Un’analisi del quadriennio 1990-1994, che vide i granata tornare protagonisti in Italia e in Europa sotto la guida del tecnico bergamasco.
Nell’estate del 1990, dopo i Mondiali di calcio, il Torino si preparava a una nuova fase della sua storia. La squadra, che aveva conosciuto grandi successi in passato, stava per iniziare un importante periodo di rilancio sotto la guida di Emiliano Mondonico.
Il nuovo allenatore, che aveva già dimostrato le sue capacità con squadre minori, arrivò sulla panchina granata in un momento cruciale. La sua gestione avrebbe portato il Torino a riconquistare un ruolo di primo piano nel calcio italiano ed europeo, regalando alla tifoseria soddisfazioni che mancavano da tempo.
L’architetto e i suoi mattoni
Mondonico non era un teorico del calcio come Arrigo Sacchi, né un rivoluzionario come Zdeněk Zeman. Il suo approccio, che lui stesso definiva “Pane e Salame”, era basato su principi semplici ma efficaci: organizzazione difensiva, carica agonistica e libertà creativa per i talenti offensivi. Questa filosofia si adattava perfettamente al DNA del Torino, club da sempre caratterizzato da una miscela di grinta e classe.
Il tecnico bergamasco ereditò una squadra appena promossa in Serie A, ma con un potenziale notevole. Il nuovo allenatore poteva contare su una solida base difensiva composta da elementi come Luca Marchegiani in porta, Roberto Mussi e Roberto Policano in difesa. A questi si aggiungevano i talenti provenienti dal prolifico settore giovanile di Sergio Vatta, tra cui spiccavano Silvano Benedetti, Roberto Cravero, Gianluca Sordo, Giorgio Venturin e il gioiello Gianluigi Lentini.
Mondonico, supportato dal nuovo presidente Gian Mauro Borsano, rafforzò ulteriormente la squadra con acquisti mirati. Arrivarono i roccosi difensori Enrico Annoni, soprannominato “Tarzan”, e Pasquale Bruno, noto come “O Animale” per il suo stile di gioco aggressivo. Il colpo più significativo fu però l’ingaggio del talentuoso centrocampista spagnolo Rafael Martín Vázquez dal Real Madrid, un acquisto che dimostrava le ambizioni del club.

L’approccio tattico di Mondonico, solida organizzazione difensiva senza però sacrificare la creatività in fase offensiva, si rivelò vincente: il Torino chiuse la stagione 1990-91 al quinto posto in Serie A, davanti ai rivali cittadini della Juventus e al Napoli campione in carica, guadagnandosi la qualificazione alla Coppa UEFA.
Ma il successo non si limitò al campionato. Mondonico guidò il Torino alla vittoria della Coppa Mitropa, un trofeo europeo che, sebbene avesse perso parte del suo prestigio negli anni ’80, rappresentava comunque il primo titolo continentale nella storia del club. Questo trionfo, unito all’ottimo piazzamento in campionato, diede ai tifosi granata la sensazione che una nuova era di successi stesse iniziando, con Mondonico come timoniere di questa rinascita.
L’avventura europea

La stagione 1991/92 rappresentò il picco dell’era Mondonico al Torino. Il tecnico aveva ulteriormente rafforzato la squadra con l’arrivo di due elementi chiave: il raffinato centrocampista belga Enzo Scifo e l’attaccante brasiliano Walter Casagrande. Questi innesti completarono un mosaico già ricco di talento, creando una squadra equilibrata e competitiva su tutti i fronti.
In Serie A, il Torino si distinse per la sua solidità difensiva. La squadra di Mondonico concesse solo 20 gol in 34 partite, concludendo il campionato con la miglior difesa, superando persino la celebre retroguardia del Milan di Fabio Capello. Questa solidità portò i granata a un impressionante terzo posto finale, il miglior piazzamento del club in sette anni.
Ma fu in Coppa UEFA che il Torino di Mondonico scrisse pagine di storia indimenticabili. Il cammino europeo raggiunse l’apice nella semifinale contro il Real Madrid. Dopo una sconfitta per 2-1 al Santiago Bernabéu, i granata si imposero per 2-0 nel ritorno al Delle Alpi, in una partita che divenne leggendaria. Mondonico preparò la sfida con meticolosità tattica, schierando un centrocampo compatto con Venturin, Fusi e Scifo a protezione della difesa. In attacco, fu Gianluigi Lentini a brillare, fornendo gli assist per entrambi i gol che mandarono il Torino in finale.
La finale contro l’Ajax di Louis van Gaal fu un confronto epico tra due filosofie calcistiche diverse. All’andata, al Delle Alpi, il Torino sorprese tutti giocando a viso aperto, in un emozionante 2-2. Al ritorno ad Amsterdam, i granata dominarono il gioco ma furono fermati dalla sfortuna, colpendo tre pali. L’immagine di Mondonico che alza la sedia al cielo per protestare contro un rigore non concesso negli ultimi minuti è diventata iconica, simboleggiando la frustrazione per un’occasione sfumata.

