Più che una nota a margine nella storia del calcio, fu un esperimento audace e visionario che, nonostante il suo fallimento finale, ha lasciato il segno sul panorama calcistico globale.
Il calcio negli Stati Uniti ha radici più profonde di quanto molti possano immaginare. Già nel 1894, l’American League of Professional Football dava il via a una tradizione che, seppur discontinua, avrebbe gettato le basi per futuri sviluppi. Questa lega pionieristica, fondata dai proprietari delle squadre di baseball della National League, mirava a sfruttare gli stadi durante i mesi invernali. Sebbene di breve durata, dimostrò che esisteva un interesse per il calcio in America.
Nei decenni successivi, altre leghe come la National Association Football League e l’American Soccer League mantennero viva la fiamma del calcio negli Stati Uniti. L’American Soccer League, in particolare, godette di un notevole successo negli anni ’20, diventando il secondo campionato sportivo più popolare del paese, dietro solo al baseball. Tuttavia, la Grande Depressione e i conflitti con gli organi di governo del calcio portarono al suo collasso nel 1933.
Fu il Mondiale del 1966 in Inghilterra a segnare una svolta cruciale. Nonostante l’assenza della nazionale statunitense, oltre un milione di americani si sintonizzarono per seguire l’evento, rivelando un interesse latente che non sfuggì all’occhio attento di alcuni investitori. Il documentario FIFA “Goal!”, che raccontava i momenti salienti del torneo, riscosse un successo inaspettato negli Stati Uniti, suggerendo che il pubblico americano fosse pronto per abbracciare il “soccer“.
Così, nel 1967, nacquero due leghe rivali: la United Soccer Association e la National Professional Soccer League. La prima, riconosciuta dalla FIFA, adottò un approccio singolare: importò intere squadre europee e sudamericane, ribattezzandole con nomi americani. Immaginate i Wolverhampton Wanderers trasformati nei Los Angeles Wolves o il nostro Cagliari nei Chicago Mustangs. Un esperimento audace, ma destinato a durare una sola stagione.
La nascita della NASL e i primi passi incerti
Nel 1968, dalla fusione delle due leghe, nacque la North American Soccer League (NASL). Con 17 squadre al via e un mix di giocatori internazionali, molti dei quali ex stelle sul viale del tramonto, la lega sembrava pronta a conquistare l’America. Ma il primo anno si rivelò un bagno di sangue finanziario: ogni singola squadra chiuse in perdita.
Gli alti costi di affitto degli stadi e gli stipendi dei giocatori stranieri si rivelarono insostenibili. Molti investitori, delusi dai risultati immediati, ritirarono i loro finanziamenti. Quando la CBS decise di non rinnovare il contratto per la trasmissione delle partite, la situazione precipitò.
Il 1969 vide la NASL ridotta a soli cinque team, un numero che gridava “crisi” da ogni angolo. La lega barcollava, in bilico tra la sopravvivenza e l’oblio. Fu in questo momento critico che una mossa geniale diede respiro al calcio americano: l’organizzazione di amichevoli contro squadre straniere di prestigio. Il Santos di Pelé, in particolare, catturò l’immaginazione del pubblico, permettendo alla NASL di guadagnare tempo prezioso.
Nonostante le difficoltà, la lega mostrò segni di ripresa. Nel 1973, i Philadelphia Atoms divennero la prima squadra NASL a superare una media di 10.000 spettatori a partita, e il loro portiere Bob Rigby fu il primo calciatore a comparire sulla copertina di Sports Illustrated. La finale della NASL di quell’anno attirò oltre 18.000 spettatori, segnalando un crescente interesse per il calcio.
L’arrivo del Re e la rivoluzione calcistica
Il 1975 segnò l’inizio di una nuova era. Prima arrivò Eusébio a Boston, ma fu New York a piazzare il colpo che avrebbe cambiato tutto. I Cosmos, sostenuti dal potente Steve Ross della Time Warner, firmarono nientemeno che Pelé. Il più grande calciatore di tutti i tempi sbarcava in America, e con lui arrivava una nuova ondata di entusiasmo.
