La maledizione di Chiarella

Pensate di essere sfortunati? Aspettate di conoscere Walter Chiarella, l’uomo che dopo essere sopravvissuto a un coma, è riuscito nell’impresa di farsi squalificare per un illecito che non aveva commesso.

Nel grande mare del calcio italiano degli anni ’80 e ’90, quello che amiamo di più, si stagliano storie che sembrano uscite dalla penna di uno sceneggiatore con un gusto particolare per l’ironia della sorte. Tra queste, emerge con prepotenza quella di Walter Chiarella, classe 1963, un racconto che si dipana come un gomitolo di lana nera, intrecciando sfortuna, coincidenze e beffe del destino in un modo così perfetto da sembrare orchestrato.

Come in ogni grande tragedia che si rispetti, il protagonista parte da una posizione di promessa e speranza. Chiarella era uno di quei centravanti che facevano sognare le piazze calcistiche italiane: tecnica raffinata, fiuto del gol, quella capacità innata di essere al posto giusto al momento giusto che distingue i grandi attaccanti. Le sue prestazioni fanno alzare le orecchie ai club importanti, e la sua carriera sembrava destinata a una rapida ascesa.

Come avrete certamente capito, non andrà così. La sua storia diventerà leggendaria non per i gol segnati o per le vittorie conquistate, ma per una sequenza di eventi talmente improbabile da far sembrare il più sfortunato dei personaggi di Alberto Sordi un fortunello in confronto.

Una carriera spezzata

Il 24 febbraio 1988 si presenta come un giorno qualunque nella vita di Walter Chiarella. Niente lascia presagire che quella data diventerà uno spartiacque, il momento in cui il destino decide di giocare la sua prima, crudele carta. Un incidente stradale, di quelli che non lasciano scampo alle mezze misure: o la vita o la morte. Chiarella si trova sospeso tra questi due estremi, con una commozione cerebrale e lesioni multiple che lo conducono in un coma profondo.

In quei momenti drammatici, il calcio diventa improvvisamente l’ultimo dei problemi. La famiglia, i medici, gli amici: tutti concentrati su quella battaglia tra la vita e la morte che si combatte in un letto d’ospedale. I giornali sportivi, che fino a poco prima parlavano dei suoi gol, ora si limitano a brevi aggiornamenti sulle sue condizioni di salute.

Ma Chiarella dimostra di avere la tempra del guerriero. Come una fenice, riesce a risorgere dalle sue ceneri, compiendo quello che molti definirono un miracolo medico. Il risveglio dal coma diventa il primo capitolo di quella che tutti sperano possa essere una storia di rinascita. 

Il valzer delle istituzioni

Ma se Chiarella pensava che superare il coma fosse stata la prova più difficile, si sbagliava di grosso. Il calcio italiano stava per mostrargli il suo volto più burocratico e kafkiano. Come in un perfido gioco dell’oca, ogni casella nascondeva una nuova sfida, un nuovo ostacolo da superare.

Il Catanzaro, la squadra che fino a quel momento era stata la sua casa, scelse la via dell’elegante indifferenza. Con una mossa che sa di pragmatismo cinico, lo “scaricò” a fine stagione, proprio quando aveva più bisogno di supporto. Ma questo era solo l’inizio del valzer istituzionale che lo attendeva.

Il CONI si mise di traverso, emanando un’inibizione dall’attività agonistica che sembrava una sentenza definitiva. I medici della federazione scuotevano la testa, parlando di rischi e responsabilità, trasformando il sogno del ritorno in campo in un incubo burocratico. La Lega Calcio, non volendo essere da meno, si unì al coro dei “no”, creando ulteriori ostacoli quando la Ternana provò a tendergli una mano.

Si trovò così a combattere una guerra su più fronti, armato solo della sua determinazione. Le giornate si trasformarono in un susseguirsi di visite mediche, ricorsi, appelli, documenti da firmare. Il campo, l’erba verde, il pallone: tutto sembrava allontanarsi sempre più, nascosto dietro una cortina di carta intestata e timbri ufficiali.

