Corinthians 1982 – 1984

A metà degli anni 80 nel Corinthians di Socrates fu introdotta l’autogestione: tutte le decisioni del club venivano prese per maggioranza dopo una votazione alla quale partecipavano tutti, dal presidente ai dirigenti, giocatori titolari, riserve e magazzinieri.


Come si cade dentro una democrazia? Non proprio all’improvviso. Serve un gruppo di persone, ognuna della quali vale un voto, un’assemblea che si incontra puntuale e naturalmente qualcosa da decidere. Il luogo nel quale radunarsi è indifferente, basta anche uno spogliatoio. Viene meno la gerarchia, l’allenatore e il tecnico hanno lo stesso peso del secondo portiere e comincia l’autogestione.È un’illusione ricorrente nella storia umana che a volte funziona, fosse pure solo per poco tempo, tre, quattro anni. E finisce per diventare un esempio, magari sui generis, al punto che il termine democrazia non basta. Ci vuole un’aggettivazione che la renda più precisa, ne definisca i confini, ne chiarisca le volontà. Quella dura e pura voleva essere ‘proletaria’, quella bigotta fu ‘cristiana’, quella che fa tendenza oggi è ‘liquida’ ma più divertente, leggera e meglio riuscita di tutte forse fu quella ‘corinthiana’.

Siamo in Brasile, anni ottanta, e la dittatura, iniziata nel 1964 per mano del maresciallo Castelo Branco perde colpi. Le prime libere elezioni a livello nazionale arriveranno solo nel 1985 ma intanto in ambito locale i cittadini e le cittadine brasiliane cominciano a esprimersi. Nel 1982, in occasione delle elezioni municipali e statali, sulla casacca bianconera della squadra popolare di San Paolo compare la scritta: “il 15 andate a votare”. Era il mese di novembre e il Corinthians di Socrates, Casagrande, Wladimir, Zenon, Biro-Biro e compagni aveva dato per l’ennesima volta espressione al lavoro politico che cominciava nello spogliatoio, passava per il campo di allenamento e sfociava nella partita ufficiale. La maglia della squadra era il dazebao che al posto dello sponsor ospitava la propaganda politica, di solito addensata in un unica parola: democrazia. Scritta anche a rovescio, per esprimere il dissenso contro il governo del generale Figueiredo.Fondato nel 1910 dai proletari della città di San Paolo per sottrarre il calcio all’elite, il Timao o Sport Club Corinthians Paulista versava alla fine degli anni ’70 in una condizione disastrosa.

Il caso volle che un cambio di dirigenza, insieme a un gruppo di giocatori capaci di pensare e mettersi in discussione, stimolato dalle parole di un direttore tecnico che di calcio ne sapeva poco perché era un sociologo, tale Adílson Monteiro Alves, produsse il più famoso e riuscito esperimento socio-calcistico della storia. Le relazioni all’interno del club furono rivisitate, le decisioni prese in maniera collettiva. Vincere o perdere non era certo la stessa cosa, ma la regola voleva che tutto avvenisse con democrazia. Così scrissero anche su uno striscione che portarono in campo, per ricordare a tutti che quello era principalmente un gioco e che non c’erano idoli o semidei da adorare ma uomini in carne ed ossa a fare le partite, come la storia.

Furono abolite le regole ferree e annullato l’obbligo del ritiro. È offensivo, sosteneva Socrates, costringere qualcuno a fare qualcosa, come fosse in prigione. Così chi non raggiungeva la squadra in albergo poteva presentarsi al campo il giorno dopo. Uno dei portieri di riserva sostenne in seguito che quello della Democrazia Corinthiana era un gran casino, ma vinsero il Campionato Paulista per due anni consecutivi (1982, 1983) e il terzo furono battuti in finale dal Santos.La squadra giocava per musica, racconta chi l’ha vista esibirsi. Senza aggressività, il Corinthians faceva il calcio seguendo il tempo dettato da Zenon e le illuminazioni di Socrates, vinceva con i gol di quest’ultimo e quelli di Casagrande, sostenuti dalla difesa di Wladimir e dalla fatica di Biro-Biro, buon mediano.

Da squadra allo sbando, divenne presto un riferimento nazionale che non si lasciò sfuggire la possibilità di parlare ai suoi tifosi. Volevamo far capire alla gente che sarebbe stato molto interessante un cambiamento, racconta Zenon. Un cambiamento nella forma del gioco, nell’organizzare quella piccola collettività di atleti e intellettuali, nel modo di intendere il calcio e le relazioni umane e, in ultimo, un cambiamento generale che investiva tutto il paese: nelle elezioni per il presidente della Repubblica, che il popolo brasiliano cominciava a chiedere a gran voce.

Simbolo del gruppo era il Magrão, il giocatore più originale della storia brasiliana. Barbuto, alto più di un metro e novanta, piede piccolo e delicato, preferiva il colpo di tacco. Segaligno, non un atleta in senso stretto ma giocatore di calcio di quelli buoni, con una visione di gioco che faceva la differenza e la propensione al gol e al pugno chiuso, come esultanza e protesta. Socrates si unì a quell’impresa con dedizione. Fu il Dottore, per meriti accademici, o il Filosofo per via del nome. La classe in campo gli valse un soprannome molto più altisonante: il tacco che chiese la palla a Dio! Non amava i compromessi, soprattutto quelli nei confronti dei tifosi.

Il Corinthians giocava un calcio ragionato, il gol era frutto di elaborazione e a chi seguiva la squadra era richiesta, prima di tutto, una buona dose di pazienza. I risultati arrivarono ma non senza polemiche. Dopo una partita persa, i giocatori furono costretti a difendersi dall’assalto dei tifosi. In quella successiva, Socrates realizzò una tripletta senza mai esultare: la torcida corinthiana andava educata, un passo la volta. Nella finale vittoriosa del campionato paulista del 1982, la squadra entrò in campo cantando e ballando sulle note di una canzone di Gilberto Gil. A dirla tutta fu una gran bella avventura, un successo, almeno fino al 1984.

Quando il direttore Adílson decise di candidarsi alla presidenza del club, come nelle favole peggiori, la cordata reazionaria che faceva capo al suo avversario, Roberto Pasqual, ebbe la meglio. La dimensione rivoluzionaria dell’esperimento fu brutalmente ridimensionata. Socrates, che nel frattempo aveva legato il suo destino a quello dell’intero Brasile, fece una scommessa ardita. Vicino alle posizioni di Elezioni Ora, in un comizio, disse che sarebbe rimasto in Brasile e al Corinthians se, in parlamento, fosse stato votato un emendamento costituzionale per ristabilire libere elezioni. L’emendamento fu bocciato e il Dottore sbarcò in Italia, a Firenze. Qui le cose andarono molto meno bene. E in generale la sua vita cominciò a declinare lentamente, complici l’alcol e il fumo.

Il Corinthians vinse il suo primo titolo nazionale solo nel 1990, l’ultimo nel 2011, l’anno in cui il Dottore è morto. Nel 1983 aveva espresso questo desiderio: vorrei morire nel giorno in cui il Corinthians vince il titolo. E così è stato. I tifosi hanno esultato e pianto. Ogni testa un voto, siamo tutti uomini: questo era il suo motto, al confine tra l’equilibrio idilliaco e il caos. A parere del Magrão, la cosa più bella del mondo. E per i tifosi del Timao ancora oggi essere campioni è un dettaglio.

Testo di Gabriele Salvatori