Nonostante la sconfitta in finale, la stagione del Torino fu straordinaria. La squadra aveva dimostrato di poter competere ai massimi livelli europei, giocando un calcio efficace e a tratti spettacolare. Il tridente offensivo composto da Lentini, Casagrande e Martin Vazquez si rivelò letale, mentre la solidità difensiva garantita da giocatori come Cravero, Annoni e Bruno fornì le basi per il successo della squadra.
Il Trionfo in Coppa Italia
Il contesto in cui Mondonico si trovò ad operare stava però diventando più complesso. Dopo la finale di Coppa UEFA dell’anno precedente, il presidente Gian Mauro Borsano aveva rivelato le sue ambizioni politiche, utilizzando la popolarità acquisita attraverso il club come trampolino di lancio. Questa svolta ebbe ripercussioni immediate sulla gestione della squadra.
Borsano iniziò a vendere alcuni dei pezzi pregiati della rosa. La cessione più dolorosa, e discussa, fu quella di Gianluigi Lentini, il talento cresciuto nel vivaio granata, ceduto al Milan per una cifra record mondiale. Una vendita che provocò proteste tra i tifosi, che si riunirono a più riprese davanti alla sede del club per esprimere il loro disappunto.
Mondonico, tuttavia, mantenne la sua proverbiale calma e realismo. Commentando la partenza di Lentini, dichiarò: “Mi dispiace perderlo, ma ora la realtà è che Milan e Juventus fanno quello che vogliono, mentre le altre squadre fanno quello che possono.”
Nonostante queste difficoltà, Mondonico riuscì a mantenere la squadra competitiva e motivata. Il culmine della stagione arrivò con la vittoria della Coppa Italia. Il Torino affrontò la Roma in una finale al cardiopalma. Nella gara d’andata, i granata si imposero con un convincente 3-0, mettendo una seria ipoteca sul trofeo. Tuttavia, il ritorno si rivelò drammatico: la Roma vinse 5-2, portando il Torino sull’orlo di una clamorosa rimonta. Nonostante il risultato negativo della gara di ritorno, i granata riuscirono a portare a casa il trofeo grazie al risultato complessivo di 5-5, che premiava il miglior risultato in trasferta.

Questa vittoria fu particolarmente significativa per diverse ragioni. Innanzitutto, rappresentava il primo trofeo importante vinto dal Torino sotto la guida di Mondonico. In secondo luogo, arrivava in un momento di transizione e incertezza per il club, dimostrando la capacità dell’allenatore di mantenere la squadra concentrata e competitiva nonostante le turbolenze esterne.
L’ultimo atto
Il trionfo in Coppa Italia della stagione precedente aprì le porte a una nuova avventura europea. I granata si guadagnarono infatti il diritto di partecipare alla Coppa delle Coppe 1993/94, competizione che avrebbe segnato l’ultimo capitolo del primo, indimenticabile ciclo di Emiliano Mondonico sulla panchina torinese.
I granata, dopo aver eliminato facilmente i norvegesi del Lillestrøm e gli scozzesi dell’Aberdeen, nei quarti di finale incontrarono l’ostacolo insormontabile dell’Arsenal. I Gunners, che avrebbero poi alzato il trofeo a fine stagione, posero fine al sogno europeo del Toro, ma non prima che la squadra di Mondonico avesse ancora una volta dimostrato il suo valore sul palcoscenico internazionale. Dopo lo 0-0 al Delle Alpi, una rete di Tony Adams fu sufficiente ai londinesi per accedere alle semifinali.
In campionato, il Torino non riuscì a replicare le prestazioni degli anni precedenti. L’ottavo posto finale fu un risultato discreto, ma lontano dai fasti del terzo posto di due stagioni prima. Era il segno che un ciclo stava giungendo al termine.

L’orgoglio risvegliato
Il tecnico bergamasco riuscì a risvegliare l’orgoglio granata, a far rivivere ai tifosi emozioni che non provavano da decenni. Il suo Torino non vinse lo scudetto, impresa quasi impossibile in quegli anni dominati dal Milan di Sacchi e Capello, ma riuscì a riportare i granata ai vertici del calcio italiano ed europeo.
Mondonico incarnava perfettamente lo spirito del Toro: grinta, passione, ma anche classe e fair play. Il suo approccio pragmatico ma mai rinunciatario si adattava perfettamente alla storia e alle tradizioni del club. Non a caso, quando anni dopo lottò contro il cancro, i tifosi granata organizzarono una manifestazione di solidarietà, alzando sedie al cielo in suo onore, proprio come lui aveva fatto quella notte ad Amsterdam.
Emiliano Mondonico se n’è andato nel 2018, ma il suo spirito vive nel cuore dei tifosi. Le sue stagioni in granata faranno per sempre parte della leggenda del Torino, un capitolo luminoso che ci ricorda che, nonostante tutto, il Toro può sempre ruggire ancora.
