Editoriale del direttore del Guerin Sportivo – febbraio 1976 – Temi: l’infortunio di Riva e la sconfitta dell’Italia nell’amichevole non ufficiale contro il Nizza.
Sabato, 31 ottobre 1970: ero a Vienna, si giocava Austria–Italia, e gli azzurri vincevano (guarda dove bisogna andarle a pescare, le vittorie: nei ricordi). Poi la gamba di Hof fece leva, e la gamba di Riva si spezzò. Non ci fu altro sentimento che il dolore. Brera, quasi nascosto da una colonna del Prater, bestemmiò con le lacrime agli occhi. La partita era teletrasmessa in diretta, un attimo dopo l’incidente i telefoni della tribuna stampa cominciarono a squillare: diteci cosa s’è fatto Riva.
Il giorno dopo, titoli in prima pagina, dappertutto, anche su fogli seriosi al servizio di morodoroteirumorianbasisti. Ma ripeto: per noi, tutti, ci fu solo dolore. Perché a Riva ci abituammo in fretta a volergli bene, e dopo non riuscimmo mai a volergli male, perché riscattava la nostra debolezza congenita (dico di razza) con un vigore eroico, perché ci dava vittorie che erano solo sue e diventavano patrimonio di tutti, perché con quel pugno chiuso dopo il gol e quel suo correre non verso la folla ma verso il cielo rammentava che si può godere di qualcosa che non sia per forza il corpo d’una donna: e quindi parlo di un godimento fisico sentito fin nel midollo.
E domenica sera l’ho rivisto — Riva — non cadere di schianto come a Vienna, ma piegarsi, un po’ alla volta, come al rallentatore, mimare la scena di un duello western: un colpo, di pistola, ecco che comincia a cadere, si guarda intorno, gli esce dai denti un «bastardo» e poi giù, il crollo nella polvere. Gigi è caduto sull’erba, davanti non aveva un uomo: lo aveva colpito — ancora una volta — la sfortuna vigliacca. E anche domenica soltanto dolore, autentico dolore: quello di Albertosi che gli si è avvicinato con apprensione e tenerezza fraterna; e subito dopo l’omaggio silenzioso e la carezza affettuosa di tutti gli altri, cagliaritani e milanisti; e anche noi, di qua dal video, a rivivere con rabbia ricordi che si speravano cancellati e a seppellire speranze — magari inutili — di rivederlo prestissimo in quella Nazionale castrata che ci troviamo.
Questa paginetta di riflessioni settimanali doveva esser dedicata tutta alla Nazionale nizzarda e a chi l’alleva nutrendola a veleno. Non voglio che finisca tutta per Riva, ma trovo sia giusto rammentare il suo dramma, e amareggiarsene, anche se il fatto che vorrebbe prevalere è un altro, il record juventino che fa impazzire folle di tifosi.
La Nazionale: così adesso, non possiamo neppur sperare che torni Riva a renderla più virile. Richiuso il sogno nel cassetto, guardiamo la realtà: ho cercato inutilmente di leggere — dopo il carnevale di Nizza — che la responsabilità della buffonata messa in scena in Costa Azzurra doveva essere attribuita a Franchi. Eppure, se i successi Sull’Olanda melinara e sulla Grecia erano stati chiaramente accreditati al Presidentissimo, perché non addebitargli questa pena? A Nizza una turba di critici s’è scandalizzata: vergogna, vergogna. Le «grandi firme» han fatto concorrenza a tal Julien Giarrizzi, redattore del «Nice Matin», che ha scritto: «Stupisce che Savoldi sia stato oggetto di una trattativa di due miliardi: più che del calciatore ha l’aria del cameriere. Ma osservandolo più attentamente del cameriere non ha nè lo stile nè lo zelo».
I soloni nostrani si sono adeguati a questa sorta di linciaggio comprensibile solo se messo in atto dagli Asterix d’Oltralpe, malati di grandeur, di presunzione, insomma, che è un misto di orgoglio e stupidità. Certi francesi che non conoscono calcio e si esaltano ad esibizioni di squadrette. di stampo parrocchiale (il Nizza, appunto) possono — anzi devono — concedersi alla beffa del calcio italico; ma che gente preparata tecnicamente — ce n’è, nei giornali italiani — non sia stata in grado di cogliere l’assurdo di quella partita, induce a pensare che ormai della Nazionale si parli soprattutto in malafede.
C’era solo da dire — io credo — che la partitella d’allenamento era stata imprudentemente giocata oltre confine, assumendo la dimensione innaturale di un confronto internazionale. Valcareggi i suoi li faceva giocare con la Rondinella di Nonsodove, o col Fucecchio, e via discorrendo. Ora c’è qualche cervellone (Bernardini? Bearzot? O forse Franchi?) che le sgambate vuol farle in terra straniera, magari per permettere ai pedatori dorati di far compere chez Vuitton, sulla Promenade nizzarda, ché in verità dell’appuntamento col Nizza non gliene fregava nulla.
La Nazionale è chiaramente sotto processo, perché dopo Stoccarda non ha saputo dimostrare di meritare un’assoluzione, neanche un briciolo di fiducia. E allora questi processi si facciano a porte chiuse, a Coverciano, a Firenze, finché non sia venuta l’ora di uscire allo scoperto. Oppure si cerchino confronti di livello superiore: con le nazionali di altri Paesi si potrà perdere, ma vedrete che i giocatori si batteranno sempre con un briciolo di dignità. Ma col Nizza, suvvia, che si poteva pretendere dai nostri «fighetti». Eppure i soloni li hanno presi sul serio, e si sono indignati, e Bearzot gli ha fatto il coro: miodio, quell’Antognoni è veramente immaturo (Ad esempio).
Miodio, quell’Antognoni dopo quattro giorni gli ha ricacciato in gola tutte le loro idiozie. E così han fatto gli altri, un po’ dappertutto: Causio, Graziani, Roggi… Solo Castellini nella gelata di Cesena ha voluto ripetere la recita buffa messa in scena al sole della Costa Azzurra. Ma non è un caso: il Torino meriterebbe lo scudetto, e se non lo vincerà dovrà soltanto rimpiangere di non avere avuto un portiere vero. Uno Zoff.
Domenica ho veduto Riva cadere, ho sentito dire che forse non tornerà sui campi verdi, e mi sono disperato (un po’ sì, lasciatemelo dire) perché adesso non ci resta neppure la possibilità di fingere una formazione azzurra con lui, che avrebbe restituito un minimo di serietà anche a noi, dico noi giornalisti. Ci voleva un uomo. Siamo rimasti tutti bambini, di qua e di là della barricata.