PROLOGO
Che cosa ci fanno Platini e Maradona, Junior e Rumenigge, Falçao e Zico a bocca asciutta e con il naso all’insù a guardare come una provinciale gli soffia lo scudetto? Nel campionato più bello e ricco del mondo si impongono i muscoli pronunciati dei ragazzi di Verona, sorprendendo i critici che di calcio sanno morte e miracoli, che nei paginoni estivi pronosticano sempre Juve, Inter, Roma. Invece, come nei romanzi alla Agatha Christie, l’assassino è quello che non sospetti.
Il successo della banda Bagnoli parte da lontano, dalla promozione in Serie A di qualche anno prima, dalla conferma di squadra forte e divertente già al primo impatto con i big del campionato, dalla continuità con il lavoro svolto, impreziosito dall’entusiasmo del nuovo gruppo che portò a cambiare gradualmente una formazione che, pur dando spettacolo e ottenendo discreti risultati, rimaneva spesso vittima della propria inesperienza e di qualche inevitabile ingenuità. Ma la fretta, intesa come paranoia sportiva, è un concetto che non si addice a una città tranquilla e riflessiva come Verona.
Proprio come quei silenzi del nasone imbronciato, Osvaldo Bagnoli, tecnico contrario a ogni esasperazione, a prima vista distante anni luce dal mondo del pallone. Ma anche gli anni della provincia, delle squadre forti loro malgrado, del Verona dei miracoli. Umile, lavoratore, che non corre dietro ai tanti idoli o divi di cui si nutrono le grandi piazze della Penisola. Rosa corta, titolari eclettici, duttilità tattica, logica o parsimonia societaria che dir si voglia. Come punto di partenza non è male per chi fa del-l’arte di sapersi arrangiare un equilibrato modo di vita.
Celestino Guidotti, presidente dalle capacità finanziarie asincrone rispetto ai colleghi che puntano in alto, diede, con l’aiuto del Ds Mascetti, i ritocchi giusti a una squadra già ben costruita negli anni. Nessuna spesa folle, rigore sulle esigenze del disegno tattico di Bagnoli e tanti stimoli da distribuire tra giocatori con la giusta voglia di riscatto e di affermazione.
L’ALCHIMISTA OSVALDO
Gli arrivi di Briegel ed Elkjaer e delle giovani promesse Marangon, Donà e Turchetta furono tesi a dare esperienza, dinamicità e solidità tecnico-atletica. Completamento più che rivoluzione. Elkjaer, bomber potente, arrivò a sostituire il folletto Iorio, passato alla Roma, diventando il completamento dell’altro attaccante Nanu Galderisi, piccoletto imprevedibile negli ultimi sedici metri. Il bisonte danese, accreditato dalle buone stagioni in Belgio e dai gol segnati con la sua Nazionale, divenne ben presto l’idolo di Verona. Fu strappato alla concorrenza di società come Real Madrid e Milan grazie ai blitz dell’amministratore Rangogni, quando per il centravanti vicecannoniere agli Europei, senza l’acume manageriale e il tempismo, si sarebbe scatenata una vera e propria asta al rialzo. Bizzarro, a volte incostante, ma travolgente come la sua falcata e i suoi tiri che ricordavano le gesta di Gigi Riva. Anche la sua fama di provocatore un po’ sbruffone fuori dal campo, con i suoi «Passerò alla storia», lo rese un protagonista particolare delle pagine dei giornali; ma in campo, dove si trasformava, era l’esempio della grinta e dello spirito di squadra. Il suo portamento alquanto sgraziato, da lavoratore stanco a fine giornata, saranno sempre l’immagine di quel meraviglioso Verona.
