Tra campi stranieri e cuori a casa, storie di club che giocano fuori dal loro mondo. Quando politica, guerra e geografia costringono intere squadre all’esilio permanente.
- Testo di Fiore Massimo
Capitolo 1: L’esilio sportivo
Per una squadra di calcio, non poter mai giocare in casa significa trasformare ogni partita in un viaggio forzato. Il campo, che dovrebbe essere rifugio e orgoglio, diventa territorio straniero: a volte ostile, altre semplicemente lontano da ciò che si considera “casa”. Non è sempre una scelta: dietro questa condizione si nascondono spesso ragioni più grandi dello sport, legate alla politica, alla geografia o alle fratture culturali. Così, il pullman si ferma davanti a stadi che non portano i loro colori. Nessun coro familiare, nessuno striscione, nessun abbraccio di tifosi. Solo spalti estranei, erba che non conosce il passo delle loro scarpe, un silenzio diverso che pesa più del rumore.
È la realtà di alcune squadre europee, dove il calcio non racconta soltanto gol e classifiche, ma storie di appartenenze negate e identità in esilio. Questo è ciò che accade nell’Ulster con il Derry City, a Cipro con l’Anorthosis Famagosta e in altri luoghi d’Europa per ragioni semplicemente geografiche od organizzative come per: l’FC Vaduz, il Monaco, l’ASD San Marino, il Berwick Rangers e alcune squadre gallesi. Durante una partita internazionale di rugby non troviamo la nazionale della Nord Irlanda o quella dell’Eire, ma una sola entità: “l’Irlanda”. In alcuni paesi, le nazioni si dividono per motivi sportivi, come ad esempio nel Regno Unito, dove Scozia, Galles e Inghilterra partecipano alle competizioni con squadre proprie. Nell’isola di San Patrizio, invece, avviene il contrario: cattolici e protestanti, unionisti e repubblicani, giocano insieme per una sola maglia, quella dei Shamrock Greens. Il rugby e il football gaelico hanno un ruolo unificante, superando le divisioni religiose e politiche.
Il calcio, tuttavia, segue regole diverse. Quando negli anni ’60 divenne lo sport principale in Irlanda del Nord, racchiudeva in sé tutti i paradossi politico sociali dell’Isola. Le tifoserie si identificavano spesso in base a religione e appartenenza politica: unionisti contro repubblicani, cattolici contro protestanti. Il Derry City ne era l’esempio più evidente: una squadra che, pur appartenendo a una città profondamente segnata dai Troubles, partecipa al campionato della Repubblica d’Irlanda, diventando simbolo di resistenza e identità comunitaria.
Capitolo 2: Il Derry City e i Troubles

Il Derry City Football Club nacque nel 1928, in un contesto sociale da tempo fortemente diviso. Già il nome della città era motivo di contrasto: Londonderry per gli unionisti, Derry per i repubblicani. Gli “Candystripes”, chiamati così per le loro maglie a strisce bianche e rosse, divennero simbolo di resistenza e orgoglio cittadino. Durante i Troubles, Derry fu al centro di conflitti settari. Il “Bloody Sunday” del 30 gennaio 1972 segnò uno dei momenti più tragici: 14 manifestanti cattolici furono uccisi dall’esercito britannico durante una marcia per i diritti civili. Questo evento diede avvio a decenni di violenze settarie, bombardamenti e scontri tra comunità, trasformando Derry in un simbolo della lotta per l’autodeterminazione e i diritti civili. Evento ricordato anche, nella famosa canzone degli U2 “Sunday Bloody Sunday”. Quella domenica, durante una manifestazione organizzata dai cattolici per i diritti umani a favore dei prigionieri rinchiusi nelle carceri inglesi, un gruppo di paracadutisti della Royal Air Force aprì il fuoco sulla folla, apparentemente senza alcun motivo.
Gli inglesi non ammisero mai la loro responsabilità e cercarono di insabbiare le prove a loro sfavore. Questo non fece altro che acuire il contrasto tra i due gruppi che diede vita al “Troubles”. Con questo termine si indica un anno carico di violenza con numerosi attentati commessi dal braccio armato dell’IRA contro gli unionisti. Durante il governo di Margaret Thatcher, la quale manifestò un comportamento non sempre conciliante verso gli irlandesi, il conflitto si trasformò in una vera e propria guerra civile che vide proprio nella cittadina di Derry il principale centro dell’opposizione cattolica. Il culmine della questione irlandese si ebbe con la morte in carcere di Bobby Sands, combattente e politico repubblicano. Solo con l’avvento di Tony Blair la tensione si attenuò, grazie alla disapprovazione dell’ostinata politica della Thatcher e di una condanna senza appello nei confronti della condotta tenuta in quella circostanza dall’esercito inglese, definita “ingiusta e ingiustificabile”.
Capitolo 3: La rinascita del Derry City
Il Derry City, tuttavia, affrontò pesanti conseguenze: escluso dal campionato nordirlandese dal 1972, dovette giocare per anni a livello amatoriale, spesso fuori città, a Coleraine, più di 50 km da casa. Nel 1985 ottenne l’affiliazione alla Football Association of Ireland nella vicina Eire e riprese le competizioni professionistiche nella lega della Repubblica. Tra le rivalità cittadine più accese, spiccano gli incontri con il Coleraine e il Finn Harps, gare in cui la tifoseria cattolica vede nei successi della propria squadra un motivo di orgoglio e identità collettiva. Partite chiave, come la vittoria per 3 a 2 contro il Cork City nel 1985, dove la squadra fu seguita da oltre 7.000 tifosi, arrivati a bordo di 19 pullman e un treno speciale, rafforzò il simbolismo della squadra come centro nevralgico della comunità repubblicana.

