SERIE A 1937/38: AMBROSIANA-INTER

L’Ambrosiana vince un torneo emozionante ed incerto, con cinque rivali in due punti all’ultimo turno. Il Bologna fallisce l’operazione Sudamerica. Schiavio saluta il calcio. Atalanta e Fiorentina retrocedono.

Riassunto del Campionato

Il Bologna è il rivale da sconfiggere, ma stavolta l’operazione Sudamerica fallisce: i “colpi” oltreoceano (l’uruguaiano Albanese e il brasiliano Liguera) si riveleranno “flop”. In più, lo stanco Schiavio, tornato al suo ruolo, non regge più e dopo sei giornate saluta il calcio. Esordiscono nella serie A l’Atalanta, sfortunata, e la Sampierdarenese, nome nuovo del vecchio Liguria.

È un torneo emozionante ed incerto fino all’ultimo istante, che anticipa la terza edizione dei Mondiali, in Francia. La Juventus domina le prime partite, tenendo la vetta per i primi otto turni, con la saltuaria compagnia della Roma, poi si fa avanti l’Ambrosiana, che raggiunge la prima posizione isolata al decimo turno e il 9 gennaio 1938 è campione d’inverno con 23 punti davanti a Bologna, Genova e Juventus a quattro distanze. Il rinato Genova diventa protagonista, vince a Firenze e si porta a un punto dai nerazzurri, raggiunti però dalla Juventus, che li supera alla ventiquattresima.

Finale al fotofinish, con i nerazzurri di nuovo in testa alla penultima e l’ultima giornata con cinque squadre (Ambrosiana, Juve, Bologna, Genova e Milan) in due soli punti. Vincendo a Bari, i giocatori di Castellazzi si aggiudicano la corsa, mentre in fondo l’Atalanta torna in B insieme alla Fiorentina, condannata da tempo.

Nerazzurri con Meazza e tanta concretezza

La scaramanzia del Presidente Pozzani ad inizio stagione: non è stato di parola…

Ferdinando Pozzani, noto come “generale Po” per il suo carattere autoritario e il suo sigaro sempre acceso, è il presidente ambizioso dell’Ambrosiana-Inter, una squadra che segue una tradizione tipica dei nerazzurri: lottare per lo scudetto con meriti spesso sottovalutati e con tante delusioni da superare. Nell’estate del 1937, decide di intervenire personalmente sul mercato, rinnovando la difesa con l’acquisto di due giocatori “pesanti”: il centromediano Olmi dal Brescia e il terzino Setti dal Bari. In attacco, rinforza il reparto con i fratelli Ferrara dal Napoli: Nicola, originario di Chiaromonte (Potenza), e Antonio, nato a San Fernando in Argentina. Due interni-ali che si alternano nel quintetto offensivo.

La guida tecnica, dopo tanti allenatori stranieri, viene affidata all’ex nerazzurro Armando Castellazzi, che dimostra di avere le idee chiare fin dall’inizio, individuando subito i titolari e costruendo un complesso dall’ottimo potenziale offensivo, sostenuto da uno spirito di gruppo capace di imporsi anche contro avversari più dotati tecnicamente. In effetti la svolta “italiana” ha tolto fronzoli al gioco, per versarvi il calcestruzzo di garretti e cuori d’acciaio.

In porta, c’è il bravo Peruchetti, trent’anni di qualità ed esperienza, detto “Pantera nera”, abile nelle respinte di pugno che talora raggiungono la metà campo. Davanti a lui presidiano l’area i validi Buonocore, combattente irriducibile, e Setti, dal caratteristico fazzoletto nero sul capo: non veloce, supplisce con il senso della posizione e la gagliardia nei corpo a corpo, oltre a possedere un lancio di sessanta-settanta metri di grande precisione; leggendaria la sua parsimonia, per cui a ogni sconfitta resta recluso in casa tutta la settimana, non avendo da spendere i soldi del premio-partita.

I titoli del Littoriale e de La Stampa

In mediana il piatto forte lo serve Locatelli, rapidissimo nei recuperi, titolare in Nazionale; accanto a lui il superbo Olmi, centromediano di gran tempra, forte in difesa ma fondamentale soprattutto nella precisione degli appoggi (sarà nella rosa iridata di Francia), e a sinistra il gregario Antona, mastino oscuro di modi spicci ed elevato rendimento. L’attacco sfonda sulle corsie esterne con l’agile e leggero Frossi, l’occhialuto studente già campione olimpico nel 1936 a Berlino, e a sinistra con le ficcanti incursioni di Ferraris II, mai così concreto ed essenziale nel gioco. Alle spalle, il magistero e la continuità atletica di Giovanni Ferrari, abituato a giocare allo stesso (sfiancante) ritmo dal primo all’ultimo minuto, impegnato nel lavoro di cucitura al servizio della squadra. A coadiuvarlo, in alternativa, i due Ferrara, due piccoletti di buona qualità, agili e guizzanti, con qualche orpello “sudamericano” di troppo, ma anche tante iniezioni di fantasia.

