Aston Villa 1981-1982: il biennio d’oro

A Birmingham batte il cuore profondo del football. Il calcio inglese vi ha fermato le lancette del tempo su un quadrante di tradizione, pura e forte. Dal 1874. Da quando quattro ragazzi, giocatori di cricket decidono di trovare un passatempo che li tenesse impegnati fisicamente durante i mesi invernali. Si chiamavano Frederick Matthews, William Scattergood, John Hughes e Walter Price. Ancora non potevano immaginare quello che la storia avrebbe riservato a quel piccolo club appena fondato, che venne chiamato Aston Villa.

1981: In un maggio che sembra un Natale dell’anima, Dennis Mortimer, il capitano, barba gitana e cespuglio di capelli in testa, si affaccia dal balcone della Council House in Victoria Square, mostrando a una folla in delirio il trofeo della First Division. L’Aston Villa era tornato finalmente tra i grandi. Era tornato a vincere il campionato dopo 71 anni. Dopo quel lontano 1910, dopo aver calpestato anche i terreni meno nobili delle serie inferiori, dopo un avvincente testa a testa con il raffinato e bellissimo Ipswich Town di Bobby Robson.

Ma facciamo un passo indietro: 1974. Seguendo Witton Road si arriva a Witton Cross. Non un semplice incrocio. Da qui ci si collega alla Aston e alla Witton Lane. Da qui all’orizzonte appare la sagoma dello stadio, la casa di una vita, il Villa Park. Sarà proprio negli uffici signorili e vittoriani della sede del club, che Ron Saunders mise la firma sul contratto da allenatore dei Villans. Ad attenderlo c’era il campo d’allenamento di Bodymoor Heat, e la seconda divisione. Saunders era nato a Birkenhead, poco fuori Liverpool, nel 1932. In 13 anni di carriera come attaccante aveva segnato oltre 200 reti. Una volta con la maglia del Portsmouth si lesionò una vertebra del collo e solo qualche anno dopo si accorse del problema. Un duro, ma con la faccia del buon padre di famiglia.

Un primo anno di conoscenze, di assestamento, e poi subito la promozione nella massima serie. Non solo. Nel 1975 e nel 1977 arriveranno anche due coppe di lega, e un assaggio d’Europa. Per un club che non riusciva a vincere niente da quasi quindici anni, davvero un grande risultato. E se non visto alla sentenziosa luce dei posteri lo sarebbe stato. Ma il destino aveva in serbo altri deliziosi programmi per i claret & blue. Imprese che paradossalmente iniziano con una dipartita dolorosa, quella dell’idolo Andrew Gray, che si accaserà al Wolverhampton Wanderers per la cifra record di 1,5 milioni di sterline. A rimpiazzarlo arriva Peter Withe, faccia da montanaro e annesso fisico da taglialegna, con alle spalle qualche buona stagione al Nottingham Forest e al Newcastle. Avrebbe dovuto fare coppia con Brian Little ma un serio infortunio al ginocchio fermò troppo presto la sua carriera, e Saunders promosse in prima squadra un prodotto delle giovanili, il biondissimo local boy diciottenne, Gary Shaw.

Gary Shaw

In totale sarebbero stati 14 i giocatori della rosa dell’Astonvilla 1980/81. In porta l’esperienza di Jimmy Rimmer, protetto dai rocciosi centrali scozzesi, Allan Evans e Ken McNaught; ai lati Kenny Swain e Gary Williams; in mezzo al campo il barbuto Dennis Mortimer ed il giovane talento, con accanto due ali diversissime tra loro: L’agilissimo e guizzante Tony Morley, tipica wing inglese, ed il più difensivo e guardingo Des Bremner, assoluta chiave di volta tattica dello schieramento di Saunders. Ne uscì una formazione votata al dinamismo e a un football piuttosto spregiudicato e offensivo, grazie anche alle fantasie di Gordon “Syd” Cowans che deliziavano e ispiravano ambiente e squadra. La leggenda narrava che poteva far atterrare un pallone su una moneta da 6 pence da 40 metri.

