Da intuizione rivoluzionaria a pilastro tattico, fino al suo graduale declino, la figura del libero ha lasciato il segno nella storia del calcio.
Il calcio è un gioco in continua evoluzione, e pochi ruoli incarnano questa trasformazione meglio del “libero“. Figura iconica del calcio italiano per decenni, il libero è passato dall’essere il perno tattico di quasi ogni squadra a diventare un ricordo nostalgico dei tempi andati. Ripercorriamo insieme la sua storia, dalle origini fino al suo graduale tramonto.
Le origini: Viani e l’intuizione tattica
La nascita del libero in Italia è attribuita a Gipo Viani, allenatore della Salernitana nel 1947. Di fronte alla prospettiva di affrontare squadre ben più blasonate come il Grande Torino, Viani ebbe un’intuizione: arretrare il difensore Ivo Buzzegoli di qualche metro rispetto ai compagni, senza assegnargli una marcatura specifica. Il suo compito era intervenire in soccorso dei compagni in difficoltà, garantendo una maggiore copertura difensiva.
Fu il grande giornalista Gianni Brera a coniare il termine “libero” per descrivere questo nuovo ruolo. L’idea si diffuse rapidamente, diventando un elemento caratteristico del calcio italiano.
L’affermazione: dagli anni ’50 agli anni ’70
Negli anni successivi, il libero divenne una presenza costante nelle squadre italiane. Helenio Herrera, arrivato all’Inter dalla Spagna, inizialmente scettico, finì per abbracciare questa novità tattica. Trasformò Armando Picchi da terzino a libero, facendone il capitano della Grande Inter che dominò in Italia e in Europa negli anni ’60.
Il ruolo si evolse ulteriormente negli anni ’70. Pierluigi Cera del Cagliari e Gaetano Scirea della Juventus portarono una nuova interpretazione: liberi con piedi da centrocampista, capaci non solo di difendere ma anche di impostare il gioco. Scirea, in particolare, divenne l’emblema del libero moderno: elegante, tecnico e con una visione di gioco superiore.
L’apice: gli anni ’80 e il Mondiale ’82
Gli anni ’80 videro l’apoteosi del libero nel calcio italiano. La nazionale di Enzo Bearzot, vincitrice del Mondiale 1982, aveva in Gaetano Scirea il suo libero titolare. La sua prestazione nella finale contro la Germania Ovest è rimasta negli annali: oltre a dirigere la difesa, Scirea fu protagonista nell’azione del gol di Tardelli, recuperando palla nella propria metà campo e concludendo con l’assist decisivo.
In quegli anni emerse anche Franco Baresi, libero del Milan e della nazionale. Il rossonero incarnava alla perfezione il ruolo: leader carismatico, duro nei contrasti quando necessario, ma anche dotato di grande tecnica e visione di gioco.
L’esportazione del modello
Il successo del libero “all’italiana” portò molti paesi a sperimentare con questo ruolo. In Argentina, il CT Juan Carlos Lorenzo tentò di introdurlo per i Mondiali del 1966, ma incontrò la resistenza dei giocatori, abituati a un altro tipo di calcio. Tuttavia, vent’anni dopo, proprio l’Argentina vinse il Mondiale 1986 con Carlos Bilardo che utilizzava Tata Brown come libero.
In Germania, Franz Beckenbauer elevò il ruolo a nuove vette. “Der Kaiser” interpretò il libero in modo unico, diventando il punto di riferimento per intere generazioni di difensori in tutto il mondo.
I primi segnali di cambiamento
Nonostante il suo dominio, già negli anni ’80 si intravedevano i primi segnali di un cambiamento imminente. Nel 1983, un giovane allenatore di nome Arrigo Sacchi, allora alla guida del Rimini in Serie C1, sperimentava una difesa a quattro senza libero. Ezio Glerean, libero del Trento, fu tra i primi a notare questa rivoluzione in atto.
Quando Sacchi arrivò al Milan nel 1987, chiese a Franco Baresi di modificare il suo modo di giocare. Invece di stare staccato dalla linea difensiva, Baresi doveva ora allinearsi con gli altri difensori, pur mantenendo il compito di dirigere la difesa e chiamare il fuorigioco.
Il declino: gli anni ’90 e 2000
L’avvento del calcio di Sacchi segnò l’inizio della fine per il ruolo del libero tradizionale. La difesa a zona e il pressing alto richiedevano una linea difensiva compatta, senza spazi tra i difensori. Questo nuovo approccio si diffuse rapidamente, influenzando il calcio italiano e internazionale.
Ci furono ancora esempi di liberi di alto livello negli anni ’90, come Giuseppe Bergomi nell’Inter del 1997-98. Bergomi, sotto la guida di Gigi Simoni, visse una seconda giovinezza come libero, contribuendo alla vittoria della Coppa UEFA e guadagnandosi la convocazione per i Mondiali del 1998 in Francia.
Tuttavia, questi erano gli ultimi bagliori di un ruolo in via d’estinzione. Le nuove generazioni di difensori venivano formate per giocare in una linea a quattro, con marcature a zona e capacità di partecipare alla fase offensiva.
Riflessioni sul cambiamento
Il tramonto del libero riflette i cambiamenti più ampi nel calcio moderno. Il gioco è diventato più veloce, più fisico e più tattico. Le squadre premono alte, cercano di recuperare palla rapidamente e di ripartire in contropiede. In questo contesto, avere un difensore staccato dalla linea può creare spazi pericolosi per gli attaccanti avversari.
Inoltre, il calcio moderno richiede che tutti i giocatori, compresi i difensori, siano tecnicamente abili e capaci di partecipare alla costruzione del gioco. I centrali di oggi devono saper impostare l’azione da dietro, un compito che una volta era prerogativa del libero.
L’eredità del libero
Sebbene il ruolo specifico sia scomparso, l’eredità del libero vive nei moderni difensori centrali. Molte delle qualità che rendevano grandi i liberi – leadership, lettura del gioco, capacità di impostazione – sono ora richieste a tutti i difensori centrali di alto livello.
Molti giocatori attuali hanno riscoperto lo spirito del libero in una veste moderna: sono leader della difesa, eccellenti nel leggere il gioco e capaci di avviare l’azione da dietro. In alcuni sistemi, come le difese a tre, il centrale può talvolta assumere compiti simili a quelli del vecchio libero, seppur in un contesto tattico molto diverso.
Nostalgia e modernità
Oggi, anche nelle categorie inferiori del calcio italiano, è raro vedere un allenatore che utilizzi un vero e proprio libero. Il diktat è quello di “accorciare la squadra“, mantenendo la linea difensiva compatta e alta.
Eppure, tra gli appassionati più nostalgici, il ricordo del libero rimane vivo. C’è chi rimpiange l’eleganza di Scirea, la leadership di Baresi, la concretezza di Picchi. Il libero era più di un ruolo tattico: era un’icona del calcio italiano, un simbolo di intelligenza tattica e classe.