PAOLO ROSSI – dicembre 1977

Dicevano che il salto dalla B alla A era stato per lui un dramma. Questo all’inizio del campionato. Poi Fabbri ha fatto giocare il Vicenza come… in B e le vittorie sono venute insieme ai gol del giovane giocatore che qui confessa i suoi sogni mentre parla d’una esistenza del tutto realizzata.

Intervista Guerin Sportivo, dicembre 1977


Dopo le prime partite il Lanerossi Vicenza sembrava già destinato alla retrocessione: pochi punti, gioco scialbo, un Paolo Rossi irriconoscibile. Si pensava a lui come a una cometa passata velocemente nel firmamento calcistico e poi scomparsa nel nulla. Ma il presidente Farina, detto «Kaiser», non si è dato pace. Di soldi ne aveva spesi parecchi al mercato delle pedate per mettere insieme una discreta squadra di serie A. Negli ambienti calcistici, pareva aver concluso «affari» solo lui. L’allenatore era lo stesso della precedente stagione, il goleador era riuscito a salvarlo… qualcosa quindi non funzionava.

Finalmente, il presidente con lo «schioppo» (per via della sua passione per la caccia) ha capito che Vincenzi, per altro buon giocatore, era più uomo d’area, più centravanti di sfondamento di Cerilli; che Lorini non poteva dare troppa sicurezza e che la squadra (Faloppa e Filippi arretrati) era sempre troppo contratta e c’era come una Maginot tra Vincenzi e Rossi e il resto della truppa. Quindi, fatte tutte queste considerazioni, ha concluso che se la squadra dell’anno scorso girava, rimettendo le cose nello stesso ordine, tutto doveva tornare come prima. Ha rifatto la squadra tipo «B» e i conti sono tornati. Cerilli, rientrato dal Monza dove tra l’altro non si era ambientato per nulla, ha ricominciato a scambiare e a triangolare con Rossi che è tornato all’appuntamento con il gol. Semplice, no?
E’ appunto a Paolo Rossi, capocannoniere della serie A, che vogliamo chiedere che cosa prova, a ventun anni, ad occupare l’attuale posizione di cannoniere.

«Io mi sento sempre lo stesso, quello di sempre. Non è che il successo mi abbia fatto andar di volta il cervello. Quando scendo in campo, ora come nel passato, penso solo a fare il mio dovere. Può venire il gol e allora tanto meglio. Se non viene, cerco di far segnare gli altri, ma la partita per me non è mai un dramma, come non è un’esaltazione l’attuale posizione di classifica. Certo che trovarmi davanti a giocatori come Graziani, Savoldi e Bettega è una soddisfazione, però non mi esalto».

Bella immagine di un Paolo Rossi ventenne assieme al suo mentore, G.B. Fabbri

O qui siamo davanti al prototipo della modestia, o Paolo Rossi non ha ancora capito di essere diventato un personaggio. Ventun anni, toscano di Prato, un piede nella Juve, l’altro nel Lanerossi (causa la comproprietà), e tanta voglia di giocare al football.
«Quando ero piccolo, andavo tutte le domeniche con mio padre a vedere la Fiorentina. Mi piaceva molto il calcio e ho sempre sperato di potere, un giorno, giocare anch’io. Della Fiorentina di quei tempi ricordo Hamrin, mi è rimasto molto impresso. Ma non ho mai creduto di farcela veramente, tanto che mi ero iscritto a ragioneria. Credevo di essere tagliato per quel tipo di lavoro. Ora che mi sono abituato all’aria aperta e a questo tipo di vita non potrei mai adattarmi a un orario d’ufficio, tanto è vero che non sono ancora riuscito a finire gli studi e che torse non diverrò mai ragioniere. Ho cominciato a credere nelle mie possibilità quando sono arrivato alla Juventus, e da allora mi sono sempre impegnato al massimo per arrivare dove sono oggi, in testa alla classifica. Non per misurarmi con gli altri, credimi, ma con me stesso. E in testa alla classifica ci sono arrivato qui a Vicenza dove mi trovo molto bene».

– E appunto di questo che volevo parlare. Mi sai spiegare cos’ha il Vicenza che le altre squadre non hanno? Mi sai spiegare come mai Cerilli telefonava al presidente da Monza chiedendogli di riprenderlo in squadra?
«E’ facile e difficile allo stesso tempo. Vedi, qui siamo una famiglia. E’ difficile trovare una società come la nostra: mai un battibecco, mai uno screzio, siamo tutti amici e ci frequentiamo anche extra allenamenti e partite. Direi che, oltre al presidente, il segreto del nostro buon andamento e del nostro affiatamento si chiama Fabbri. E’ uno che sa mantenere l’ambiente sano, cioè sa trattare con i ragazzi giorno per giorno. E’ uno con il quale si può avere un colloquio spontaneo. Un allenatore diverso, insomma, modesto e che sa il fatto suo. Difficilmente in un anno e mezzo l’ho visto arrabbiato. E’ molto importante la serenità per una squadra. Dicevo che tra noi e Fabbri c’è un dialogo aperto e che ci ha responsabilizzati tutti. Da noi i ritiri non esistono. Il sabato mattina facciamo una partitella fra di noi, il pomeriggio andiamo al cinema, quindi a mangiare la sera tutti assieme e poi ciascuno a casa propria, Ognuno di noi si amministra ed è responsabile di ciò che fa. E’ importante tutto ciò; perché un giocatore non si vede solo sul campo, ma anche fuori, nella vita di ogni giorno. Da lui dipende tutta la sua carriera e non dalla “guardia” stretta dell’allenatore. Non sono proficui i ritiri perché non si può pensare di giocare serenamente dopo due giorni di clausura durante i quali il divertimento massimo sono le carte o la televisione. L’importante nella nostra squadra è che siamo tutti uniti, anche quelli sposati e spesso usciamo anche con loro anche se, ovviamente, loro hanno un altro modo di pensare e di condurre la loro vita».

