L’Olympiastadion di Berlino: un viaggio nel tempo

Non è solo un luogo dove si giocano partite o si battono record. È un pezzo di storia vivente, un monumento che continua a reinventarsi, riflettendo i cambiamenti della società che lo circonda.

Nel cuore di Berlino sorge un monumento che ha attraversato quasi un secolo di storia tedesca ed europea. Lo Stadio Olimpico, o Olympiastadion, non è solo un’arena sportiva: è un testimone silenzioso che ha visto l’ascesa e la caduta di un impero, la divisione e la riunificazione di una nazione.

La sua storia inizia nel 1912, quando Berlino venne scelta per ospitare i Giochi Olimpici del 1916. Il progetto originale, firmato dall’architetto Otto March, prevedeva la costruzione di uno stadio nazionale (Deutsches Stadion) nella zona di Grunewald. In soli 200 giorni, quest’opera impressionante per l’epoca venne completata e inaugurata l’8 giugno 1913. Tuttavia, lo scoppio della Prima Guerra Mondiale cancellò i Giochi del 1916, e anzichè ospitare atleti lo stadio venne riconvertito come ospedale militare.

Negli anni ’20, il Deutsches Stadion tornò alla sua vocazione sportiva, ospitando partite di calcio e competizioni di atletica. Ma la vera svolta arrivò con l’assegnazione dei Giochi Olimpici del 1936 a Berlino. Il regime nazista, salito al potere nel 1933, vide in questa occasione l’opportunità di creare un monumento alla propria grandezza.

Il nucleo originario dello stadio nel 1913

Un Colosso per il Reich

Con un budget faraonico di oltre 6 milioni di marchi (che si stima sia lievitato fino a 25 milioni), il progetto del nuovo Reichssportfeld venne affidato ai fratelli Werner e Walter March, figli di Otto. L’obiettivo era chiaro: creare un complesso sportivo che riflettesse la potenza e l’ambizione del Terzo Reich.

Il risultato fu impressionante. Lo stadio principale, con una capienza di 110.000 spettatori, era un capolavoro di architettura. Le imponenti tribune in pietra, la pista d’atletica e il campo da gioco centrale creavano un’atmosfera maestosa. A differenza di molti stadi olimpici, le gradinate non formavano un anello chiuso, ma si aprivano in corrispondenza della Porta di Maratona, dove era collocata la pira olimpica.

All’esterno, la Torre del Campanile alta 77 metri dominava il panorama, con il suo enorme bronzo che risuonava nei giorni di eventi. Dalla sua cima, i funzionari potevano godere di una vista mozzafiato su tutta Berlino. Ogni dettaglio era stato curato per trasmettere un messaggio di perfezione e grandezza, il biglietto da visita ideale per il regime nazista durante i Giochi.

Nel 1936 in occasione delle Olimpiadi

Olimpiadi 1936: Trionfo e Contraddizioni

I Giochi Olimpici del 1936 furono un momento di gloria per lo stadio, ma anche un capitolo controverso della storia dello sport. La Germania dominò il medagliere con 33 ori, seguita dagli Stati Uniti.

Nel torneo di calcio, l’Italia campione del mondo in carica si dimostrò imbattibile. Guidata dal leggendario Vittorio Pozzo e con campioni del calibro di Foni, Rava e Locatelli, la squadra azzurra conquistò l’oro olimpico battendo l‘Austria in finale davanti a 90.000 spettatori. Annibale Frossi dell’Ambrosiana-Inter si laureò capocannoniere con 7 reti.

Ma il vero protagonista di quei Giochi fu Jesse Owens. L’atleta afroamericano conquistò quattro medaglie d’oro nell’atletica leggera, mandando in frantumi il mito della “superiorità ariana” propagandato dal regime nazista. Le sue vittorie nei 100m, 200m, staffetta 4x100m e salto in lungo rappresentarono una risposta potente al razzismo e alla segregazione.