Infine, al centro dell’attacco, forse il miglior Meazza di sempre, ispirato forse dall’approssimarsi di un nuovo appuntamento mondiale e sostenuto dalla pienezza della maturità. A ventisette anni, il “Balilla” semina il terrore tra le difese avversarie, grazie alla sagacia tattica che lo porta ad arretrare per poi piombare alla conclusione con le sue serpentine vincenti. Un Meazza semplicemente mostruoso, trascinatore della squadra e di nuovo in vetta alla classifica dei cannonieri. Parigi sarà il suo nuovo palcoscenico iridato e non deluderà le attese, al culmine di una stagione favolosa. Meazza è l’Inter e l’Italia.

L’uomo del passo doppio

La consacrazione di Amedeo Biavati, bolognese doc, è stata una vera sorpresa. Il ragazzo, dotato di classe indiscutibile, inizialmente giocava come mezzala e aveva debuttato in rossoblù, da sostituto del grande Sansone, senza convincere troppo nonostante l’esordio strepitoso (cinque gol in sette partite nel 1932-33). Così nel 1934, a diciannove anni, era stato mandato a Catania, in B, a fare esperienza.

Nato a Bologna il 4 aprile 1915, Biavati deve la sua fama a un’intuizione del tecnico Arpad Veisz che nella stagione 1936-37, durante un’amichevole con la Fiorentina, in assenza dell’ala destra Maini, decise di mettere al suo posto la mezzala Biavati. Fu una rivelazione. Spostato sulla fascia destra, il talento di “Medeo” si manifestò in tutta la sua purezza: corse sfrenate fino alla linea di fondo, da dove lanciava cross morbidi e precisi per i compagni di reparto; e a rendere il tutto irresistibile, quella pausa improvvisa in corsa, un cambio di ritmo che disorientava l’avversario e che venne chiamato “passo doppio”.

Il pubblico si entusiasmò, anche perché la finta, nella sua semplicità di passo di danza, riusciva sempre a ingannare anche l’avversario che stava all’erta, aspettandola. Quando l’oppositore rallentava pensando alla pausa nel dribbling, Biavati accelerava e diventava imprendibile. Dopo la buona stagione precedente, il ragazzo si guadagnò il posto da titolare e le sue prestazioni furono così convincenti da spingere Pozzo a provarlo e promuoverlo in azzurro al posto del milanista Capra. A Parigi Biavati, su cui un regista girerà un filmato per scoprire i segreti della sua finta, diventerà campione del mondo.

Granata inesplosi

Il Torino ha cambiato marcia dopo il rischio retrocessione del 1935 (il gol decisivo di Prato al Livorno nell’ultima giornata). Il nuovo presidente Giovan Battista Cuniberti ha rinnovato la squadra, che per due anni di fila si è battuta per lo scudetto, arrivando terza: a tre e poi quattro punti dal Bologna. Nell’estate del 1937 cerca di fare il salto di qualità con l’arrivo di Bruno Neri, mediano della Lucchese e della Nazionale (due partite con Pozzo), e il ritorno del grande Rossetti, star del famoso trio degli anni d’oro. La nuova miscela di giovinezza ed esperienza include il veterano Ferrero e alcune promesse: il terzino Cozzi, l’ala Pellegrino (da Caltanissetta), l’attaccante D’Odorico dalla Lazio. Ma lasciano il glorioso Janni, centromediano a Varese per finire la carriera, l’eroe della salvezza 1935 Prato e il giovane Galli, centravanti in ascesa.

La scommessa fallisce: Rossetti è ormai al tramonto, gli altri acquisti, tranne Neri, sono flop e la squadra, invece di decollare, si arena. D’Odorico non segna, Cassetti prende troppi gol e l’infortunio a dicembre di Allasio aggrava la crisi e la delusione dei tifosi. Dopo il pareggio casalingo col Milan, con la squadra nona dopo diciotto giornate, l’allenatore Giulio Feldmann lascia il posto al veterano Mario Sperone, per cercare di scuotere la squadra, che però non cambia rotta e finisce ottava.

I prodigi di Pietro il grande

Pietro Ferraris è nato il 15 febbraio 1912 nella fertile terra di Vercelli e ha sempre onorato le sue radici. Ha iniziato a giocare a calcio in due squadre locali, il Savoja e poi la Veloces, prima di debuttare giovanissimo, a diciassette anni, nella prestigiosa Pro. La sua è una storia curiosa, quella di un ragazzo che si sentiva adatto solo a due ruoli d’attacco, interno o centravanti, e che non voleva neanche provare a fare l’ala. E invece proprio lì, sull’estrema sinistra, lo ha fatto giocare Pasquino, l’allenatore della Veloces, ottenendo risultati straordinari. Pierino è piccolo e velocissimo, abile nel dribbling e fulmineo nel concludere a rete, una sorta di diavoletto che fa saltare i tempi.

