Testo di Sergio Taccone, curatore e autore del libro “Milan 1980-’87. Le stagioni del piccolo diavolo” (Prefazione di Filippo Galli, Storie Rossonere, 2021).
Il portiere dell’Avellino, classe 1954, sfoderò contro il Milan, a San Siro, una prestazione pienamente convincente. Era l’1 ottobre ‘78.
Esordire in serie A disputando una prestazione eccellente a San Siro contro il Milan. E’ cominciato così il cammino di Ottorino Piotti nel massimo campionato. Il guardiapali del neopromosso Avellino sfoderò una prova da “saracinesca”, arrendendosi solo ad una deviazione fortunosa di Ruben Buriani quando l’epilogo della partita cominciava a spuntare. Già protagonista in B nella stagione precedente, con i lupi irpini promossi con Ascoli e Catanzaro, Piotti venne confermato titolare nell’Avellino guidato da Rino Marchesi, il tecnico che prese il posto in panchina di Paolo Carosi.
Il calendario gli riservò un avvio tutto in salita: la trasferta a San Siro contro il Milan di Nils Liedholm, una delle pretendenti allo scudetto. Alla partita contro l’Avellino, domenica 1 ottobre 1978, i rossoneri arrivarono dopo le fatiche in terra cecoslovacca per il primo turno di Coppa Uefa, con una qualificazione contro il Lokomotive Kosice ottenuta ai rigori grazie a due prodezze di Ricky Albertosi sui tiri di Jacko e Repik. Tre giorni dopo, Liedholm schierò quasi la stessa formazione. Le varianti furono Antonelli, Buriani e capitan Rivera al posto di Bigon, Morini e Capello.
Gli irpini arrivarono a Milano con il marchio della matricola chiamata ad esordire in serie A nello scenario molto prestigioso della “Scala del Calcio”. La storica promozione in massima serie, con Paolo Carosi in panchina, era arrivata staccando di due lunghezze Monza e Ternana. Impresa concretizzatasi vincendo di misura all’ultima giornata, a Marassi, contro la Sampdoria. Il gol decisivo, capace di mandare in visibilio l’intera città, lo segnò Mario Piga.
La società irpina preparò la prima stagione in massima serie non senza problemi, a partire dalle dimissioni del presidente Arcangelo Iapicca. Si prospettò anche l’ampliamento dello stadio Partenio che da ventimila doveva passare a trentaseimila spettatori. In fase di mercato, gli irpini si limitarono allo stretto necessario, immettendo in rosa La Palma, Casale e Massa dal Napoli, il difensore Vincenzo Romano dal Rimini, gli attaccanti Tosetto (ex Milan) e De Ponti (dal Bologna) oltre al riscatto di Galasso dall’Udinese e al rientro di alcuni prestiti (Buccilli, Chiarenza e Tarallo).
I tifosi risposero con grande entusiasmo, sottoscrivendo quasi novemila abbonamenti che portarono nelle casse societarie più di seicento milioni di lire. Rino Marchesi, reduce dall’ottima annata alla guida della Ternana, quarta in B a due punti proprio dall’Avellino, esordiente in A proprio come la sua nuova squadra, presentò così la partita di San Siro: “Dovremo correre e sacrificarci perchè sotto l’aspetto tecnico non possiamo competere con i nostri avversari”.
La partita di San Siro
Una giornata soleggiata e dalla “ventilazione inapprezzabile”, per dirla con le parole di Sandro Ciotti, salutarono l’entrata in campo delle due squadre a San Siro. La fatica infrasettimanale pesò sulle gambe dei rossoneri. Negli spogliatoi si consumò anche un piccolo giallo: quello del documento di Adriano Lombardi. Privo della carta d’identità e senza ancora i tesserini federali, al giocatore irpino venne impedito di giocare. Sarebbe bastata la dichiarazione dell’arbitro Mattei che invece fu irremovibile nel diniego. Marchesi inserì al suo posto il ventunenne Giancarlo Tacchi, figlio di Juan Carlos Tacchi, ala argentina che tra gli anni 50 e 60 aveva indossato le maglie di Torino, Alessandria e Napoli.
