Quando scese in campo all’Ardenza di Livorno per disputare la sua prima partita di serie A, Ricky Albertosi aveva da poco compiuto i diciannove anni, era stato acquistato dallo Spezia e si era messo di buzzo buono per imparare tutto quello che era possibile imparare da un grande maestro come Giuliano Sarti, allora ventiseienne. Era il 18 maggio del 1959, era in programma Roma-Fiorentina e i viola, in classifica, inseguivano ad un solo punto di distacco il Milan capolista, che giocava – tra gli altri – con Buffon, Liedholm, Maldini, Galli, Schiaffino e Grillo. Per una squalifica del campo comminata dalla Lega, la partita si sarebbe giocata a Livorno e Albertosi, tutto a un tratto, venne buttato dentro, per una lieve indisposizione di cui rimase vittima Sarti.
Ricky Albertosi stava per disputare la sua prima partita in serie A. Fu 0-0, un risultato a quei tempi decisamente inconsueto. E Nicolò Carosio, telecronista già famosissimo ed anche apprezzato giornalista de «Il Calcio e il Ciclismo Illustrato», commentò sulle pagine dello stupendo settimanale sportivo romano: «Niente scorpacciata viola con la Roma, ma un buon primo tempo, un secondo alquanto opaco, e zero al passivo soprattutto per merito del diciannovenne portiere Albertosi, debuttante, nato a Pontremoli e proveniente dalle file dello Spezia. A partita conclusa – proseguì Carosio – l’ottimo Albertosi, che in trasmissione ci aveva fatto provare emozioni, vertigini, stupore, tanto arditi, tanto plastici e sicuri erano stati molti suoi interventi, appariva come uno qualunque al termine di una comune giornata lavorativa. Niente emozionato, per nulla commosso, guardava stupito tutta quella gente che si occupava di lui, che lo festeggiava, che gli faceva auguri a non finire per una brillante e proficua carriera». Era la sedicesima giornata del campionato 58-59 e la prima apparizione ufficiale di Albertosi in serie A.
Il primo gol subito, per il ragazzo di Pontremoli, arrivò invece otto giorni più tardi, in Fiorentina-Napoli 4-1. L’ala sinistra Petris era già andato a rete per i viola dopo soli 7 minuti di gioco, ma al quindicesimo, con una staffilata di destro scagliata da pochi metri entro l’area, Luis Vinicio – centravanti partenopeo – diede al portiere viola il primissimo dispiacere della sua carriera. Un altro centravanti – il sampdoriano Milani – trafisse Albertosi per la seconda volta, su punizione, in occasione della terza partita giocata in A dal giovane portiere toscano. Ma anche in quell’occasione la Fiorentina si aggiudicò l’incontro per 4 reti a 1 e, anzi, raggiunse in classifica il Milan al primo posto, anche se – al termine del campionato – i rossoneri conquistarono lo scudetto con tre punti di vantaggio sugli avversari.
Nel corso del campionato 58-59, il suo primo torneo, Ricky Albertosi sostituì Giuliano Sarti per ben cinque volte, subendo in tutto cinque gol. La sua prima sconfitta avvenne il 22 marzo, a Torino, nel corso della ventiquattresima domenica di campionato, per esclusiva colpa di Omar Sivori, il «cabezon». L’oriundo argentino – con un’impresa a dir poco memorabile – arrestò da solo la trionfale marcia della Fiorentina capolista, segnando ad Albertosi qualche cosa come 3 gol, e permettendo agli juventini di aggiudicarsi l’incontro per 3 reti a 2 (i gol dei viola portarono la firma dell’interno Gratton). E il primo infortunio, sempre per Ricky, giunse a quattro domeniche dalla fine, ad interrompere il suo primo, promettentissimo campionato, nel corso di Genoa-Fiorentina, finita 0-0. Al 42′ del primo tempo, in uno scontro con Macaccaro, Albertosi riportava la frattura del setto nasale, ed era costretto a lasciare la sua maglia numero 1 al compagno Lojacono.