«Piedi grossi e cervello fino» si diceva per gli uomini pratici e onesti, e nessuna definizione rende più giustizia al tenebroso Bagnoli. Allenatore per caso, uomo semplice ma dalle idee chiare, ex giocatore a tutto campo, ostile alle parole fortuna e sfortuna, sincero come un bicchiere di Pinot. L’unica circostanza fortunata, ammise lui stesso, fu la scelta di diventare allenatore. Un uomo normalissimo, dunque. Anche nelle scelte di campo. Molti lo chiamavano «Lo svizzero» per la meticolosità e la precisione con cui studiava ogni dettaglio tattico, per come preparava la partita. E anche il suo atteggiamento sulla panchina, pronto a sfuriare e a colpire ogni oggetto alla sua vista, lo rendeva semplicemente se stesso, gustoso come il Sangiovese e la piadina che i suoi gusti culinari avevano avuto in eredità dall’esperienza cesenate.
Si è costruito tecnicamente in realtà adatte alla sua personalità come Como, Fano, Rimini e Cesena, appunto, ma il suo grande amore professionale il Settore giovanile, la Primavera del Como, dove l’ambiente ricorda i sacrifici per diventare qualcuno, quando a fine allenamento bisogna fare la coda per lavare le scarpe nei lavandini. È arrivato a Verona dopo la promozione in A col Cesena, anche sulle sponde dell’Adige il diritto alla massima serie. Poi il campionato ’83-84 con il meritato ingresso in Coppa Uefa. affidava alla miscela di esperienza dei due stranieri, di Volpati, Marangon, Tricella alla voglia di affermarsi di Di Gennaro, Bruni, Galderisi. alle tante motivazioni di questi giocatori si aggiungono la “rabbia” di Pierino Fanna, Fontolan del portierone Garella, i risultati, a un’attenta analisi, non sono un caso.
OGNI TESSERA AL SUO POSTO
Lo scacchiere tattico e il modulo di gioco si inseriscono perfettamente nel calcio “all’italiana “, sulla scia della disposizione in campo della Juventus o della Nazionale: un libero portato a costruire il gioco, marcatori arcigni e attaccati ai garetti, terzino fluidificante, un centrocampo abile nella rottura e nella manovra, un tornante di raccordo tra i reparti e due punte dalle caratteristiche tecnico-atletiche dissimili. Impostata così, la formazione scaligera aveva una grande forza d’impatto nel ribaltamento dell’azione, soprattutto con le fughe in contropiede di Fanna e Briegel e gli sganciamenti improvvisi di Tricella. Ma in occasione di partite contro avversarie più deboli, soprattutto al “Bentegodi”, il Verona era in grado di schiacciare gli avversari nella loro metà campo evidenziando le capacità tecniche dei singoli.
Decisivo, per gli schemi della squadra, fu l’inserimento del tedescone Briegel, esuberante jolly dal passo di locomotiva, poderoso negli stacchi aerei e soprattutto instancabile faticatore. Continuo nel rendimento, sapeva adattarsi alla rudezza dei ruoli richiesti dalla difesa e alle giocate da attaccante aggiunto. Sinistro preciso, nonostante una tecnica individuale non proprio sopraffina, senso innato della posizione e propensione al gol lo facevano un giocatore completo e invidiato a Bagnoli da tutti i tecnici.
“Turbo” Fanna doveva riscattare la sua esperienza luci e ombre a Torino, determinata probabilmente dalla frenesia con cui voleva imporsi a tutti i costi. A Verona, in una città calda ma discreta, poteva ripartire da zero e ritrovare l’entusiasmo, tornando a svariare sulle fasce facendo ammattire i terzini di tutto il campionato. Il gruppo storico (Volpati, Tricella e Di Gennaro), garantiva solidità ed equilibrio nello spogliatoio. L’erede azzurro di Scirea, il capitano Tricella, era il punto di riferimento della squadra e dell’allenatore. Elegante, la faccia pulita da studente, mingherlino e timido, non dava apparentemente l’impressione di poter essere un lottatore. Fu uno scarto dell’Inter, ma già dalla prima stagione in gialloblu dimostrò di saperci fare: quel suo fisico da ragazzino in via di sviluppo era solo uno scherzo ai più scettici.
Un allenatore ha sempre un uomo in campo su cui fare affidamento, un giocatore che “legge” le partite meglio e prima degli altri, che durante la settimana tiene unito il gruppo. Domenico Volpati era tutto questo. E non a caso, l’asse difesa-centrocampo era affidato al duo Tricella-Volpati, giusta dose di valori tecnici e tempera-mentali, guida della squadra nei momenti di difficoltà. Alternava, a seconda delle esigenze (l’infortunio a Sacchetti), il ruolo di centrocampista di interdizione a quello di difensore puro, garantendo comunque un altissimo rendimento.
