Il 16 maggio 1948 l’Italia viene travolta a Torino dall’Inghilterra con quattro reti. E’ anche la sconfitta del “sistema”, modulo azzurro facilmente bucato dagli attaccanti britannici.
Torino, domenica 16 maggio 1948, ore 17. Scendono in campo, allo stadio Comunale, Italia e Inghilterra. E’ l’ottavo incontro degli azzurri dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, il quarantaseiesimo in assoluto degli inglesi lontano dal suolo britannico, con 29 vittorie e 11 sconfitte nei 45 precedenti.
Tre i precedenti fra le due nazionali: 1-1 a Roma nel 1933, 3-2 per gli inglesi ad Highbury nel 1934, 2-2 a Milano nel 1939. Agli ordini di Sir Walter Winterbottom (allora giovane manager), gli inglesi arrivano all’aeroporto di Linate alle 18.30 del martedì precedente alla gara accompagnali dal segretario della FIFA Sir Stanley Rous.
L’attesa della partita contro i Maestri è enorme, i biglietti vanno esauriti in pochi giorni, e alla fine saranno 50.000 gli spettatori sugli spalti (ma altre fonti citano addirittura 80 mila, per 40 milioni d’incasso). Scene mai viste davanti alla sede del comitato organizzatore della gara, dove gli ultimi coraggiosi si organizzano per recuperare i biglietti rimasti, con tanto di sdraio e tavolini per riposarsi della lunga coda.
Sono, ricordiamo, i tempi del «Grande Torino», fortissimo in patria, dominatore assoluto in campionato: mancavano però i confronti internazionali a livello di club. Ancor oggi ci si domanda cosa avrebbe potuto ottenere quel Torino nelle competizioni europee. Il commissario unico Pozzo, il vecchio eroe dei Mondiali 1934 e 1938, a volte smembrava il complesso granata sostituendo in nazionale alcuni suoi elementi.
Nonostante i richiami del vecchio Mister, la spavalderia del prepartita da parte azzurra è notevole, ma quando la parola passa al campo il divano fra le due squadre risulterà essere impressionante: agli ordini dell’arbitro spagnolo don Pedro Escartin finisce 4-0 per l’Inghilterra, al termine di una gara nella quale la differenza a favore degli ospiti, oltre che individuale e tecnica, risulterà essere anche tattica.
Un match interessante perché per la prima volta entrambe le squadre adottano in campo il cosiddetto “sistema” o “WM“, inventato proprio su suolo britannico. Due moduli di gioco praticamente identici, quindi, ma con evidenti disparità da parte di chi poi, in quel giorno di maggio 1948, dovette applicarli.
Più veloce e mobile l’Inghilterra, che comunque alcune deroghe al “sistema” era stata costretta ad adottare, con il terzino posto dalla parte opposta a dove gravita il gioco tendente a spostarsi verso il centrocampo per collaborare all’azione di ripresa. Il calcio praticato oltre Manica era (ed è) basato poi su una maggiore carica agonistica, impostato sull’anticipo e sulla carica corretta, cioè di spalla, e l’uso di terzini e centromediani era molto più avanzato di quanto non fosse quello effettuato in Italia.
E così alla fine il campo disse 4-0, anche perché da parte inglese tutto c’era tranne che l’idea di venire in Italia a “fare gita”. Nel ritiro di Stresa il gruppo albionico visse quasi da segregato e sotto un severissimo regime alimentare, con duri allenamenti al campo di Intra. Nell undici titolare Winterbottom preferisce Mannion alla mezzala sinistra al posto di Pearson, mentre Howe gioca nel ruolo di terzino sinistro che sembrava dover essere di Aston.
Le squadre entrano in campo e dapprima è il capitano inglese Swift a presentare i compagni al sindaco di Torino. Quindi è la volta di Pozzo a fare lo stesso con gli azzurri. La bontà nell’uso di entrambi i piedi fa la differenza, con i Maestri che, potendo utilizzare indifferentemente il sinistro e il destro, possono svariare da una parte all’altra del campo senza problemi. Così Wright e Finney possono giocare sia a destra come a sinistra, mentre Mortensen si dispone sia come mezzala che come punta.
