La nazionale senza nazione: l’effimera vita della CSI

Quando la nazionale sovietica si guadagnò il diritto a partecipare a Euro 1992, non immaginava certo che il suo paese sarebbe presto scomparso dalla mappa.

La fine della Guerra Fredda aveva scosso le fondamenta dell’Unione Sovietica, che nel 1991 si era frantumata in 15 nuove nazioni indipendenti. Ma il calcio non si fermò davanti alla storia, e così i sovietici dovettero trovare una soluzione per onorare l’acquisita qualificazione agli Europei che si sarebbero svolti in giugno 1992. Nacque così la squadra della Comunità degli Stati Indipendenti (CSI, in inglese Commonwealth of Independent States (CIS), una formazione effimera ma memorabile, che disputò Euro 92 con una maglia senza stemma e una bandiera senza colore.

Caduta dell’Impero

La fine dell’URSS si profilava all’orizzonte già dalla metà degli anni ’80. Le manifestazioni antisovietiche che reclamavano l’indipendenza scoppiarono prima nei paesi baltici, poi si estesero a macchia d’olio nel Caucaso e oltre. Il calcio non faceva altro che riflettere le tensioni sociali e politiche: in un’amichevole del 1986 tra Unione Sovietica e Inghilterra giocata a Tbilisi, i tifosi georgiani si schierarono con gli inglesi contro la loro presunta squadra nazionale. A Yerevan, la folla acclamò “Lettonia” e “Lituania” quando ospitò le squadre di Vilnius e Riga in segno di sostegno alle loro aspirazioni indipendentiste. Così nessuno si sorprese quando nel 1990 il Partito Comunista dell’Unione Sovietica subì una sconfitta storica nelle prime elezioni libere tenutesi nei tre stati baltici, Georgia e Armenia, anticipando la loro imminente secessione.

Le elezioni del 1990 ebbero un impatto immediato sul panorama calcistico sovietico. Le squadre georgiane furono le prime a lasciare il campionato. La Dinamo Tbilisi, due volte campione sovietica della Vysshaya Liga (la massima serie sovietica) e vincitrice della Coppa delle Coppe del 1981, una delle sole due squadre sovietiche ad aver alzato un trofeo europeo, rinunciò a partecipare alla stagione 1990 poco prima del suo inizio.

Poco dopo fu la volta dei lituani dello Žalgiris Vilnius. Lo Žalgiris era stata la squadra più titolata delle repubbliche baltiche durante l’epoca sovietica, arrivando terza e qualificandosi due volte per la Coppa UEFA alla fine degli anni ’80. Si ritirò dal campionato sovietico dopo una sola partita nella stagione 1990.

Il 25 dicembre 1991, Mikhail Gorbaciov rassegnò le dimissioni e la bandiera sovietica fu calata dal Cremlino, sostituita dal tricolore russo. Dopo 69 anni dalla sua nascita, l’Unione Sovietica cessava ufficialmente di esistere. La Comunità degli Stati Indipendenti (CSI) si era già costituita in previsione della formalizzazione del crollo che tutti sapevano inevitabile. La CSI era (e rimane tutt’ora) una libera associazione di ex repubbliche sovietiche cooperanti in materia di commercio, sicurezza e diritti umani. Lo statuto dell’organizzazione sottolineava, però, che tutti i membri erano stati sovrani e indipendenti; non era quindi un Unione Sovietica 2.0. Alla fine del 1991, undici delle quindici ex repubbliche sovietiche avevano aderito alla CSI (in seguito si ritireranno Georgia e Ucraina).

I Capi di Stato dopo la firma del protocollo sulla creazione della Comunità di Stati indipendenti (CSI).

Nasce la CSI

Quando la squadra nazionale dell’URSS si era qualificata per gli Europei in Svezia dopo aver dominato il proprio girone, nessuno avrebbe immaginato che sarebbe stata l’ultima volta con indosso la maglia rossa targata CCCP. Il crollo dell’Unione Sovietica aveva messo in dubbio il suo destino calcistico, ma la soluzione non tardò ad arrivare.

Già l’11 gennaio 1992, nove delle quindici ex repubbliche si riunirono a Mosca e diedero vita alla Federcalcio della CSI. Alcune, come Ucraina, Armenia e Georgia, pur non aderendo all’ente, consentirono ai propri calciatori di vestire temporaneamente la casacca della CSI. Altre, come gli stati baltici, si astennero del tutto. Due giorni dopo, la FIFA prontamente riconobbe la Federcalcio della CSI come l’erede legale di quella sovietica, assicurandole così la partecipazione agli Europei.

La tournée americana

Fu un’ironia della storia che i primi avversari della nazionale post-sovietica fossero proprio gli Stati Uniti, in un’amichevole a Miami il 25 gennaio 1992. La città era una delle candidate ad ospitare i Mondiali del 1994 e ci teneva a fare bella figura. Ma l’atmosfera era strana. La squadra della CSI manteneva ancora i simboli dell’URSS. Thom Meredith, responsabile degli eventi per la US Soccer Federation, rimase sorpreso:

“Hanno deciso di tenere la vecchia bandiera e l’inno finché non ne inventano di nuovi… oggi sono andato a comprare una bandiera sovietica e ho mandato altre persone a cercare l’inno”.