L’impatto fu immediato e straordinario. Le folle raddoppiarono, la CBS trasmise il debutto di Pelé attirando 10 milioni di spettatori. Il calcio, improvvisamente, era sulla bocca di tutti negli Stati Uniti. Pelé, nonostante avesse 34 anni, era ancora in grado di incantare con la sua classe e il suo carisma.
L’arrivo di O Rei non solo riempì gli stadi, ma attirò l’attenzione dei media nazionali e internazionali. Il calcio, per la prima volta, stava guadagnando spazio sui giornali e nei notiziari televisivi americani. La NASL aveva finalmente trovato la sua stella capace di trascendere i confini dello sport.
La parata delle stelle
Sull’onda dell’entusiasmo generato da Pelé, la NASL divenne un palcoscenico per alcune delle più grandi stelle del calcio mondiale. I Cosmos, in particolare, assemblarono una squadra da sogno: Giorgio Chinaglia, Franz Beckenbauer, Johan Neeskens, Carlos Alberto Torres si unirono al Re del calcio. New York divenne l’epicentro del calcio americano, attirando folle record e creando un’atmosfera elettrizzante ad ogni partita.
Ma non erano solo i Cosmos a brillare. George Best incantava Los Angeles con la sua tecnica sopraffina e il suo stile di vita sopra le righe. Johan Cruyff portava il “calcio totale” a Washington, dimostrando che anche in America si poteva giocare un calcio innovativo e spettacolare. Gerd Müller, il “bomber della nazione” tedesco, segnava a raffica per Fort Lauderdale, confermando la sua fama di goleador implacabile.
La lega attirava talenti da ogni angolo del globo, e non solo veterani: giovani promesse come Hugo Sánchez e Trevor Francis scelsero la NASL per mettersi in mostra. Il livello tecnico del campionato crebbe esponenzialmente, offrendo agli spettatori americani un calcio di qualità mai vista prima nel paese.
Il culmine di questa era dorata fu raggiunto nel 1978, quando 75.000 spettatori gremirono il Giant Stadium per la finale tra i Cosmos e i Tampa Bay Rowdies. L’atmosfera era elettrica, degna delle più grandi partite europee o sudamericane. Il calcio sembrava aver finalmente conquistato l’America.
Innovazione e sperimentazione
La NASL non si limitò a importare stelle, ma si fece promotrice di numerose innovazioni nel mondo del calcio. Alcune idee, come l’allargamento delle porte o il conto alla rovescia del tempo, furono accolte con scetticismo. Altre, invece, si rivelarono lungimiranti e influenzarono il futuro del gioco a livello globale.
Fu la NASL a introdurre il divieto del retropassaggio al portiere, una regola che la FIFA avrebbe adottato solo anni dopo, nel 1992. Questa modifica aveva lo scopo di rendere il gioco più fluido e spettacolare, riducendo le tattiche dilatorie. I numeri fissi sulle maglie e i nomi dei giocatori sul retro furono altre innovazioni che oggi diamo per scontate, ma che all’epoca rappresentavano una novità assoluta, pensate per aiutare gli spettatori a identificare i giocatori.
Particolarmente affascinante fu l’introduzione dei shootout al posto dei rigori: un giocatore partiva dalla linea dei 35 metri e aveva cinque secondi per battere il portiere. Questo formato, che ricordava più l’hockey su ghiaccio che il calcio tradizionale, creava momenti di grande suspense e spettacolarità. Uno spettacolo nello spettacolo che, seppur non adottato a livello internazionale, rimane nella memoria di molti come un’entusiasmante alternativa ai tradizionali penalty.