Mortimer dirrà che alla fine fu più semplice del previsto amalgamare quella squadra e condurla a traguardi importanti : “Mai una volta Ron ha alzato la voce, e noi abbiamo continuato a lavorare duro e fare le cose che lui ci chiedeva”. Una fiducia ricambiata. Tony Morley si accosta al pensiero del capitano: “E’ stato uno spogliatoio fantastico, nessuno dopo la partita o nei giorni successivi parlava degli errori commessi ne tantomeno delle prodezze, pensavamo solo a allenarci bene per la partita seguente“.

Il campionato 1980/81 iniziò il 16 agosto a Elland Road e comincia male visto che i padroni di casa del Leeds andranno in vantaggio su calcio di rigore dopo appena due minuti. Ma il Villa reagirà con Tony Morley, che dapprima mette dentro con un tiro dall’limite dell’area, non senza aver ubriacato con la sua finta preferita il difensore in maglia bianca, per poi servire l’assist del goal vincente a Gary Shaw. Sono le premesse a quella che per entrambi sarà una grande stagione. Dieci reti per l’ala del Lancashire, diciotto per il ragazzo fatto in casa.

A dirla con tutta sincerità probabilmente l’Ipswich di quell’anno era forse più forte dei Villans di Saunders, (non a caso la squadra di Robson riuscì nell’epica impresa di conquistare una storica coppa UEFA) come in effetti testimonieranno i due scontri diretti, e anche un terzo, il 3 di gennaio quando un goal di Mariner a Portman Road eliminò Withe e compagni dalla FA Cup. Ma con buona certezza furono proprio i tanti impegni a fiaccare l’Ipswich nel finale di campionato, ed infatti i tractor boys persero ben sette delle loro ultime dieci gare del torneo.

Tony Morley

A testimonianza della sorpresa che rappresentò quella squadra, che alla vigilia non era contemplata fra le favorite, va notato che “Match of the Day” scelse di riprendere le gesta dell’Aston Villa soltanto ad ottobre inoltrato per la roboante vittoria (4-0) sul Sunderland al Villa Park, dopo che forse il secondo successo esterno ottenuto sette giorni prima a Londra contro il Crystal Palace aveva iniziato a destare qualche piccolo “sospetto”. Seguirà un confortevole pareggio all’Old Trafford e soprattutto la vittoria esterna nel derby con il Birmingham City per 2-1. A St. Andrew’s andranno a segno Cowans su rigore (alla fine per lui i penalty messi a segno saranno 4) e il difensore Allan Evans.

Arriveranno comunque altri ottimi risultati, un esponenziale crescita di pubblico (47998 contro il WBA l’8 aprile 1981) e anche qualche sconfitta di troppo, come quelle rimediate a Middlesbrough e Brighton, oppure quella più cocente a Anfield contro il Liverpool per 2-1. Ma come non ricordare però le vittorie del Goodison Park nella gara di ritorno per 3-1, o la secca vendetta sui reds per 2-0 nella partita del 10 gennaio grazie a Peter Withe e a un arrembaggio solitario del capitano Mortimer. Per finire anche il 3-0 al “Boro” alla penultima giornata, in una vittoria griffata, Shaw, Withe, Evans, che di fatto spense i sogni di gloria dell’Ipswich.

L’ultima giornata il 2 maggio, l’Aston Villa aveva quattro punti di vantaggio, ma i blu del Suffolk tenevano acceso un flebile lume di speranza avendo una gara da recuperare a Ayresome Park. Di fatto vennero sconfitti, e il Villa scese a Highbury giocando più sull’onda delle emozioni, e sui giri dell’orologio, che sul rettangolo verde dove per altro l’Arsenal si imporrà per due reti a zero. Al triplice fischio, prevedibile invasione di campo, bobbies in chiaro imbarazzo, qualche “colorito” scambio di vedute con quelli della North Bank, e poi una colonna di auto e bus sulla M1 direzione Birmingham, in attesa della parata ufficiale per le vie del centro cittadino. L’Aston Villa è di nuovo seduto sul trono d’Inghilterra, ma il bello fu che non finirà lì.