L’Inghilterra inoltre, schiaffo morale, rinuncia al suo classico gioco fatto di vigoria fisica, preferendo schiacciare l’Italia di Vittorio Pozzo dal punto di vista squisitamente tecnico. Mentre Nicolò Carosio racconta la partita alla radio, è Mortensen a sbloccare il risultato con un po’ di fortuna in acrobazia già al 4’, sfruttando anche la sorpresa di Bacigalupo e una leggera deviazione di Grezar, mentre Lawton al 23’ trova il raddoppio su passaggio dello stesso Mortensen. L’Italia potrebbe anche segnare, ma spreca malamente, e così anche a inizio ripresa, quando non raccoglie che una traversa.
Arriva così la doppietta di Finney al 70’ e al 72’ a chiudere la contesa suggellando il pesante poker finale, nel primo caso intervenendo di testa su un perfetto cross di Matthews. Il paradosso è che proprio la difesa risulta essere il miglior reparto azzurro, con Ballarin autore di un grande primo tempo, mentre Parola è probabilmente uno dei migliori. Un reparto comunque che, rispetto al periodo del “metodo”, risulta essere indebolito e più insicuro, a causa della maggior facilità di penetrazione concessa agli avversari e della meno organizzata difesa “solidale”.
Alla fine gli inglesi commentano il match alla spicciolata. Il gigantesco portiere Swift dice: «Gara interessante, ma ci aspettavamo di più dagli italiani. Comunque sono stati molto corretti, questo bisogna dirlo. Il migliore in campo? Mortensen».
Ma le ragioni della dura sconfitta, per Pozzo, furono altre. Nel suo libro di ricordi c’è una spiegazione originale, seppur tardiva. Eccola:
«Parecchie e svariate cose si potrebbe dire su quella partita che io non volli dire subito, per non avere l’aria di scaricare sulle spalle altrui una responsabilità che era mia. Era viva ed acuta, in quel periodo, una rivalità di tipo prettamente commerciale fra Parola e Mazzola. Ambedue si erano dedicati, nella loro vita privata, investendo rilevanti somme, alla fabbricazione e alla vendita di palloni da giuoco: ed erano naturalmente gelosissimi dell’affar loro. La partita di Torino era stata, per il ritiro di Parola dalla piccola lotta e per accordo concluso dal comitato organizzatore ed al quale io ero rimasto estraneo, iniziata con un pallone di una terza marca neutrale. Alla metà tempo il pallone era stato cambiato, e, durante la mia assenza dagli spogliatoi, una piccola scena dovette essere successa. Era stato ritirato il primo pallone e ne era stato messo al suo posto un altro, della marca di Mazzola. Del cambiamento se ne accorsero gli inglesi, che reclamarono. Chi me ne parlò, sul campo, fu Winterbotton, il direttore tecnico. Io feci una inchiesta da cui venne fuori ogni cosa e presentai un rapporto scritto alla Federazione, che, non so come, mise a posto le cose. Di rivalità si parlava. Era un ambiente difficilotto, quello del Torino in quel periodo».
La verità è che gli azzurri sbagliarono. E sbagliò pure Pozzo. Infatti, più avanti ammetterà: «Quell’incontro sono stato io, per primo, a perderlo».
Cosi le squadre in campo quel giorno:
16-5-1948, Torino Italia-Inghilterra 0-4 Reti: 4’ Mortensen, 23’ Lawton, 70’ e 72’ Finney Italia: V. Bacigalupo, Ballarin, Eliani, Annovazzi, C. Parola, Grezar, Menti II, Loik, Gabetto, V. Mazzola, Carapellese. Ct: V. Pozzo. Inghilterra: Swift, Scott, J. Howe, W. Wright, Franklin, Cockburn, S. Matthews, Mortensen, Lawton, Mannion, Finney. Ct: W. Winterbottom. Arbitro: Escartin (Spagna). |