La NASL sperimentò anche con il sistema di punteggio, assegnando sei punti per una vittoria, tre per un pareggio e bonus aggiuntivi per i gol segnati. Un sistema che, sebbene criticato per la sua complessità, mirava a incentivare il gioco offensivo e a rendere ogni partita più avvincente fino all’ultimo minuto.
Il declino e le lezioni apprese
Nonostante il successo apparente, la NASL nascondeva problemi strutturali che alla fine ne avrebbero causato il collasso. Molte squadre spendevano ben oltre le loro possibilità, inseguendo il modello dei Cosmos senza averne le risorse. Nel 1980, la lega accumulava un deficit di 30 milioni di dollari e nessuna squadra era in attivo.
Il problema principale era la mancanza di un solido piano di sviluppo a lungo termine. La NASL si era concentrata sull’importazione di stelle straniere, trascurando la crescita dei talenti locali e la creazione di una base di tifosi fedeli. Mentre i Cosmos e poche altre squadre prosperavano, molte franchigie lottavano per sopravvivere, con medie spettatori spesso inferiori ai 5.000 per partita.
La recessione economica dei primi anni ’80 diede il colpo di grazia. Le aziende tagliarono le spese per sponsorizzazioni e pubblicità, privando la lega di una fonte vitale di reddito. Le squadre iniziarono a fallire, gli sponsor si ritirarono, e il pubblico diminuì. La copertura mediatica, mai veramente decollata al di fuori di poche aree metropolitane, si ridusse drasticamente.
Nel 1984, solo nove squadre rimanevano in vita, e l’anno successivo la NASL sospese le operazioni. Il sogno di un calcio di alto livello in America sembrava svanito.
Il fallimento della NASL lasciò però importanti lezioni. La Major League Soccer (MLS), nata nel 1996, imparò dagli errori del passato, implementando un rigido controllo finanziario e puntando sullo sviluppo dei talenti locali, aspetto trascurato dalla NASL. La MLS adottò un modello di crescita più graduale e sostenibile, evitando la corsa sfrenata alle stelle che aveva caratterizzato gli ultimi anni della NASL.
Quale eredità
Sarebbe facile liquidare la NASL come un fallimento, ma la realtà è più complessa. La lega riuscì a riportare il calcio nell’immaginario collettivo americano, preparando il terreno per la Coppa del Mondo 1994 e la successiva nascita della MLS. L’entusiasmo generato dalle stelle della NASL lasciò un segno duraturo, creando una generazione di appassionati che avrebbero poi sostenuto la crescita del calcio negli Stati Uniti negli anni successivi.
L’impatto della NASL si estese ben oltre i confini statunitensi. Molte delle sue innovazioni sono ora parte integrante del gioco a livello globale. Il divieto di retropassaggio, i nomi sulle maglie, l’uso estensivo dei replay televisivi sono tutti elementi che la NASL ha contribuito a introdurre o popolarizzare.
Inoltre, la lega dimostrò che il calcio poteva essere uno spettacolo coinvolgente e potenzialmente redditizio anche in un mercato dominato da altri sport. Anticipò per certi versi l’evoluzione del calcio moderno verso un intrattenimento globale, con star internazionali che attiravano l’attenzione dei media e degli sponsor.
Oggi, con oltre 25 milioni di praticanti negli Stati Uniti e una nazionale in crescita, è chiaro che il seme piantato dalla NASL ha dato i suoi frutti. Il calcio è ora il terzo sport più seguito in TV in America, un risultato impensabile nei decenni precedenti. La MLS, pur con un approccio più cauto, ha raggiunto una stabilità e una popolarità che la NASL poteva solo sognare.
Il sogno americano del calcio, nato negli anni ’70, è vivo e vegeto, evoluto ma ancora debitore di quell’audace esperimento che fu la North American Soccer League. La presenza di giocatori statunitensi nei principali campionati europei e i crescenti successi della nazionale maschile e soprattutto femminile sono, in parte, il risultato di quel primo, coraggioso tentativo di portare il “soccer” al centro della scena sportiva americana.