Il club conquistò numerosi trofei: due campionati irlandesi, sei coppe d’Irlanda e il “triplete” del 1988/89, che con campionato, coppa nazionale e coppa di lega. Tra i giocatori più importanti spiccano Luther Blissett, si proprio lui “Miss It” del Milan 1983, Peter Hutton, con 537 presenze, e Jimmy Kelly, miglior marcatore con 363 gol tra il 1930 e il 1951. Oltre al campo, il Derry City fu protagonista nella cultura locale: la musica pop punk degli “Undertones”, con brani come “Teenage Kickers” e “My Perfect Cousin”, raccontavano il legame indissolubile tra calcio e identità giovanile. Il club divenne un luogo di ritrovo per intere generazioni, un simbolo di coesione e resistenza culturale, politica e sociale.
Capitolo 4: L’Anorthosis Famagosta e l’occupazione turca
Qualcosa di simile accade a Cipro, più precisamente nella zona occupata dall’esercito turco. L’Anorthosis Famagosta, fondato nel 1911, rappresenta una delle realtà più prestigiose del calcio cipriota. La storia del club si intreccia drammaticamente con quella politica dell’isola: il 20 luglio 1974, le forze turche a seguito della volontà greco-cipriota di sostenere l’Enosis (accorpamento del territorio cipriota alla Grecia) invasero la parte settentrionale di Cipro, occupando tra le altre la città di Famagosta. Costretti a lasciare la loro sede storica, squadra e tifosi operarono come “rifugiati” del calcio, giocando le partite a Larnaca.

Nonostante l’esilio forzato, l’Anorthosis continuò a competere ai massimi livelli, vincendo campionati e coppe nazionali e mantenendo viva l’identità della propria comunità. Partite simboliche, come quelle contro l’APOEL di Nicosia o l’eliminazione di squadre europee nei turni preliminari di UEFA Champions League, rafforzarono il ruolo del club come emblema di resistenza. Anche in trasferta, i tifosi portano con sé i colori e la memoria di Famagosta, trasformando ogni partita in una testimonianza di appartenenza e cultura ellenica. In questo contesto, il calcio funge da strumento culturale e politico, più che da semplice competizione sportiva, influenzando anche la percezione sociale e le dinamiche tra tifoserie a livello nazionale.
Capitolo 5: La Nea Salamis Famagosta
Lo stesso accade per la meno nota Nea Salamis Famagosta la quale fu fondata nel 1948, come parte di un movimento sportivo legato alla comunità greco-cipriota ma con forti legami ideologici di sinistra. Dopo l’invasione turca del 1974, la città di Famagosta fu occupata, e il club fu costretto come i più illustri concittadini a trasferirsi nella parte sud dell’isola. Come già accennato a differenza dell’Anorthosis, la Nea Salamis ha origini legate a ideologie di sinistra e socialiste, e fu fondata come alternativa politica alle strutture più tradizionali e nazionaliste del calcio cipriota. Questo ha influito sul tipo di tifoseria, sugli eventi organizzati e sul ruolo del club nella società: la squadra non è solo sport, ma un simbolo di coesione politica e culturale. Facendo diventare il calcio un veicolo di resistenza e comunanza culturale. Ora anche la Nea Salamis gioca a Larnaca, lontano dalla sua città originaria, mantenendo però il nome e i simboli storici.
Capitolo 6: Esili geografici – FC Vaduz e ASD San Marino
Meno problematiche sono le storie del FC Vaduz, dell’ASD San Marino, del Monaco e del Berwick Rangers i cui motivi sono prettamente geografici.
L’FC Vaduz, fondato nel 1932 nel Principato del Liechtenstein, compete nel campionato svizzero perché il Liechtenstein non dispone di una lega nazionale. Nonostante le dimensioni ridotte e le limitazioni territoriali, il club ha vinto ripetutamente la Coppa del Liechtenstein, qualificandosi regolarmente alle competizioni UEFA. L’FC Vaduz rappresenta un simbolo nazionale, legando la comunità del principato al calcio internazionale, militando per alcuni anni nella prima divisione svizzera.