La consacrazione definitiva arrivò l’anno seguente. Un anno che sembrò non dovesse finire bene quando il 9 febbraio 1982 per un disaccordo contrattuale Ron Saunders decise di dimettersi dall’incarico di manager lasciando la squadra in un’anonima posizione di metà classifica e nelle mani del suo assistente Tony Barton. Il debutto in Coppa dei Campioni era andato benissimo al primo turno dove contro gli islandesi del Valur fu una passeggiata, ma negli ottavi l’avversario pescato nell’urna, la Dinamo Berlino, vendette cara la pelle.

In Germania i “Villans” vinceranno 2-1 ipotecando il passaggio del turno, ma al Villa Park rischiano di compromettere tutto concedendo una rete al tedesco Terletzki. Come già due anni prima contro il Nottingham, la Dinamo Berlino espugna un campo inglese, ma ancora una volta questo non le basta per andare avanti. In ogni caso la prima partita europea per Barton fu quella dei quarti di finale in marzo che fecero una vittima eccellente, ovvero i detentori del Liverpool eliminati dai bulgari del Cska Sofia. Il Villa resistè a Kiev contro la Dinamo di Oleg Blochin, serbatoio della nazionale sovietica, e al ritorno con un grande Gary Shaw trionfò per 2-0.

In semifinale fu sufficiente una rete di Tony Morley in casa per avere la meglio sull’Anderlecht e raggiungere la finale di Rotterdam. Fra i tanti motivi che quella finale di Coppa Campioni sì portò dietro, c’era anche la solita faccenda della supremazia fra calcio inglese e tedesco che è diventata un ritornello nella storia del calcio. Le ultime cinque edizioni del trofeo erano state vinte da formazioni inglesi (Liverpool e Nottingham Forest), le tre precedenti da quelle tedesche seppur da un unico club (Bayern) e dunque erano ben nove anni che la Coppa dalle grandi orecchie parlava solo due lingue. L’Aston Villa per riportare il trofeo in Inghilterra, il Bayern per ridare vita al ciclo tedesco, ce n’era a sufficienza per offrire pepe ad un incontro che costituiva anche un confronto tra due scuole che si apprestavano con alterne speranze ad affrontare il Mundial spagnolo.

Finale di Coppa dei Campioni: i capitani Mortimer e Breitner

Per la cronaca, sia Aston Villa che Bayern schierarono all’inizio formazioni senza stranieri. Gli spalti dello stadio del Feyenoord, quando le squadre scesero in campo fra un incendio di bandiere, erano equamente divisi nel tifo. Da una parte i claret & blue, che per la serie senza successo “solo urla e niente botte siamo inglesi”, arrivarono in colonna tra due ali di poliziotti. Dal lato opposto i tedeschi, giunti alla spicciolata fin dal primo pomeriggio. In mezzo, a far da cuscinetto, il pubblico olandese: un quadro che nel suo insieme ben si adattò a quella finale, visto che gli olandesi (con l’Ajax) avevano preceduto nel trionfo continentale entrambi i paesi. Un impianto comunque discretamente affollato ma non esaurito e che una settimana dopo avrebbe ospitato un concerto dei Rolling Stones per il quale vennero prese le stesse misure di sicurezza.

C’era ancora la luce del sole quando Aston Villa e Bayern dettero inizio alla loro battaglia. Partirono forte i tedeschi con il loro gioco corale manovrando palla, rispose l’Aston Villa di rimessa facendosi pericoloso con un colpo di testa di Evans terminato oltre la traversa. Gli inglesi bellissimi nella loro maglia bianca da trasferta apparivano più rapidi in avanti, i tedeschi non si scoprirono troppo temendo il contropiede avversario, ma dopo sette minuti subirono una manovra offensiva dei Villans che andarono vicini al goal con un inzuccata alta di White susseguente a un calcio di punizione. Tre minuti dopo Jimmy Rimmer, è costretto ad uscire per quello che sembrò un inspiegabile infortunio: si fece male da solo, senza mai essere stato impegnato. Il destino aveva scoperto le sue carte è tra i pali va il numero 16, Nigel Spink ventiquattrenne di Chelmsford, e sarà la sua partita.