Sul campo, Marcelo Balboa fallì un rigore al 60′ concesso dopo in seguito ad un tocco di mano in area di Kakha Skharadze. Sette minuti dopo un gran tiro di Tsveiba fu deviato da John Doyle riuscendo a beffare il portiere americano Tony Meola. Fu l’unico gol della partita, che diede la vittoria alla CSI per 1-0. Curiosamente, Skharadze e Tsveiba erano entrambi georgiani e giocavano per la CSI nonostante la Georgia non facesse parte dell’organizzazione.

Le pagine di Soccer International sulla tournée della CIS negli Stati Uniti

Nel frattempo, nel loro paese d’origine il calcio era l’ultimo dei problemi. Il popolo aveva altre preoccupazioni più urgenti e vitali. Aleksandr Tukmanov era il capo della delegazione della CSI negli USA. Così riferì al New York Times:

“È molto difficile fare previsioni o programmi [sul futuro della nazionale]. Ci sono molti problemi che la nostra popolazione deve affrontare. Uno è quello di evitare qualsiasi tipo di situazione che porti a conflitti tra le nazionalità. Un altro è quello di far arrivare cibo e beni essenziali alle persone, senza le lunghe file”.

Charlie Nobles, il corrispondente del New York Times, seguì la partita con occhio politico. Nel suo articolo, dedicò gran parte dello spazio alle implicazioni geopolitiche dell’evento, definendo la nazionale della CSI “il frutto del primo esperimento capitalista del Commonwealth sovietico”.

Anatoly Byshovets, il tecnico della CSI, si mostrò fiducioso sul futuro della sua squadra dichiarando che molti dei suoi giocatori stavano lottando per “un posto da riserva di lusso” in vista delle qualificazioni ai Mondiali 1994. Un’illusione, come si scoprirà presto.

La storica prima formazione della CIS schierata dal ct Byshovets al joe Robbie Stadium di Miami

Dopo il successo di Miami (che alla fine non sarà scelta come sede del torneo) la CSI sconfisse El Salvador per 3-0 in un’amichevole a San Salvador, poi tornò negli Stati Uniti per affrontare di nuovo gli americani a Detroit. Questa volta, però, gli Stati Uniti ebbero la meglio per 2-1, ottenendo la prima vittoria contro l’ex gigante sovietico. Eric Wynalda segnò il primo gol e Balboa si riscattò dal suo errore a Miami trasformando un rigore al 75’.

Poi arrivò la trasferta in Terra Santa per un’amichevole contro Israele a Gerusalemme. Era, o sarebbe stata, la partita numero 400 della nazionale sovietica. Ma per il giornalista Oleh Kucherenko, non c’era differenza tra la squadra della CSI e quella dell’URSS:

“Per la nostra nazionale è stato un anniversario, la sua 400esima partita. E anche se ora si chiama diversamente, è sempre la stessa squadra formata dai migliori dell’ex – come si dice ora – URSS. E i giocatori di questa squadra, a prescindere da ciò che fanno i politici, sono una sola famiglia. Ancora meglio, la nazionale ha vinto la sua 400esima partita. E non in un posto qualunque, ma nella città santa di Gerusalemme”.

La CSI vinse per 2-1. Dopo questa affermazione, seguirono altre amichevoli per prepararsi a Euro 1992. La CSI pareggiò con Spagna, Inghilterra e Danimarca, vincendo solo contro il club tedesco Schalke 04 in un’amichevole non ufficiale. Ma per quanto Kuchurenko si ostinasse a credere che la nazionale dell’URSS fosse ancora viva e che nulla fosse cambiato rispetto ai tempi d’oro, la storia gli avrebbe dato torto.

L’inglese Daley affrontato da Kahkhi Tskhadnze della CIS durante l’amichevole giocata a Mosca (2-2)

La nazionale della CSI visse un’effimera e bizzarra esistenza. Disputò solo nove partite ufficiali tra il 1991 e il 1992, prima di sciogliersi definitivamente. Ma tra le sue ultime apparizioni, ce ne fu una ancora più strana e controversa: un’amichevole in Messico, giocata da una squadra composta solo da russi.

Era il marzo del 1992, e la CSI si preparava per gli Europei, dove avrebbe dovuto affrontare la Germania, l’Olanda e la Scozia. Prima di partire per il torneo, però, la squadra fece una sosta in America Latina, dove affrontò due volte la selezione messicana guidata da César Luis Menotti, il tecnico argentino campione del mondo nel 1978. Il primo incontro si concluse con una sonora sconfitta per 4-0 a Città del Messico, mentre il secondo terminò con un pareggio per 1-1 a Tampico.

Ma questa non era una normale amichevole. La nazionale della CSI era sempre stata formata da giocatori provenienti da diverse repubbliche dell’ex Unione Sovietica, come Ucraina e Georgia. Ma in Messico, la squadra era composta esclusivamente da russi. Alcuni considerano questa partita come un’amichevole tra Messico e Russia, non tra Messico e CSI. Infatti, questo match non è stato mai riconosciuta ufficialmente dalla federazione calcistica russa, né dalla federazione calcistica della CSI. Ma si può ora affermare che questa sia stata la prima partita della nazionale russa dopo la fine dell’era sovietica.