Il Milan, come detto, a fine stagione si aggiudicò lo scudetto e la Fiorentina fu solo seconda. In maglia viola, Albertosi rimase dieci anni. Il suo primo campionato da titolare, Ricky lo disputò solo nel 63-64, ma era talmente apprezzato che – nonostante la «copertura» di Sarti – venne chiamato ad indossare la maglia della Nazionale il 15 giugno 1961, proprio a Firenze, in Italia-Argentina 4-1. A quei tempi, il titolare della maglia azzurra era Buffon, dell’Inter. Ma l’allora Commissario Tecnico della squadra azzurra, Giovanni Ferrari, volle premiare il campioncino di Pontremoli che, pure, in campionato non giocava quasi mai; e lo chiamò a difendere la porta della squadra azzurra che, davanti a lui, schierava Robotti e Benito Sarti; Bolchi, Losi e Trapattoni; Mora, Lojacono, Brighenti, Sivori e Corso. L’Argentina venne sconfitta senza problemi, il solito Sivori mise a segno due gol e il nostro Ricky venne battuto per la prima volta in azzurro dal mediano Sacchi, che lo trafisse al 22′ della ripresa.
Albertosi andò in Cile, ma solo come terzo portiere. Ai Mondiali – peraltro sfortunati – giocarono due partite Buffon e una Mattrel. E Ricky, dopo due anni d’intermezzo trascorsi sotto il segno di William «Carburo» Negri, fece ritorno in maglia azzurra il 13 marzo 1965, ad Amburgo, nel corso di Germania-Italia 1-1, giorno in cui sostituì lo stesso Negri. Da due anni, Ricky si era finalmente conquistato la maglia numero 1 della Fiorentina, e ormai aveva prenotato anche quella della Nazionale, mentre – a grandi passi – ci si stava già avviando ai Campionati del Mondo d’Inghilterra. Mondiali infausti: l’Italia cominciò bene battendo il Cile (tremenda vendetta), continuò male perdendo contro la Russia e finì miseramente, sconfitta (1-0) dalla Corea del Nord, nella partita che avrebbe invece dovuto spalancarci le porte dei quarti. Particolare curioso: la gara giocata all’Ayresome Park di Middlesbrough con la Corea, per Ricky Albertosi era – in azzurro – la numero 13… E Albertosi – pur senza colpe specifiche – passò così alla storia come uno degli undici «coreani», il portiere azzurro che dovette raccogliere in fondo al sacco il pallone scagliato dal sergente-dentista Pak Doo Ik. Insomma: una vergogna!
Naturalmente, quando riprende l’attività azzurra la colossale «purga» post-Corsa non ha risparmiato nessuno, o quasi. Degli undici «colpevoli», rimangono in squadra i soli Facchetti, Guarneri e Mazzola, e Ricky Albertosi viene sostituito nientemeno che da Giuliano Sarti, il suo maestro di un tempo ormai passato alla grande Inter. L’avvicendamento ha breve durata. Per la maglia di titolare numero 1 tornano infatti ben presto in lizza Dino Zoff e Albertosi, e a Roma – agli Europei del ’68 – è proprio il portierone del Napoli a scendere in campo e a togliersi la soddisfazione di riscattare il calcio italiano, nella famosa doppia finale con la Jugoslavia, la prima pareggiata per 1-1, la seconda vinta per 2-0. Subito dopo la conclusione degli Europei, Albertosi – da dieci anni alla Fiorentina – viene acquistato dal Cagliari, la squadra di Riva che, lentamente, sta modellandosi sulla falsariga dei più grossi clubs metropolitani.
Per uno di quegli scherzi che, spesso, la sorte gioca nel calcio, non appena Albertosi abbandona la maglia viola, la Fiorentina si aggiudica lo scudetto. E’ la stagione 68-69. Per Albertosi, però, l’occasione del grande riscatto arriva proprio l’anno dopo, nella stagione 69-70. Il Cagliari, nel campionato che prelude ai Mondiali di Città del Messico, non sbaglia quasi niente, andando a vincere uno scudetto memorabile, grazie all’apporto di giocatori di classe mondiale come Cera, Domenghini, Gigi Riva e, naturalmente, Albertosi, che oltre a conquistare il primo scudetto della propria carriera, stabilisce anche il record del minor numero di reti subite in un campionato a 16 squadre: solo 11.