Le critiche iniziali a Bagnoli, per l’insistenza con cui utilizzava il trentaquattrenne, suo dichiarato “pallino”, si dimostrarono senza alcun fondamento. Le traiettorie impossibili e i colpi di genio sono da sempre prerogative dei grandi numeri 10. A Verona, la fantasia e l’essenza del pallone sono tutt’uno col nome di Antonio Di Gennaro, regista dal calcio sopraffino e dalla bordata imprevedibile. Il miglior centrocampista di quel campionato, nazionale inamovibile, assicurava l’imprevedibilità e le geometrie necessarie per mandare in gol il folletto Galderisi e l’ariete Elkjaer. Toscano irriverente e istrione, autore di scherzi da spogliatoio, ma pronto a tornare coi piedi per terra con i suoi occhi profondi e lo sguardo intenso di chi fa vedere che ha già capito tutto.
VIVERE UNA FAVOLA
Fra i giocatori gialloblu c’era un furetto che il tricolore se l’era cucito sulla maglia già due volte a Torino con la Juventus. Giuseppe Galderisi, un metro e settanta di grinta e tecnica che gli permisero di “timbrare” il cartellino del gol undici volte: in acrobazia, di destro, di sinistro, su rigore e, udite udite, con bellissimi gol di testa. Rapido, di grande coraggio agonistico, Nanù si impose grazie all’umiltà che già ai tempi della Juve lo aveva reso protagonista in un gruppo di mostri sacri, combattendo e sgusciando tra difensori spesso rudi e sproporzionatamente grandi ai suoi occhi.
Ma per una volta, anche Galderisi si sentiva protetto in campo, perché un bisonte, con cui poter dividere gol e botte, questa volta era il suo compagno di reparto. Ragazzo simpaticissimo, appassionato di musica leggera, incise anche alcune canzoni ispirandosi a Renato Zero. In particolare, la canzone “Sto correndo” (uscita dopo la sconfitta con il Torino) gli fu sicuramente di buon auspicio, e chissà se in quella melodia la fine della corsa non fosse proprio il traguardo tricolore.
IL CAMPIONATO: SCACCO AL RE
L’avventura ebbe inizio il 16 settembre dell’84, con il 3-1 inflitto al Napoli di re Diego. «Siamo partiti col piede giusto» sentenziò il modesto Bagnoli. Ma forse l’idea di allenare una grande squadra lo investì da subito. Da allora, la bandiera del Verona sarà sempre sul punto più alto del campionato, garrendo per tutti i trenta turni.
Si alterneranno come antagoniste tutte le grandi e qualche outsider: dall’Inter al Torino, dalla Sampdoria alla presenza sempre inquietante della Juventus. Dopo Maradona, un’altra partita di cartello a Verona sarà con i campioni d’Italia di Platini: Galderisi-Elkjaer e la Vecchia Signora esce dal “Bentegodi” lasciando un ipotetico passaggio di testimone.
Ma è ancora molto presto per immaginare il futuro. La trasferta a Torino, sponda granata, rivela la forza dei gialloblù, che pur presentando una formazione rimaneggiata sbancano il “Comunale” con Briegel e Marangon dopo il momentaneo pareggio di Dossena, rivale di Di Gennaro per il ruolo di regista in maglia azzurra. La prima sconfitta arriva l’ultima di andata, a casa di una pericolante, l’Avellino, che aiutata da un campo al limite della praticabilità e dalle assenze di Galderisi ed Elkjaer si impone su uno spento Verona.