A Vercelli la presenza di un altro Ferraris, il mediano Mario, lo fa chiamare II, come si usava all’epoca. A vent’anni è già al centro di una contesa tra Ambrosiana e Napoli ed è il club partenopeo a portarselo via, per la cifra esorbitante di duecentomila lire. A Napoli fatica all’inizio ad ambientarsi, poi mostra tutto il suo talento di formidabile solista. Nel 1936 Pozzani realizza il sogno di averlo in nerazzurro e qui Ferraris “affina” il suo gioco, segnando più spesso, anche se non rinuncia al gusto della giocata spettacolare. La fantasia e l’efficacia di Ferraris II, che sarà campione del mondo a Parigi, sono fondamentali. Un grande campione, che entrerà anche nella storia del Grande Torino.

L’affare-Dal Pont

La Fiorentina vive un momento difficile. In poche stagioni, la squadra viola è passata dalle vette alla zona retrocessione. L’addio dell’allenatore Ara ha segnato la fine di un ciclo vincente, e a dicembre i gigliati sono ultimi in classifica. La dirigenza reagisce tardi e cerca di rinforzare la rosa. I nomi sono quelli di Cerroni e Di Benedetti, due giovani della Roma (quest’ultimo sostituto di Guaita), e Dal Pont, centrocampista della Triestina.

La Fiorentina li acquista tutti e tre, ma c’è un problema con Dal Pont: la Lazio rivendica il diritto di averlo già ingaggiato con un contratto firmato in precedenza. La vicenda si fa spinosa, perché anche la Fiorentina ha una regolare documentazione firmata dal giocatore, e si arriva a un arbitrato. Qui la Lazio riesce a dimostrare che il suo contratto è più vecchio (anche se non era stato registrato) e vince la causa: Dal Pont va a vestire la maglia biancoceleste. Un affare poco fruttuoso: ventisei anni, fisico possente, Ferdinando Dal Pont si era messo in luce in C con l’Udinese ma non era riuscito a imporsi nella Triestina. Anche nella Lazio avrà poco spazio (solo 4 partite). Forse ne avrebbe avuto di più alla Fiorentina, ma il destino della squadra era comunque segnato: la retrocessione in B.

Il re del “gol a invito”

Meazza riceva la Rimet 1938

Nella stagione che porta ai Mondiali, il grande “Pepp” Meazza dimostra ancora una volta la sua classe di formidabile goleador. In Nazionale è emersa la stella del vercellese Silvio Piola, punta di forza, che ha preso il posto del bomber Schiavio e Meazza è sempre lì, mezzala in azzurro, per scelta geniale del Ct Pozzo, a inventare e segnare, leader indiscusso sul piano tecnico della squadra che difenderà in Francia il titolo iridato. E i gol di Meazza sono decisivi per portare finalmente lo scudetto sulle maglie nerazzurre dell’Ambrosiana-Inter.

Con il ricco contorno dei classici “gol a invito”, per cui il Balilla è ormai celebre nel mondo: lanciato dalle retrovie in contropiede, supera l’ultimo avversario e all’ingresso in area sembra esitare, inducendo il portiere a uscire per togliergli il pallone dai piedi; è allora che, con una mossa elegante da torero, Meazza dribbla il guardiano ormai finito nella polvere e spinge in gol il pallone tra le ovazioni della folla.

Il declino però è in agguato. Nel 1939 un embolo gli bloccherà la circolazione del piede sinistro e ci vorranno mesi per trovare un medico coraggioso, capace di curare il “piede gelato” con un intervento chirurgico d’avanguardia. Considerato finito, emigrerà tra i “cugini” del Milano per due stagioni, e poi alla Juventus. Meazza chiuderà la carriera nella sua Inter, dopo una parentesi all’Atalanta, nel 1947, a 37 anni.


Classifica Finale

SquadraPtiVNPGFGS
AMBROSIANA4116955728
JUVENTUS39141154322
MILAN38131254327
GENOVA3815875035
BOLOGNA3714974634
TRIESTINA36121263522
ROMA3614884431
LAZIO32111094830
TORINO32128103937
NAPOLI28812103739
LIGURIA2488143342
LIVORNO2488142945
BARI2387153560
LUCCHESE21511142855
ATALANTA1648182250
FIORENTINA1539182860
Campione d’Italia AMBROSIANA
Vincitrice Coppa Italia JUVENTUS
Retrocesse in serie B ATALANTA e FIORENTINA
Qualificate in Coppa Europa AMBROSIANA, JUVENTUS, MILAN e GENOVA

Classifica Marcatori

RetiGiocatore
20 Meazza (Ambrosiana)
18 Trevisan (Triestina)
16 Boffi (Milan), Michelini (Roma)
15 Piola (Lazio), Reguzzoni (Bologna)
14 Ferraris P. (Ambrosiana)
12 Busani (Lazio)
11 Maini (Bologna), Peretti (Liguria)
10 Borsetti (Roma)
9 Arcari P. (Genova), Baldi (Torino), Bollano (Liguria), Ferrari G. (Ambrosiana), Gabetto (Juventus), Servetti (Genova)