I russi non erano gli unici a fare le prove generali per il futuro. Anche le altre repubbliche avevano già iniziato a giocare le loro prime partite da “indipendenti”. La Georgia aveva debuttato nel 1990, pareggiando 2-2 con la Lituania. L’Ucraina aveva perso 3-1 contro l’Ungheria il 29 aprile 1992, lo stesso giorno in cui la CSI aveva pareggiato 2-2 con l’Inghilterra a Mosca.

La delusione di Euro 92

Kuznetzov tra i tedeschi Riedle e Effenberg

Era evidente che la nazionale della CSI non era altro che un provvedimento temporaneo per permettere all’ex Unione Sovietica di partecipare agli Europei del 1992 e salvare le apparenze. Così, la nazionale della CSI arrivò in Svezia con poca convinzione e motivazione. Il suo girone era composto dalla Germania (che rappresentava per la prima volta una nazione riunificata dopo la seconda guerra mondiale), dall’Olanda e dalla Scozia. Paul Walters, giornalista del The Guardian, scrisse:

“La CSI potrebbe quasi esistere in termini politici. In termini sportivi, invece, è solo un mezzo di transizione. Il suo unico scopo è quello di colmare il vuoto tra la scomparsa della vecchia struttura sportiva sovietica alla mezzanotte del 31 dicembre e l’emergere indipendente delle varie repubbliche del vecchio impero sovietico”.

Le sue prestazioni sul campo furono altrettanto scialbe. Quando i giocatori entrarono in campo allo stadio Idrottsparken di Norrköping nella partita inaugurale contro la Germania, indossavano maglie color bordeaux con le piccole lettere CIS ( Commonwealth of Independent States) stampate sul petto, ben lontane dal maestoso CCCP che campeggiava sulle iconiche maglie rosse nell’era sovietica. La bandiera issata non era la familiare falce e martello d’oro su sfondo rosso, ma una semplice bandiera bianca con CIS scritto in blu. L’inno suonato prima del fischio d’inizio non si apriva con il testo ormai obsoleto “unione indistruttibile di repubbliche libere”. Al suo posto venne suonata la nona sinfonia di Beethoven.

Olanda-CSI 0-0: Sergie Yuran e Adri van Tiggelen

La CSI passò comunque in vantaggio contro i campioni del mondo in carica al 64’ con un rigore realizzato da Igor Dobrovolski. Mancavano pochi minuti alla vittoria storica, ma i tedeschi fecero valere la loro teutonica perseveranza e pareggiarono all’88’. Nella seconda partita, la CSI venne dominata dagli olandesi e fu fortunata a strappare un 0-0. L’Olanda tirò 17 volte in porta contro le 4 del CSI e si vide annullare un gol regolare di Marco van Basten quasi allo scadere.

Per sperare di accedere al turno successivo, avrebbe ora dovuto vincere contro la squadra più debole del girone, la Scozia, e possibilmente con un margine di almeno due gol, se l’altra partita tra Olanda e Germania fosse finita in parità. La Scozia, tra l’altro già fuori dai giochi dopo due ko di fila, non sembrava un avversario insormontabile per la CIS, che però aveva mostrato finora prestazioni opache.

Paul McStay e Alexei Mikhailichenko nel match conclusivo di Euro 92

Ma dopo 16 minuti di gioco, la CIS era già sotto di due reti. Il calcio di rigore trasformato da Gary McAllister all’84’ fu solo la beffa finale per una selezione senza patria. Kucherenko, nel suo rapporto post-partita, tracciò un parallelo tra il destino della squadra del CIS e quello del paese:

“Vorrei aggiungere un altro fattore che ha influito negativamente sul nostro torneo: il fattore psicologico, che nessuno considera… noi non abbiamo una bandiera o un inno – al posto nostro hanno suonato il finale della Nona Sinfonia di Beethoven. Tutti gli altri ascoltano il loro inno, lo cantano i giocatori, lo cantano anche i tifosi sugli spalti. E noi siamo completamente indifferenti. Come potrebbe essere diversamente? Per chi giochiamo? Chi rappresentiamo? Sì, questa è stata una sconfitta dolorosa. Purtroppo noi come popolo ci stiamo abituando a subire una delusione dopo l’altra, e non solo nel calcio. E questo è qualcosa che dobbiamo imparare a sopportare”.

La partita persa contro la Scozia fu l’ultima apparizione ufficiale della selezione della CIS. Era passato meno di un semestre dalla loro vittoria sugli Stati Uniti, il che la rende forse la selezione più effimera di tutti i tempi. Subito dopo gli Europei, la FIFA riconobbe la Russia come l’erede legittima delle selezioni di URSS e CIS, assegnandole il posto nelle qualificazioni ai Mondiali del 1994 e costringendo tutte le altre nazionali ex sovietiche a ripartire da capo.

Fonte: Vadim Furmanov (www.futbolgrad.com)