La rinascita umbra

Dopo 798 giorni – un numero che resterà scolpito nella memoria di Chiarella come un marchio a fuoco – finalmente la luce. La Ternana, squadra umbra con una lunga tradizione di resurrezioni calcistiche, decide di scommettere su di lui. Non è solo un contratto quello che gli offrono, è una seconda possibilità, un nuovo inizio.

Il ritorno in campo è uno di quei momenti che meriterebbero una colonna sonora epica. Dopo più di due anni di battaglie, Chiarella rivede l’erba verde da una prospettiva che pensava gli fosse stata negata per sempre. La maglia rossoverde della Ternana diventa il simbolo della sua rinascita, ogni allenamento una piccola vittoria.

Ma è il ritorno al gol a segnare il vero momento della resurrezione. Il pallone che si infila in rete porta con sé il peso di 798 giorni di attesa, di visite mediche, di carte bollate, di speranze e delusioni. L’esultanza non è solo gioia, è liberazione. I tifosi della Ternana celebrano non solo un gol, ma una vittoria dello spirito umano sulla burocrazia, sulla sfortuna, sul destino stesso.

La favola sembra pronta per il lieto fine. Chiarella è tornato, più forte di prima, più determinato che mai. Le pagine sportive tornano a parlare di lui per quello che sa fare meglio: segnare gol. 

La telefonata del diavolo

Il 12 gennaio 1991, vigilia di Ternana-Catanzaro, una di quelle sfide che il calendario propone con regolarità nel campionato di Serie C. Per Chiarella, lievemente infortunato e non convocato, dovrebbe essere una giornata tranquilla. Invece, il telefono squilla e il destino torna a bussare alla sua porta.

La voce dall’altra parte si presenta come quella di un tifoso del Catanzaro. Il tono è amichevole, quasi nostalgico, richiama i bei tempi passati in giallorosso. Ma presto il discorso prende una piega diversa: un invito velato a “dare una mano” alla sua ex squadra. Le stesse chiamate raggiungono anche Gori e Caramelli, altri ex giallorossi ora alla Ternana. È il tipo di telefonata che può cambiare una carriera, di quelle che richiedono una reazione immediata.

Chiarella, forse per ingenuità, forse per quel senso di invulnerabilità che viene dopo aver superato prove ben più difficili, sottovaluta la situazione. Si limita a chiamare il compagno Forte, avvertendolo della strana telefonata. Solo in serata, quando raggiunge il ritiro della squadra, comunica l’accaduto all’allenatore Orazi. Una decisione che si rivelerà fatale.

A posteriori, è facile vedere gli errori: avrebbe dovuto denunciare subito, avrebbe dovuto fare più rumore, avrebbe dovuto proteggere se stesso con maggiore determinazione. Ma il calcio, come la vita, non offre la possibilità di tornare indietro. Quella telefonata diventerà il primo domino di una serie che porterà al crollo di tutto ciò che aveva faticosamente ricostruito.

La società, informata dall’allenatore, sporge immediatamente denuncia all’ufficio indagini. Il giorno della partita, il capo dell’Ufficio Indagini Labate è presente in tribuna. La partita finisce 2-2, con il Catanzaro raggiunto nel finale da un gol di Pochesci. Sul momento, sembra che tutto si sia risolto nel migliore dei modi. Ma è solo l’inizio di un nuovo incubo.

La tempesta perfetta

Il 6 febbraio 1991 arriva come un fulmine a ciel sereno la notizia del deferimento: il procuratore federale Vito Giampietro porta Chiarella davanti alla giustizia sportiva per “aver compiuto atti diretti ad alterare lo svolgimento e il risultato della partita“. Insieme a lui, viene deferito il Catanzaro per responsabilità presunta.