Si chiude il girone d’andata col Verona primo, grazie ai soli sei gol subiti, ma l’Inter è pronta, a due sole lunghezze, per l’aggancio. Ogni annata storica ha la sua partita epocale, soprattutto se è una sfida molto sentita come Udinese-Verona. Sopra di tre gol, i ragazzi di Bagnoli si fanno raggiungere da Zico e compagni e il campionato sembra poter sfuggire come il pallone dalle mani di Garella, che non ne prende una. Ma qui viene fuori l’esperienza e la maturità del gruppo, la voglia di andare contro il destino e gli errori, e la coppia straniera venuta dal Nord porta il punteggio sul 3-5. L’Inter pareggia ad Avellino e il Verona torna solo in vetta alla classifica. Siamo alla diciottesima, alla prossima il “Bentegodi” ospita la partitissima con i nerazzurri.
La mattina del 17 febbraio, sei giocatori del Verona hanno la febbre. Tutto volge al peggio. In quelle condizioni, Bagnoli chiude la saracinesca alla porta di Garella impostando una partita di contenimento. «È la fine» pensano in molti, quando al 39′ Altobelli porta in vantaggio la formazione nerazzurra. Tutti negli spogliatoi alla fine del primo tempo a recuperare forze e a bere litri di the caldo. E proprio uno degli influenzati, l’indistruttibile Briegel, diventa imprendibile per i nerazzurri e in tuffo di testa pareggia. Udine e la Supersfida con l’Inter avevano dato qualche segnale di cedimento, ma la prova di maturità dei ragazzi di Verona giunge a Torino contro la sempre temibile Juventus, dove un grandissimo gol di Di Gennaro pareggia la rete di Briaschi. Bagnoli è in silenzio stampa, ma c’è già chi giura che alla fine sarà lui a poter dire l’ultima.
Il Verona è sempre primo e gioca veramente molto bene. E anche quando si gioca male e si vince, qualcosa entra nella testa delle avversarie, e chissà che cosa hanno pensato le inseguitrici vedendo la risicata vittoria casalinga del Verona contro la rimaneggiata Roma. Un Fanna incontenibile, che fa la differenza, e un Elkjaer opportunista, chiudono la sofferta partita. A Firenze, il Verona torna ai suoi standard di rendimento e di gioco, con uno strepitoso Galderisi che ne fa due e regala il 3-1 ai suoi. Anche Bagnoli torna a parlare. Se non è un segno questo…
Inatteso e preoccupante arriva il secondo scivolone stagionale, in casa contro il Torino di Serena e Schachner. Ora le inseguitrici sono a meno quattro e domenica San Siro rossonera aspetta i gialloblù. È uno 0-0 all’antica, con la squadra chiusa e pronta alla rimessa, degna di una provinciale assatanata in cerca di punti salvezza. Non essere la Juventus o l’Inter è quel vantaggio più o meno consapevole che ti dà la possibilità di poter cambiar pelle a seconda delle partite e delle esigenze senza che nessuno gridi allo scandalo. Il gioco brioso si è perso un po’ per strada, ma la squadra tiene botta con la vittoria sulla Lazio e il pareggio casalingo con il Como. A Bergamo il sogno si fa realtà con una giornata di anticipo, e già plana sugli stadi delle grandi d’Europa a chiedere l’ospitalità accreditata di solito alle formazioni di metropoli ancora a chiedersi «Ma come hanno fatto?».
MOMENTI DI CURVA
Tutti i protagonisti di quel Verona hanno avuto il giusto riconoscimento esaltando le fantasie dei tifosi, che non hanno lasciato cadere la possibilità di sbizzarirsi con i soprannomi e gli appellativi; così Galderisi diventò “puffo al tritolo”, Elkjaer “il cenerentolo” per via del gol segnato (perdendo la scarpa) alla Juventus, Fontolan “la quercia”, Garella “Garellik” e Ferroni “il gladiatore”. Con una squadra dalla tale presentazione, le avversarie non potevano che rimanere imbarazzate coi loro nomi troppo scontati per essere all’altezza e per far sognare. Anche il pubblico ha dato il suo contributo con le coreografie colorate e le feste, le trasferte di massa e i bandieroni presenti in tutti gli stadi. Ovunque (un club di tifosi a Beirut!) il gialloblù ha fatto proseliti, portando in giro per l’Italia la “matana”, la cosiddetta follia veronese, coraggiosa nella sua saggezza, con quel sospetto di indifferenza e di fine teatralità che ne ha fatto un’originale esordiente del successo.
