Dalla polvere dei campi giovanili alle luci della ribalta mondiale, la calciatrice statunitense ha ridefinito i confini del calcio femminile.
Il 17 marzo 1972, a Selma in Alabama, nasce Mariel Margaret Hamm. Conosciuta da tutti come Mia, la sua storia ha inizio in un luogo simbolo delle lotte per i diritti civili degli afroamericani negli anni ’60. Ma, sorprendentemente, è in Italia, precisamente a Firenze, che Mia muove i suoi primi passi nel mondo del calcio.
Figlia di un colonnello dell’Air Force, Mia trascorre i primi anni della sua vita come “brat child“, termine usato per i figli dei militari americani in servizio all’estero. A Firenze, il padre Bill si appassiona al calcio, sport pressoché trascurato negli Stati Uniti. Diventa un abbonato della Fiorentina e trasmette questa passione alla piccola Mia, che inizia a tirare i suoi primi calci al parco della Fortezza da Basso.
Il ritorno in America e la scoperta del talento
Tornata negli Stati Uniti, Mia continua a coltivare la sua passione per il calcio, incoraggiata dal padre che ha deciso di studiare per diventare arbitro e allenatore. Il calcio diventa presto un affare di famiglia, coinvolgendo anche le sorelle e il fratello adottivo Garrett.
Mia dimostra fin da subito una straordinaria poliedricità sportiva, arrivando persino a giocare nella squadra maschile di football americano al liceo. Ma è con il pallone da calcio che il suo destino è segnato. Trascorre l’infanzia e l’adolescenza giocando interminabili partite, quasi sempre contro coetanei maschi, affinando le sue abilità.
Nel 1987, a soli quindici anni, il suo talento viene notato durante una selezione territoriale dell’Olympic Development Program della federazione americana. Viene scelta per la prima squadra nazionale, in un’epoca in cui le nazionali giovanili femminili non esistevano ancora.
Il talento di Mia si distingue per la sua capacità di dribbling, la padronanza dei trucchi del mestiere e un’abilità tecnica rara per una giocatrice cresciuta in un paese dove il calcio era ancora poco conosciuto. A questo si aggiungono doti fisiche eccezionali: velocità, potenza e resistenza, caratteristiche che diventeranno il marchio di fabbrica del dominio americano nel calcio femminile.
L’università e l’incontro con Anson Dorrance
Il secondo polo fondamentale nella formazione di Mia è l’Università del North Carolina. Sotto la guida del visionario coach Anson Dorrance, il college diventa una fucina di talenti e la culla della prima vera epopea del calcio femminile americano. Dal 1982 al 1994, il North Carolina vince dodici titoli universitari su tredici.
Mia arriva a Chapel Hill nel 1989 e conquista quattro titoli nei suoi cinque anni di permanenza. Qui inizia ad allenarsi in maniera professionale sotto la direzione quotidiana di Dorrance, che aveva già notato il suo talento nel 1987. Durante il suo periodo universitario, stabilisce numerosi record, diventando la giocatrice più prolifica nella storia del calcio collegiale americano.
La determinazione di Mia è riassunta in una massima di Dorrance divenuta celebre: “Un campione è quello che trovi piegato a terra esausto dalla fatica quando a guardarlo non c’è nessuno“. Questa frase nasce da un episodio reale, quando Dorrance vede Mia allenarsi da sola sotto il sole cocente, nonostante fosse già una star del campus.
L’ascesa nella nazionale americana
Parallelamente alla carriera universitaria, la Hamm inizia a brillare anche in nazionale. Nel 1991, a soli 19 anni, partecipa alla prima Coppa del Mondo femminile in Cina. Segna subito nella partita d’esordio contro la Svezia e replica nella successiva contro il Brasile. Gli Stati Uniti vincono il torneo, battendo la Norvegia in finale per 2-1, ma al loro ritorno in patria l’accoglienza è tiepida: solo due persone li attendono all’aeroporto.
Nonostante la scarsa attenzione mediatica, Mia continua a crescere come giocatrice. La sua velocità, la sua tecnica e il suo fiuto del gol la rendono una delle attaccanti più temute al mondo. Nel 1993, a soli 21 anni, viene nominata Calciatrice dell’Anno dalla U.S. Soccer Federation, un riconoscimento che otterrà altre quattro volte nella sua carriera.
Nel 1995, ai Mondiali in Svezia, gli Stati Uniti perdono in semifinale contro la Norvegia. Mia termina il torneo con due gol e tre assist, confermandosi come una delle stelle emergenti del calcio femminile mondiale.
L’oro olimpico e la consacrazione
Nel 1996, alle Olimpiadi di Atlanta, il calcio femminile fa il suo debutto come sport olimpico. Mia segna ancora nella partita iniziale contro la Danimarca e la squadra americana domina il torneo. Nella finale contro la Cina, giocata davanti a 76.000 spettatori, gli Stati Uniti vincono l’oro con un secco 2-1.
Questo successo catapulta Mia e le sue compagne nell’olimpo dello sport americano. La visibilità del calcio femminile cresce esponenzialmente e Mia diventa un volto familiare anche al di fuori del mondo sportivo. Appare in programmi televisivi popolari e firma i suoi primi contratti di sponsorizzazione importanti.