Anche nella vicina San Marino ogni partita dell’ASD San Marino, da non confondere con la nazionale del Titano, è un piccolo viaggio “all’estero” pur restando sportivamente nel cuore della Repubblica più antica d’Europa. La squadra esce dal suo stadio di “Serravalle” quasi ogni domenica e si immerge nei campi italiani, in città che non conoscono i suoi colori se non per qualche striscione o coro sporadico. La squadra è costretta ad emigrare perché nel microstato non vi un campionato professionistico competitivo; anche se le squadre dilettanti del campionato sammarinese partecipano a tutte le competizioni dell’UEFA e la Nazionale anche della FIFA. Dunque per partecipare a competizioni più strutturate e competitive, l’ASD San Marino si è iscritta ai campionati italiani, attualmente in eccellenza, ma in tempi passati ha partecipato a campionati di serie D e in alcune occasioni anche in serie C. Dunque, anche per questa piccola squadra, il calcio diventa veicolo di identità, memoria e orgoglio nazionale. Ogni vittoria, ogni gesto sul campo, è un modo per ricordare che, anche fuori dal proprio Stato, la squadra rappresenta San Marino e la sua comunità.
Capitolo 7: Il Berwick Rangers e l’identità di confine
Per la compagine del Berwick Rangers FC squadra con sede a Berwick-upon-Tweed, una cittadina inglese al confine con la Scozia il discorso è completamente diverso. Lontana kilometricamente e sportivamente dal più vicino sodalizio sportivo d’Albione, la squadra fin dalle origini preferì militare nel campionato scozzese anziché quello inglese, rendendola unica. Fondata nel 1881, è l’unico club non scozzese ad aver fatto parte della “Scottish Professional Football League” fino alla sua retrocessione nel 2019. Questa scelta non nasce da conflitti politici, ma dalla vicinanza geografica e dalle tradizioni calcistiche locali, che hanno reso più pratico e competitivo iscriversi al campionato scozzese piuttosto che a quelli inferiori inglesi.

Il Berwick Rangers è un esempio di identità sportiva “di confine”, dove i tifosi sono radicati nella propria comunità ma partecipano a un campionato di un Paese diverso. Nonostante sia una squadra che non ha mai conseguito titoli importanti rimane nella memoria la storica vittoria contro il Rangers Glasgow in Coppa di Scozia nel 1967, un risultato che le ha conferito un breve momento di notorietà. Ogni volta che i Berwick Rangers scendono in campo, attraversano un confine invisibile ma concreto: Gli spalti, i cori e le rivalità appartengono a un Paese vicino ma diverso, dove la loro identità viene messa alla prova in ogni partita.
Per la piccola comunità di Berwick-upon-Tweed, la squadra è un simbolo di appartenenza e orgoglio: un frammento di casa che si muove nel mondo straniero del campionato scozzese. Ogni vittoria, ogni passo sul prato di uno stadio “altro”, racconta una storia di confini, tradizione e resilienza, dove il calcio diventa più di uno sport: è memoria, identità e comunità.
Capitolo 8: Monaco e le squadre gallesi
Ad esclusione dei notissimi monegaschi del Monaco che milita nel campionato francese e delle gallesi dello Swansea, Cardiff City e Wrexham che hanno scelto i più competitivi campionati britannici anziché a quelli dilettantistici del Galles, tutti questi piccoli club pur avendo pochi sostenitori rispetto a alle altre due squadre più note come il Derry City e l’Anorthosis Famagosta, condividono la stessa passione e l’orgoglio di tifosi che dimostrano che anche piccole realtà possono avere un peso simbolico e culturale nel panorama calcistico e sociale di un micro mondo nascosto ad grandi media. In tutti questi casi il calcio supera il semplice ruolo sportivo e diviene uno strumento per preservare l’identità culturale, per affrontare difficoltà politiche, sociali o più semplicemente geografiche.
Capitolo 9: Casi particolari – Città divise

Casi strani sono anche quelli di Baarle-Hertog / Baarle-Nassau cittadina divisa tra Belgio e Olanda e quella di Gorizia dove le città sono divise tra due stati. Nel Benelux, la belga KVV DOSKO Baarle-Hertog e l’Olandese Gloria US Baarle-Nassau, due squadre, che pur essendo geograficamente molto vicine condividendo lo stesso territorio, operano in contesti sportivi distinti, ognuna con la propria identità nazionale e culturale. Questa separazione riflette le complesse dinamiche politiche e storiche della regione di Baarle, dove confini nazionali e comunitari si intrecciano in modo unico. Stessa circostanza accade in Italia dove il Pro Gorizia milita nel campionato italiano e lo Nova Gorica nel campionato sloveno, ma questa è tutta un’altra storia.
- Testo di Fiore Massimo