Il processo di primo grado, celebrato il 5 aprile, si trasforma in un teatro dell’assurdo. Chiarella si difende sostenendo di aver considerato infondata la proposta telefonica. Il presidente del Catanzaro Albano parla di complotti contro la sua presidenza, ricordando come i rapporti con Chiarella si fossero chiusi in modo brusco. Il direttore sportivo della Ternana Fiore conferma la tardività della denuncia di Chiarella.

La requisitoria del procuratore Giampietro è spietata, un capolavoro di retorica accusatoria: 

“Chiarella è complice della proposta illecita, avrebbe dovuto avvertire immediatamente la società, non si è per niente attenuto ai regolamenti e ha sottoscritto con le sue stesse mani l’illecito.” 

La richiesta è pesantissima: tre anni di squalifica per il giocatore e tre punti di penalizzazione per il Catanzaro. 

La sentenza di primo grado è un colpo al cuore: Chiarella viene squalificato per tre anni, mentre il Catanzaro viene prosciolto. Il centravanti, nonostante la lunga esperienza con la sfortuna, si dichiara sbigottito. Il presidente Albano, da parte sua, si limita a un lapidario “non posso pensare anche a lui“, chiudendo definitivamente ogni rapporto con il suo ex bomber.

L’ultimo atto della tragedia

Il destino, non ancora sazio della sua vendetta, prepara un finale degno del più crudele dei drammaturghi. Il Catanzaro, dopo una stagione travagliata, si trova a giocarsi la permanenza in Serie C1 nello spareggio contro il Nola. La città calabrese vive settimane di passione, culminate in una vittoria che sembra salvifica. Le strade si riempiono di tifosi festanti, i clacson suonano fino a notte fonda, l’incubo della C2 sembra scongiurato.

Ma bastano cinque giorni per trasformare la festa in tragedia. Il 20 giugno, la Commissione d’Appello Federale, sollecitata dal ricorso del procuratore Giampietro, ribalta completamente il verdetto di primo grado. Non solo conferma i tre anni di squalifica a Chiarella, ma infligge anche tre punti di penalizzazione al Catanzaro. Una sentenza che ha l’effetto di una bomba: quei tre punti significano retrocessione automatica, rendendo totalmente inutile lo spareggio vinto contro il Nola.

La città insorge, letteralmente. Le strade che pochi giorni prima avevano visto i festeggiamenti ora si riempiono di proteste. La sede della Lega viene presa d’assalto, i giornali locali parlano di “assassinio sportivo”. Il presidente Albano, che aveva manifestato piena fiducia nella giustizia sportiva, ora si trova a fare i conti con una realtà che ha dell’incredibile.

La domanda che tutti si pongono è legittima: perché la Lega ha permesso lo svolgimento dello spareggio, sapendo del procedimento in corso? La stessa Lega che aveva sospeso gli spareggi di C2 per situazioni analoghe aveva lasciato che Catanzaro e Nola si affrontassero, per poi rendere tutto vano pochi giorni dopo.

La jella vince sempre

Questa storia, che sembra uscita dalla penna di un autore di romanzi noir, rappresenta forse il caso più eclatante di come il destino possa accanirsi contro singoli e squadre nel mondo del calcio. Walter Chiarella, suo malgrado, è diventato una sorta di monumento vivente alla sfortuna, un esempio da manuale di come una carriera promettente possa essere distrutta da una serie di eventi sempre più surreali.

La vicenda del Catanzaro aggiunge un ulteriore strato di tragica ironia: una squadra che vince sul campo ma perde nelle aule dei tribunali sportivi, una città che passa dall’euforia alla disperazione nel giro di pochi giorni, un sistema che sembra fatto apposta per generare paradossi e ingiustizie.

Come disse qualcuno commentando l’intera vicenda: più che l’illecito, potè la jella. Una frase che racchiude perfettamente l’essenza di questa storia incredibile, dove il confine tra tragedia e farsa si fa così sottile da scomparire del tutto.