La partita, dal pronostico scontato, con l’Avellino nei panni della vittima sacrificale, si mantenne in equilibrio fino ad una decina di minuti dalla fine. Liedholm adoperò come unico centrocampista effettivo Ruben Buriani, schierato all’ala destra accanto a tre mezze punte: Antonelli, Novellino e Rivera (il capitano girò a ritmi assai blandi, ben marcato da Boscolo e Montesi). In avanti, l’unico attaccante di ruolo fu l’ex bolognese Chiodi.
Marchesi schierò una squadra tutt’altro che rinunciataria. Tacchi fraseggiava spesso con l’ex Tosetto, inserito in posizione più arretrata. Sui due agì bene in copertura Collovati. L’esperienza e l’intelligenza tattica di capitan Lombardi avrebbe dato maggiore forza alla squadra irpina. A francobollare Chiodi provvide Reali mentre Cattaneo riuscì a tenere a bada l’intraprendente Novellino. L’estremo difensore avellinese non sbagliò un intervento.
Piotti si meritò gli applausi dello stadio uscendo coraggiosamente su Novellino, intervenendo con tempismo e agilità a fermare Chiodi (sfuggito a Cattaneo) e Antonelli, non tralasciando la precisione dell’estremo difensore nelle uscite. Un portiere sicuro e sempre puntuale. A metà ripresa, un brivido attraversò la schiena dei tifosi milanisti: un traversone in area di Tosetto attraversò tutto lo specchio della porta di Albertosi senza che alcun giocatore irpino riuscisse a piazzare il colpo risolutore. Il pericolo scampato destò i rossoneri. Rivera, pur giocando quasi da fermo, dispensò un paio di giocate illuminanti, fino alla punizione che portò al gol decisivo.
La deviazione di Buriani
A trafiggere Piotti ci pensò Buriani con una deviazione di stinco, più fortuita che voluta, dopo l’ennesimo arrembaggio in area irpina. Nulla da fare per il guardiapali dei campani. “Una vittoria senza smalto”, scrisse Gianni Pignata (La Stampa). All’allenatore irpino rimase la recriminazione per il mancato impiego di Lombardi che avrebbe garantito la funzione di cerniera tra centrocampo e difesa. In avvio, De Ponti ebbe persino la palla per sbloccare il risultato, negato da un’uscita provvidenziale del quasi trentanovenne Albertosi.
Dalle colonne dell’Unità, Alberto Costa definì penosa la prestazione del Milan e “indegno” il gioco mostrato dai rossoneri per oltre un’ora. Il gol non cancellava la bruttissima prestazione del Diavolo contro una squadra pregna di fiato, con un centrocampo aggressivo e con l’agonismo a mascherare gli scarsi fondamentali. Fu facile appellarsi alla “fatica di Kosice” rimasta nelle gambe. L’unico a salvarsi fu Buriani. Liedholm definì “brutta” la prestazione dei suoi complimentandosi con la squadra di Marchesi: “Darà fastidio a tante squadre”.
Saracinesca Piotti
Sicuro tra i pali, coraggioso nelle uscite, in qualche caso non senza un po’ di sana follia, Ottorino Piotti, originario di Gallarate, si era meritato il ruolo di titolare fisso nell’Avellino sin dalla stagione 1977/78, dopo essere stato prelevato dal Como, club in cui si era messo in evidenza meritandosi l’attenzione del club irpino. La partita di San Siro lo fece assurgere al ruolo di “migliore in campo”, pronto a neutralizzare i tentativi rossoneri ad eccezione della velenosa deviazione di stinco di Buriani nel finale.
Dopo l’ottima prestazione di Piotti a Milano, il portiere lombardo divenne una delle certezze dell’Avellino che nel prosieguo della stagione ‘78/79 si tolse non poche soddisfazioni, tra cui il pareggio a Perugia e le vittoria casalinghe contro Milan e Inter al Partenio, il terreno di gioco divenuto “fortino” su cui la squadra di Marchesi costruì la salvezza, raggiunta a fine campionato dopo tredici risultati utili su quindici in casa e con De Ponti (8 gol) miglior marcatore.
Il portiere risulterà tra i migliori di quell’Avellino, con un rendimento costantemente elevato che gli valse anche la convocazione con la nazionale olimpica azzurra. Nella prima delle dieci salvezze irpine in A il contributo di Ottorino Piotti, presente in tutte le trenta partite di campionato, fu molto consistente.
Testo di Sergio Taccone, curatore e autore del libro “Milan 1980-’87. Le stagioni del piccolo diavolo” (Prefazione di Filippo Galli, Storie Rossonere, 2021).