Nel 1997, subisce un duro colpo personale con la morte del fratello Garrett, a cui era molto legata. In suo onore, istituisce una fondazione per sensibilizzare sulla ricerca delle malattie rare e offrire opportunità di educazione sportiva alle ragazze. Nonostante il dolore, Mia continua a eccellere in campo, guidando la nazionale americana in una serie di tornei e amichevoli internazionali.
Le ragazze del 1999 e la consacrazione mondiale
L’apice della carriera di Mia coincide con i Mondiali del 1999 disputati negli Stati Uniti. L’evento catalizza un’attenzione senza precedenti per il calcio femminile. Segna il primo gol nella partita d’esordio contro la Danimarca con un tiro esplosivo che si insacca sotto la traversa. La sua esultanza sfrenata, con la corsa liberatoria e il dito alzato, resta impressa nella memoria collettiva.
Durante il torneo, Mia sciorina tutte le sue qualità: velocità, tecnica, visione di gioco e capacità realizzativa. Segna due gol nel girone contro la Nigeria e fornisce assist decisivi nelle fasi ad eliminazione diretta. La sua leadership in campo è fondamentale per guidare la squadra fino alla finale.
L’ultima sfida contro la Cina, disputata al Rose Bowl di Pasadena davanti a 90.000 spettatori, viene seguita da 18 milioni di telespettatori in tv. Dopo lo 0-0 dei tempi regolamentari e supplementari, la partita si decide ai rigori. Mia, nonostante la pressione enorme, segna il suo rigore con freddezza. La vittoria finale, sancita dal rigore decisivo di Brandi Chastain, consacra la squadra americana nell’olimpo dello sport.
Icona dello sport americano
La vittoria del 1999 trasforma definitivamente Mia in un’icona leggendaria dello sport americano e in un simbolo della prima generazione di atlete “figlie del Title IX”. Nello stesso anno, raggiunge il record di 108 gol in nazionale, diventando la calciatrice più prolifica di sempre.
Nei anni successivi, Mia continua a dominare il calcio femminile mondiale. Nel 2000, guida gli Stati Uniti alla medaglia d’argento alle Olimpiadi di Sydney, segnando il gol decisivo nella semifinale contro il Brasile. Nel 2001, è tra le fondatrici della Women’s United Soccer Association (WUSA), la prima lega professionistica di calcio femminile negli Stati Uniti, giocando per il Washington Freedom.
Nel 2003, partecipa al suo quarto e ultimo Mondiale. Nonostante una prestazione personale di alto livello, con 4 gol segnati, gli Stati Uniti si fermano in semifinale, battuti a sorpresa dalla Germania. Mia conclude il torneo al terzo posto nella classifica marcatori, dimostrando di essere ancora al top della forma nonostante i 31 anni.
Il canto del cigno
Alle Olimpiadi di Atene del 2004, la Hamm mette il sigillo finale alla sua straordinaria carriera. Segna all’esordio contro la Grecia, mantenendo la sua tradizione di segnare nelle partite inaugurali dei grandi tornei. Gli Stati Uniti vincono l’oro battendo il Brasile in finale per 2-1 ai tempi supplementari e Mia viene scelta come portabandiera nella cerimonia conclusiva, un onore che sottolinea il suo status di icona dello sport americano.
Si ritira con un impressionante bottino di 158 gol in 275 partite ufficiali con la nazionale, due Coppe del Mondo (1991 e 1999) e due medaglie d’oro olimpiche (1996 e 2004). Al momento del suo ritiro, è la miglior marcatrice nella storia del calcio internazionale, sia maschile che femminile.
La sua figura diventa un “monumento” della cultura sportiva americana. Il più grande edificio del campus Nike a Beaverton, Oregon, è intitolato a lei, un onore non concesso nemmeno a leggende come Michael Jordan o Tiger Woods. Phil Knight, cofondatore di Nike, la inserisce tra i tre atleti che hanno “condotto il proprio sport in un’altra dimensione”, insieme a Jordan e Woods.
Soccer revolution
Come sottolineato da Anson Dorrance nel discorso per il suo ingresso nella Hall of Fame del calcio americano, Mia e le sue compagne hanno simbolicamente dimostrato al popolo americano che le donne possono eccellere in ogni campo, non solo come madri e mogli, ma anche come atlete, dirigenti d’azienda, avvocatesse o scienziate.
Il suo stile di gioco ha influenzato un’intera generazione di calciatrici. La sua abilità nel dribbling, la velocità, la precisione nei passaggi e la capacità di segnare gol spettacolari hanno ridefinito il ruolo dell’attaccante nel calcio femminile. Molte delle stelle che verranno dopo di lei, come Alex Morgan e Megan Rapinoe, citano la Hamm come loro ispirazione e modello.
Nonostante la sua enorme notorietà, Mia non ha mai fatto leva sul suo status di celebrità. Nei contratti federali, ha sempre accettato di guadagnare quanto le sue compagne, anche quelle che sedevano in panchina. Il suo motto potrebbe essere riassunto nella frase “There’s no ‘me’ in Mia” (Non c’è ‘io’ in Mia), che sottolinea il suo spirito di squadra e la sua umiltà.
Dopo il ritiro, Mia ha continuato a promuovere il calcio femminile, lavorando come ambasciatrice per la FIFA e sostenendo la sua fondazione. Nel 2007, è stata inserita nella National Soccer Hall of Fame, coronando una carriera decisamente straordinaria.