L’Olympiastadion fu anche teatro della prima staffetta della fiamma olimpica, una tradizione che da allora non è mai stata interrotta. Quei Giochi, nonostante le intenzioni propagandistiche del regime, si trasformarono in un trionfo dello sport e dei suoi valori universali.

L’Italia di Vittorio Pozzo

Sopravvissuto alla Guerra

Durante la Seconda Guerra Mondiale, l’Olympiastadion si trasformò in un rifugio antiaereo e in una fabbrica segreta di armi. Miracolosamente, lo stadio uscì quasi illeso dai bombardamenti, perdendo solo la maestosa Torre del Campanile. Il destino volle che il grande campanile di bronzo sopravvivesse, diventando oggi parte di un memoriale all’interno del complesso.

Nel dopoguerra, lo stadio passò sotto il controllo delle forze britanniche. Dopo un’intensa opera di bonifica e ristrutturazione, l’impianto tornò gradualmente alla sua funzione sportiva. Il nome “Reichssportfeld” venne cambiato in “Olympiastadion“, cercando di cancellare il passato nazista della struttura.

Rinascita e Modernizzazione

Gli anni ’60 e ’70 videro l’Olympiastadion protagonista di importanti lavori di ammodernamento. La capienza venne aumentata e parte delle tribune coperte. Nel 1974, lo stadio ospitò tre partite del Mondiale di calcio, tra cui la vittoria della Germania Ovest sul Cile davanti a 81.100 spettatori.

Ma fu con l’assegnazione dei Mondiali del 2006 alla Germania che l’Olympiastadion conobbe la sua trasformazione più radicale. Un investimento di 242 milioni di euro permise di creare uno stadio all’avanguardia, pur mantenendo intatto il fascino storico della struttura. La copertura totale dei 74.475 posti e l’abbassamento del terreno di gioco furono le modifiche più significative.

Germania Ovest-Cile ai Mondiali 1974

Palcoscenico di Grandi Imprese

Il rinnovato Olympiastadion si è dimostrato all’altezza della sua fama. Nel Mondiale 2006, ha ospitato sei partite, tra cui la finale che ha visto l’Italia trionfare ai rigori sulla Francia. Un successo che ha riportato alla mente la vittoria olimpica degli azzurri nel 1936, nello stesso stadio.

Nel 2009, durante i Mondiali di atletica, Usain Bolt ha infranto i record mondiali dei 100m e 200m sulla pista blu dell’Olympiastadion. Nel 2015, il Barcellona di Messi, Neymar e Suarez ha conquistato qui il suo quinto titolo europeo, battendo la Juventus nella finale di Champions League.

L’ultima grande vetrina è stata l’Europeo 2024, con sei partite disputate a Berlino, inclusa la finale che ha visto la Spagna laurearsi campione d’Europa per la quarta volta.

L’Olympiastadion prima della finale Italia-Francia ai Mondiali 2006

Il destino di un icona

L’Olympiastadion di Berlino è un paradosso architettonico e culturale. Nato come simbolo di un regime totalitario, si è trasformato in un’icona dello sport globale e in un punto di riferimento per la Berlino moderna.

Oggi, lo stadio è un ibrido funzionale. Casa dell’Hertha Berlino per le partite di campionato, si trasforma in un palcoscenico internazionale per eventi di grande richiamo. La sua versatilità è evidente: da campo di calcio a pista di atletica, da arena per concerti a set cinematografico.

L’architettura dell’Olympiastadion, con il suo mix di elementi storici e innovazioni moderne, riflette la complessità della storia tedesca. La struttura originale, conservata in gran parte, dialoga con gli aggiornamenti tecnologici, creando un ambiente unico nel panorama degli stadi europei.

Tuttavia, il futuro dello stadio pone delle sfide. In un’era in cui molti club optano per impianti più piccoli e specializzati, la sua dimensione e la sua natura polivalente potrebbero diventare un limite. Il dibattito sul suo utilizzo e sulla sua gestione è destinato a continuare.