Quando infatti, a fine stagione, il Cagliari vince a Torino, contro i granata, addirittura per 4 reti a 0, i soli giocatori che possono vantarsi di avere trafitto il portiere cagliaritano sono Facchin (del Vicenza, 2. giornata), Suarez (Inter, 6. giornata), Cuccureddu (Juventus, 9. giornata), Troja (Palermo, 12. giornata), Prati (Milan, 14. giornata), Vitali (Vicenza, 17. giornata), Boninsegna (Inter, 21 giornata), Peirò (Roma, 23. giornata) e Anastasi (Juventus, 24. giornata). Anastasi ha battuto Albertosi dagli undici metri, e a questi nove atleti vanno anche aggiunti i compagni di squadra Domenghini e – immancabile – Niccolai, protagonisti di sfortunate autoreti rispettivamente alla 10. giornata (a Verona) e alla 24. (a Torino con la Juve). Insomma: in 30 partite di campionato, Albertosi lamenta soltanto 11 reti subite, due delle quali su autogol e una su calcio di rigore. Addirittura, in ben quattro occasioni viene battuto negli ultimissimi minuti di gioco (sono i gol di Facchin, Cuccureddu, Vitali e Boninsegna) e soltanto a Torino, contro la Juve, Ricky incassa più di un gol (per l’esattezza due). Un’autentica impresa, che serve al Cagliari per chiudere vittoriosamente a quota 45, con quattro punti di vantaggio sull’Inter e 7 sulla Juventus, le due grandi deluse del campionato.
La sensazionale performance di Albertosi non può passare inosservata a livello di maglia azzurra. Sono alle porte i Campionati del Mondo di Città del Messico e Albertosi, sulle ali del successo conseguito a Cagliari, ha da poco riconquistato il posto in Nazionale, a danno di Zoff. Il portiere di Pontremoli sta per compiere i 31 anni, è nel pieno della propria maturità tecnico-atletica e si accinge a disputare il proprio terzo Campionato del Mondo, il secondo da titolare. Dopo i rovesci, più o meno clamorosi, dei Mondiali del Cile e d’Inghilterra, gli azzurri si apprestano ad intraprendere quest’avventura messicana con qualche apprensione. Senza entusiasmare, tagliano il traguardo dei quarti chiudendo le prime tre partite imbattuti e inviolati (Albertosi non subisce reti e Domenghini ci dà la rete della vittoria contro la Svezia). Poi arrivano il 4-1 al Messico, lo storico 4-3 alla Germania di Beckenbauer (con Schnellinger che beffa Albertosi al 90′ e il nostro portiere che lo ricopre d’ insulti, per poi ripetersi, pochi minuti dopo, all’indirizzo dello sventurato Poletti, entrato al posto di Rosato e del tutto incapace di porre un freno a Gerd Muller) e, infine, la netta eppure discussa sconfitta col Brasile, in una finale che vede l’Italia franare nella ripresa, e Carlos Alberto, Jairzinho e compagni presentarsi indisturbati di fronte a un Albertosi completamente impotente. Contro il Brasile, allo stadio Azteca, Ricky Albertosi gioca la sua ventisettesima gara in azzurro.
La sua parentesi in Nazionale, ormai, è agli sgoccioli, e il grande Ricky gioca infatti ancora sette incontri, tra cui il doppio e deludente incontro con il Belgio, che segna l’eliminazione dell’Italia dagli Europei del 72. La sua ultimissima apparizione data 21 giugno 1972 e avviene allo stadio Levski di Sofia, per l’amichevole Bulgaria-Italia 1-1. Aveva iniziato a giocare in azzurro a fianco di Mora, Sivori e Corso e vi finisce giocando con Spinosi e Marchetti; Bedin, Rosato e Burgnich; Causio, Mazzola, Anastasi, Capello e Prati. Sono passati più di undici anni dal giorno del debutto e ormai, si dice, Albertosi è vecchio, sicuramente avviato al viale del tramonto…
Ma Albertosi è giovanissimo. E nell’estate del 1974, alla bella età di 35 anni quasi compiuti, il grande Ricky viene acquistato dal Milan, che dopo i tempi di Cudicinì non ha più avuto un successore all’altezza. Ad ogni inizio di stagione si dice che, per Albertosi, dovrebbe trattarsi dell’ultimo campionato di serie A, ma il grande Ricky è inossidabile, e sorprende tutti. Si permette il lusso di salvare il Milan dalla prima retrocessione della sua storia e, per finire, chiude in bellezza una carriera fantastica vincendo uno scudetto (che il Milan inseguiva da dodici anni) a quarant’anni d’età, un vero e proprio record. Con il campionato 1979-80 e in seguito al coinvolgimento nella discussa vicenda del calcio-scommesse, dove fu squalificato per due anni, il grande Ricky si fa da parte, ed esce di scena. Nella graduatoria di ogni tempo per le presenze in serie A, Albertosi si ferma a quota 532.Un Grande.