UN RAPIDO DECLINO
Ma le vicissitudini del calcio scaligero, smaltita la sbornia scudetto, saranno contraddistinte più da ombre che da luci; soprattutto non si raggiungeranno più traguardi tanto ambiziosi come nell’85. I quattro campionati successivi sono vissuti in un anonimo centro della classifica; sotto la presidenza Chiampan (subentrato nel frattempo a Guidoni), le scelte societarie si rivelano sbagliate: ingaggi favolosi e spese folli. Come si dice, il Verona fa il passo più lungo della gamba, mangiandosi i ricavi dello scudetto e della Coppa dei Campioni. Gli Anni 90 sono un calvario terribile, per i gialloblù. Arriva la retrocessione in Serie B, la società è allo sbando, le rivoluzioni tecniche creano destabilizzanti perdite di identità, Verona è la brutta copia di se stessa. Ma la battaglia più dura è tra avvocati, giudici e documenti, quando il Tribunale di Verona decreta il fallimento della società e nel 1992 Chiampan è raggiunto da un ordine di custodia cautelare. E’ la fine dell’epopea scudetto, ma il sogno del calcio a Verona resterà sempre vivo sino ai giorni nostri.
TUTTI I GOL DELLO SCUDETTO
LE TRENTA GIORNATE DI VERONA
VERONA – Napoli 3-1 (Briegel, Galderisi, Di Gennaro) |
Ascoli – VERONA 1-3 (Di Gennaro, Briegel, Elkjaer) |
VERONA – Udinese 1-0 (Galderisi (rig.)) |
Inter – VERONA 0-0 (-) |
VERONA – Juventus 2-0 (Galderisi, Elkjaer) |
Roma – VERONA 0-0 (-) |
VERONA – Fiorentina 2-1 (Moz (aut.), Galderisi) |
Cremonese – VERONA 0-2 (Galderisi (rig.), Briegel) |
VERONA – Sampdoria 0-0 (-) |
Torino – VERONA 1-2 (Briegel, Marangon L.) |
VERONA – Milan 0-0 (-) |
Lazio – VERONA 0-1 (Podavini (aut.)) |
Como – VERONA 0-0 (-) |
VERONA – Atalanta 1-1 (Bruni) |
Avellino – VERONA 2-1 (Marangon L.) |
Napoli – VERONA 0-0 (-) |
VERONA – Ascoli 2-0 (Galderisi, Sacchetti) |
Udinese – VERONA 3-5 (Briegel, Galderisi, Elkjaer, Elkjaer, Briegel) |
VERONA – Inter 1-1 (Briegel) |
Juventus – VERONA 1-1 (Di Gennaro) |
VERONA – Roma 1-0 (Elkjaer) |
Fiorentina – VERONA 1-3 (Fontolan, Galderisi (rig.), Galderisi) |
VERONA – Cremonese 3-0 (Di Gennaro, Elkjaer, Briegel) |
Sampdoria – VERONA 1-1 (Galderisi) |
VERONA – Torino 1-2 (Briegel) |
Milan – VERONA 0-0 (-) |
VERONA – Lazio 1-0 (Fanna) |
VERONA – Como 0-0 (-) |
Atalanta – VERONA 1-1 (Elkjaer) |
VERONA – Avellino 4-2 (Fanna, Garuti (aut.), Galderisi (rig.), Elkjaer) |
I PROTAGONISTI
Giocatore | Presenze | Gol |
TRICELLA | 30 | – |
GARELLA | 30 | – |
VOLPATI | 30 | – |
MARANGON L. | 29 | 2 |
DI GENNARO | 29 | 4 |
FANNA | 29 | 2 |
GALDERISI | 29 | 11 |
FONTOLAN | 28 | 1 |
BRIEGEL | 27 | 9 |
BRUNI | 27 | 1 |
ELKJAER | 23 | 8 |
FERRONI M. | 20 | – |
TURCHETTA | 16 | – |
SACCHETTI | 15 | 1 |
DONÀ | 12 | – |
MARANGON F. | 3 | – |
SPURI | 1 | – |