GIAMPIERO BONIPERTI – maggio 1975

La Juventus del nuovo corso di Boniperti ha appena vinto il suo sedicesimo scudetto. Intervista verità del suo Presidente

di Luca Liguori – Guerin Sportivo maggio 1975

Sedici scudetti sono tanti. Un record. La vecchia, intramontabile signora può essere fiera del nuovo successo ottenuto. Un successo sofferto fino all’ultimo minuto ma conquistato meritatamente per il valore dei suoi uomini, del suo allenatore e, naturalmente, del suo presidente, un campione del passato glorioso del sodalizio torinese che è rimasto fedele, come atleta e come dirigente, ai colori della società che lo acquistò per sessantamila lire quando aveva appena 16 anni. Nella euforia del momento, negli echi di gioia della squadra e della vasta tifoseria bianconera sparsa per tutta la Penisola, c’è anche spazio per la sua intima soddisfazione di uomo, pago dell’ambito traguardo raggiunto. Cosa significa questo sedicesimo scudetto cucito sulla maglia bianconera, quale significato racchiude per Giampiero Boniperti quel titolo inseguito per otto mesi?

«Un senso di grande, profonda felicità. Vincere uno scudetto in Italia è molto importante, molto sentito. Avere accontentato tanti tifosi della Juve, mi dà una sensazione di compiutezza. E’ stata una vittoria sofferta, molto sofferta. Mi sarebbe piaciuto essere in campo piuttosto che fuori. Vincere è una cosa magnifica, no? sia come giocatore che come presidente. Ma come giocatore, si soffre di più, si sta fuori, si aspetta per tutta la settimana. Quando si è in testa come siamo stati noi per tanto tempo, ogni domenica bisognava vincere altrimenti gli altri ci raggiungono. E, quindi, per il presidente c’è una tensione che non si riesce mai a sfogare…».

– Qualche maligno osa affermare che la Juve vince perché è una squadra ricca. Io personalmente, non credo che sia soltanto per questo motivo…
«Guardi, i miei azionisti, da quando ci sono io, non hanno fatto nessun aumento di capitale e, quindi, non hanno dato soldi alla società negli ultimi quattro anni. Quindi non è che si sia vinto per i soldi perché altrimenti vincerebbero molti altri al nostro posto. Piuttosto, direi che noi ci siamo impegnati e ci impegniamo a condurre la società con criteri industriali».

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Boniperti e Agnelli: la spina dorsale della Juventus anni 70/80

– Mi dica, allora, perché ha vinto la Juventus.
«Mah… guardi, sicuramente si è dimostrata la squadra più forte».

– Lei, per anni, ha interpretato il ruolo del giocatore di classe, serio, impegnato nella sua professione, del vero signore del calcio, ime lo lasci dire. Poi, dopo avere attaccato le scarpe al chiodo, si è messo dietro una scrivania (si fa per dire) e, anche nelle vesti di presidente di una società così importante, ha dimostrato di saperci fare. Le è servita l’esperienza da giocatore per espletare poi i compiti di dirigente?
«Senz’altro… senz’altro quando parlo con un giocatore so quale linguaggio adoperare, so come la pensa, so cosa mi dirà… basta guardarlo negli occhi, perché ho vissuto gli stessi momenti, le stesse sofferenze, le sue stesse gioie… conosco benissimo la sua psicologia. Ciò mi dà un grande aiuto…».

– Lei, Boniperti, viene portato spesso ad esempio come capostipite di una nuova generazione di presidenti-atleti che potrebbe sostituire quella tradizionale dei presidenti-mecenati (lo stesso Rivera ha fatto riferimento a lei, più volte). Qual’è la sua opinione sull’argomento?
«Io dico questo: è molto meglio fare il giocatore che il presidente. Prima di tutto. Poi credo che bisogna aver dentro qualcosa per raggiungere questo posto. E’ un po’ come un capoufficio che diventa dirigente nella stessa azienda dove lavora. Non è vero? cioè, voglio dire, ci sono dei grandissimi giocatori che, probabilmente, non potrebbero mai diventare dei tecnici. Eppure di calcio ne capiscono moltissimo. Ci sono invece dei giocatori non eccelsi che, potenzialmente, sono dei grandi tecnici. Se uno, poi, ha le qualità per fare il presidente e, in più, ha giocato anche al calcio… beh… allora, meglio ancora… credo che sia ima esperienza eccezionale.»

– La sua politica di ringiovanimento della Juve ha dato degli ottimi frutti: i risultati li abbiamo visti tutti. L’unica eccezione è il vecchio leone José Altafini: ecco, quanta parte ha questo giocatore nella conquista dello scudetto di quest’anno?
«Altafini, secondo me, ha fatto, almeno, la parte di tutti gli altri. Poi, bisogna considerare l’età del giocatore: ma, essendo un grandissimo atleta, si è adattato molto bene al nostro ambiente… è un uomo molto intelligente, un uomo che sa star bene in tutti i posti e non soltanto in campo… ha avuto una parte importantissima in questo campionato, senza dubbio, ma bisogna tener conto che Altafini ha potuto giocare in un complesso molto valido… ha trovato, insomma, la squadra adatta ai suoi mezzi…».

– Sa spiegarmi perché la Juve, così forte nei campionati nazionali degli ultimi anni, appare così sfortunata e debole in campo internazionale? Come spiega questo divario di prestazione? Non sente, in qualità di presidente di questa forte squadra, il desiderio di raggiungere il traguardo di qualche bella affermazione nelle competizioni europee come hanno fatto, ad esempio, Milan e Inter?
«Lei sa che siamo arrivati per due volte ad un pelo dal successo internazionale, in finalissima. Cosa vuole che le dica: io darei cinque anni della mia vita pur di portare una Coppa internazionale a casa… anche adesso che abbiamo vinto il campionato italiano, abbiamo dato uno sguardo alle squadre che parteciperanno alla Coppa dei Campioni… eh… sono molto forti: il Real Madrid, il Borussia, l’Ujpest, il Barcellona, che però hanno dei giocatori anche stranieri, eh! sa, bisogna guardare anche nel campo del vicino, non le pare? Il Barcellona, ad esempio, partecipa con due giocatori che non sono mica tanto latini, Cruijff e Netzer, no? noi abbiamo sempre affrontato questi incontri internazionali con molto impegno. Siamo quasi sempre arrivati nei quarti di finale, ma il nostro campionato è così lungo, logorante anche dal punto di vista psichico più che fisico e si arriva ad aprile che abbiamo sei, sette partite. E allora i giocatori si trovano davanti ad una scelta: o il campionato o il successo internazionale, no?».

– Certo, mi pare senz’altro… mi scusi Boniperti: un’ultima domanda, una mia domanda personale a pure titolo di curiosità: lei ha giocato 444 partite in campionato, ha segnato 177 goal, poi ha appeso le scarpe al chiodo. Vorrei sapere: le ha mai più calzate quelle scarpe, ha mai dato, da quel giorno, un calcio, uno solo, al pallone?
«Mai più. Dal giorno in cui ho consegnato quelle scarpette al magazziniere della Juve dicendogli: “basta, non gioco più” non ho più toccato il pallone, neanche sulla spiaggia. Basta, basta. Bisogna girare pagina, bisogna voltar pagina…».

La Juventus 1974/75 Campione d’Italia