Ulrich Stein, il portiere che fermò la Juventus

Maggio 1983: ad Atene, nella finale di Coppa dei Campioni, furono decisive le parate del portiere dell’Amburgo.

Difese la porta dell’Amburgo nella serata ateniese del 25 maggio 1983. Una prestazione senza errori, a salvaguardia del vantaggio siglato in apertura da Magath. Ulrich Stein è passato alla storia della Coppa dei Campioni come l’impeccabile guardiapali della finale tra gli anseatici guidati da Ernst Happel e la Juventus di Giovanni Trapattoni.

Un estremo difensore rivelatosi insuperabile in quella circostanza, capace di sfoderare almeno tre prodezze, a partire dalla parata sull’insidiosissimo colpo di testa di Roberto Bettega, destinato nell’angolo basso alla sinistra del portiere. Si distese, Stein, deviando in corner e costringendo i tifosi bianconeri a ricacciare in gola l’urlo di gioia. Un intervento che impedì alla partita di girare a favore della Juventus, come ebbe a dire Michel Platini al termine della gara. “Se fosse andato dentro quel pallone sarebbe cambiato tutto. Alla fine, comunque, l’Amburgo ha meritato”, aggiungerà Bettega nelle dichiarazioni post partita. I veggenti con il senno di poi videro in quella parata di Stein i prodromi della nefasta serata bianconera.

Sul muro calato dal portiere tedesco finirono per sbattere anche un colpo di testa di Platini (imbeccato da un traversone di Gentile) e una sventagliata a botta sicura di Cabrini, con ulteriore risposta da manuale dell’estremo difensore teutonico. Stessa musica nella ripresa, con Stein bravo a devitalizzare al 24’ un altro tentativo di Platini, con i bianconeri a chiedere vanamente il rigore. L’arbitro rumeno Rainea negli spogliatoi non palesò dubbi: “Ho visto bene, non era rigore, lo scontro tra il portiere e Platini è stato involontario”.

Per i restanti minuti, il numero uno schierato da Happel confermò tempismo nelle uscite e prontezza nel mettere in atto la massima coniata da Osvaldo Soriano per spiegare in estrema sintesi il gioco del calcio: dubbio costante e decisione rapida. Gli interventi di Stein finirono per accrescere a dismisura la frustrazione juventina. Enrico Bendoni, inviato della Gazzetta dello Sport ad Atene, definì il tedesco “portiere paratutto”. Stein rispose: “Ho salvato la partita, me ne rendo conto, ma l’Amburgo meritava che la salvassi perché nei 90’ aveva fatto segnare un predominio piuttosto netto”.

Il guardiapali teutonico, classe 1954, ebbe parole di stima verso Dino Zoff: “Non credo lo si possa ritenere responsabile della sconfitta, tra l’altro parliamo del portiere campione del mondo che nel secondo tempo ha impedito il nostro raddoppio in due circostanze”.

Happel, grande stratega della panchina anseatica, parlò di partita studiata nei minimi particolari. “Abbiamo dimostrato cos’è il calcio”, aggiunse l’allenatore, vera bestia nera delle squadre italiane dalla stagione ‘69/70 in avanti. I tedeschi dominarono sul piano tecnico la sfida ateniese del maggio ’83 per quasi tutta la durata dell’incontro, con l’ottima serata di Stein a capitalizzare al massimo la rete di Magath. Pochi mesi dopo, nella finale di Coppa intercontinentale contro il Gremio, il portiere non concesse il bis, facendosi beffare sul primo palo da Renato Portaluppi in occasione del primo gol. I brasiliani vinsero 2-1.

In forza all’Amburgo dall’annata 1980/81, dopo gli inizi della sua carriera professionistica all’Arminia Bielefeld, Stein passò alla storia del club, fondato nel 1887, come il portiere titolare degli ultimi due titoli in Bundesliga degli anseatici: nel 1982 precedendo il Colonia di tre lunghezze e l’anno dopo spuntandola sul Werder Brema per differenza reti, dieci giorni dopo il trionfo in Coppa dei Campioni. Un settennio che per Stein si chiuse con la conquista della Coppa di Germania, quattro anni dopo, preludio al suo passaggio all’Eintracht Francoforte.

Nel giro della nazionale tedesca tra il 1983 e l’86, della carriera di Stein si ricorda anche il cartellino rosso per il pugno rifilato a Jürgen Wegmann, giocatore del Bayern Monaco, durante la finale di Supercoppa tedesca del 1987 vinta dai bavaresi. A quella espulsione seguì una maxi qualifica di dieci settimane, preludio alla partenza del portiere dall’Amburgo. “Il tuo tempo qui è finito”, dissero a Stein negli spogliatoi. Ad Amburgo tornerà nel 1994 per una sola stagione, conclusasi con un anonimo tredicesimo posto con Benno Möhlmann in panchina, coetaneo di Stein. Una squadra lontanissima dai fasti del decennio precedente.

La carriera dell’eroe anseatico di Atene ’83 registrò altri due acuti tra il 1996 e il ‘97: la conquista della promozione in Bundesliga con l’Arminia Bielefeld e la salvezza l’anno seguente con la stessa squadra, guidata dal tecnico Ernst Middendorp. Inserito nella Hall of Fame del club della città di Bielefeld, Uli Stein dichiarerà allo Spiegel: “Puoi goderti gli alti solo se hai sperimentato anche i bassi. Questo ti rende ancora più forte. Cadere non è un peccato: restare giù senza reagire lo è. Questo è stato il mio motto”.

Per i tifosi della Juventus, alla voce “incubi”, Stein avrà sempre un posto di primo piano, un gradino sotto Magath e Happel.

  • di SERGIO TACCONE
  • Curatore del libro “Milan, le stagioni del piccolo diavolo” (Storie Rossonere)