Peter White, il centravanti dell’Aston Villa che disse che finora aveva visto il Bayern una sola volta in tv, fu impiegato da Barton come la torre centrale dell’attacco della squadra. Manovrò bene, distribuì palloni ai compagni, e al 20′ fu anche autore di un ottimo spunto personale, finta e dribbling dal limite, con tiro conclusivo che finisce a lato. Il Bayern apparve stranamente impacciato e privo di idee. Ma il lavoro per il giovane Spink incomincia a farsi serio sulle conclusioni di Duernberger e di Karl Heinz Rummenigge. l’Aston Villa sembrò sorpreso dall’improvvisa fiammata tedesca e accusò il colpo. I bavaresi si sapeva, andavano tenuti in seria, serissima considerazione.

La rete di Withe nella finale di Rotterdam

Nessun cambio nella rlpresa. Solo al 52′ uscì Mathy sostituito da Guettler. Al 60′ arrivò una splendida azione dei rossi di Monaco, un flipper. Palla da Rummenigge a Duernberger, da questi a Breitner, e ancora sfera sui piedi di Duernberger che calcia basso nell’angolo: Spink, però è pronto a distendersi in tuffo nella parata. Insistono quelli in maglia rossa griffata Adidas, che si distesero in massa in avanti e nel giro di un minuto la formazione tedesca andò due volte vicinissima alla marcatuta. Al 63′ un centro da destra fu colpito di testa da Klaus Augenthaler: salvò sulla linea Evans a portiere battuto: al 64′ Hoeness superò Spink con una pallonetto sporco: il portiere incredibilmente però riuscì in qualche modo ad abbrancare la palla. Il Bayern ci crede dando l’impressione di poter passare in vantaggio da un momento all’altro.

Ma l’Aston Villa improvvisamente graffia, come il leone che porta sul petto. Un gol, dunque, giunto con uno di quei colpi di scena che rendono il calcio grande e imprevedibile. Un disegno degno di un atto teatrale di William Shakespeare, il bardo nato a Stratford on Avon a pochi chilometri da Birmingham. E allora al 68′ il biondo Morley, in azione di rimessa, saltò due avversari sulla sinistra in velocità, e mise al centro dove Withe, tutto solo a due passi dal portiere, potè toccare in rete il pallone della vittoria, tra l’entusiasmo indescrivibile del settore occupato dai tifosi inglesi. La reazione del Bayern risultò affannosa, disperata ed inutile. Tentò il solito Rummenigge a dieci dal termine una volata solitaria interrotta dall’uscita del miracoloso Spink, tentò anche l’allenatore Csernal mandando in campo Niedermayer al posto di Kraus. Ci sarà anche un goal di Hoeness all’88’ annullato per evidente fuorigioco e un anticipo in extremis di un difensore su Niedermayer.

Niente da fare, finalmente è finita: la Coppa dei Campioni consegnata dal presidente Uefa Artemio Franchi al capitano Dennis Mortimer, riprende per la sesta volta la via dell’Inghilterra. Oggi sulla balaustra della North Stand del Villa Park c’è uno striscione che corre da un’estremità all’altra della tribuna e riporta più o meno queste parole: “Shaw e Williams si sono preparati ad avventurarsi sulla sinistra, c’è una buona palla al centro per Tony Morley, oh, ecco una grande opportunità! Ed è Peter Withe a sfruttarla al meglio!” traduzione non proprio letterale delle parole del commentatore della BBC Brian Moore, strappate dal momento più intenso della telecronaca di una partita che rappresentò il momento più importante della storia dell’Aston Villa Football Club.

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