosi, quello che sbandierò l’inesistente fuorigioco di Chiarugi, oppure Di Gaetano, quello che indusse l’arbitro a cacciare dalla panchina il Paron e per questo definito da Rocco “Tom Ponzi”.

Dopo le squalifiche di Rivera e del Paron, il presidente rossonero Albino Buticchi si presentò dimissionario al Consiglio di amministrazione del Milan, chiedendo ai tifosi la massima serenità nei successivi impegni casalinghi e rispetto nei confronti degli arbitri che avrebbero diretto le restanti partite di campionato dei rossoneri. A questo scopo vennero distribuiti a Milano circa centomila volantini. Leone Dogo (La Notte) parlò di “sentenza che falsa la scala degli attuali valori del campionato e che punisce il gioco del calcio, perché lo danneggia nei suoi valori sportivi”.

L’incontro Rocco-Lo Bello in Sicilia

Tre mesi dopo Lazio-Milan, Nereo Rocco e Concetto Lo Bello s’incontrarono in Sicilia. L’occasione fu il matrimonio di un cronista siculo-lombardo, amico del Paron e dell’arbitro siracusano. Il banchetto nuziale si tenne a Viagrande, paesino della provincia di Catania. Nello stesso tavolo trovarono posto Rocco, Lo Bello e Pietro Nicolosi, il guardalinee che aveva sbandierato l’inesistente fuorigioco di Chiarugi nella famigerata partita del 21 aprile.

Durante il pranzo nuziale, i commensali parlarono di tante cose. Da quel tavolo, il dialetto siciliano, con inflessione acesi o aretusee, si mischiava con quello triestino, non senza battute ironiche prive di sarcasmo. L’allenatore del Milan apprezzò il vino dell’Etna che venne offerto insieme a pietanze della migliore tradizione enogastronomica siciliana. Alla fine del banchetto, Rocco, Lo Bello e Nicolosi si salutarono con grande cordialità. L’unico rammarico di Nereo, quel giorno, fu di non aver trovato al tavolo anche Gianni Brera e Nicolò Carosio, amici suoi e di Concetto Lo Bello.

Quasi arrivato dentro l’automobile che doveva condurlo all’aeroporto Fontanarossa di Catania, Rocco si fermò dicendo a Lo Bello: “Onorevole, non si dimentichi di salutarmi il profumiere”. Si riferiva a Di Gaetano, guardalinee di Lazio-Milan, lo stesso che aveva determinato l’espulsione del Paron negli attimi finali dell’incontro dell’Olimpico. Concetto Lo Bello, che non diresse più partite della squadra rossonera, appese il fischietto al chiodo nel maggio del 1974 dopo aver diretto la finale di Coppa Uefa, a Rotterdam, tra Feyenoord e Tottenham. Nella sua ultima partita da arbitro, Lo Bello chiese e ottenne la designazione come guardalinee di suo figlio Rosario, giovane giacchetta nera di 28 anni. Lo stesso che, il 22 aprile 1990, allo stadio Bentegodi, diresse la partita dell’altra “Fatal Verona” rossonera.