– A proposito, ma tu una ragazza ce l’hai?
«Sì, si chiama Simonetta, è di Vicenza ed ha diciotto anni».

– Ma è una cosa seria?
«Certo che è seria: stiamo molto bene assieme. Anche se di tempo libero non me ne resta molto, tutto quello che ho lo dedico a lei. Cerchiamo di crescere insieme, di capirci e di programmare il futuro. Dobbiamo impostare un lungo discorso, insomma».

– Senti, ma come fai a conciliare tutte queste cose, cioè calcio, ragazza, servizio militare?
«Be’, cerco di fare del mio meglio. Anche se per me il fatto del servizio militare pesa relativamente. Sono infatti aggregato alla Nazionale militare. Ogni mercoledì o giovedì ci organizzano una partita amichevole e poi quasi sempre rientriamo dopo la partita, alla nostra squadra. La caserma non la vediamo molto spesso, insomma».

– Mi stai dicendo che non ti pesa fare il soldatino, insomma.
«Sì. è come essere in ritiro. Non vado in ritiro durante la settimana e ci vado il lunedì. Buffo non è vero?».

– Senti, di politica ti interessi?
«No, la politica non mi ha mai interessato. Quanto al momento attuale ti dirò che mi da fastidio vivere nel caos e nell’incertezza. Non riesco a capire gli estremismi e non so quale sia la via da seguire per uscire da un simile groviglio di partiti. Quanto poi ai politici non ho mai avuto alcuna simpatia per loro».

– Cosa ti da più fastidio nella vita?
«Le persone che si danno troppa importanza».

– E ciò che apprezzi di più nelle persone?
«La spontaneità e la bontà».

– Sei sempre d’accordo su quello che dicono di te sui giornali?
«Non sempre, a volte mi fanno dire cose che non ho mai detto e questo mi scoccia. Se non vado bene, per esempio, dicono che non lego con gli altri, che ci sono dei malumori con i miei compagni».

– Cosa è importante per te nella vita?
«La tranquillità. Il calcio per me non è tutto, anche perché lo vedo come una bella parentesi, che mi dà molte soddisfazioni, ma che un giorno deve finire e con lei la notorietà e la gloria. Dopo resterà solo il Rossi uomo e devo cercare, dopo la gloria, di non restare a mani vuote e con tanti ricordi che lasciano il vuoto».

– Ti senti moderno, confrontandoti con i ragazzi della tua età o no?
«A pensarci bene, credo di non essere moderno: non mi piace ballare anche se qualche volta mi ritrovo con gli amici in qualche discoteca; della musica apprezzo tutto e niente, chiedo solo che sia buona».

– Non andresti mai vestito da punk?
«No, mi fanno molto ridere quelli lì. E poi non capisco cosa cercano penso che il loro sia un complesso d’inferiorità».

– Parliamo un po’ di calcio. Se dovessi convocare tu la Nazionale, che giocatori chiameresti.
«Penso che l’attuale Nazionale, anche se ha fatto una brutta figura a Wembley, sia la migliore. Sì, credo che convocherei gli stessi giocatori».

– Ma un Paolo Rossi ci starebbe bene in questa Nazionale?
«Penso che sia un po’ prematuro parlarne anche se io me la sentirei di giocare. Non ho mai paura quando scendo in campo, non penso mai ai risvolti delle partite e quindi potrei giocare anche in Nazionale».

– E all’Argentina ci hai mai pensato?
«No, fino a quando non ne hanno parlato con insistenza. Un pensierino viene a tutti di farlo, ma ho tanto tempo davanti a me che non ne faccio una malattia se non mi convocano».

– Hai detto che l’attuale Nazionale ti sta benissimo. Anche Zoff… o lo cambieresti?
«No, penso che Zoff sia ancora il portiere migliore. Per secondo portiere mi indirizzerei invece su Bordon o su Conti, su portieri abbastanza esperti, insomma, ma che possano giocare per altri sei o sette anni con la Nazionale. Per non buttare via un’esperienza».

– E con la Juventus, come la mettiamo
«Lo sai che sono in comproprietà e sarei curioso di sapere anch’io come va a finire. Un giorno mi danno a Roma, un giorno a Napoli… l’importante è discutere prima la comproprietà con la Juventus, poi si vedrà».

– Tu ci torneresti volentieri alla Juventus?
«Certo, perché è la squadra più prestigiosa d’Italia e poi perché non tarderei ad ambientarmi. Ho già molti amici perché ci sono stato un anno».

– Chi pensi vincerà lo scudetto?
«E’ un po’ prematuro parlarne per molti motivi. Primo perché le cosiddette provinciali non sono più tanto deboli e poi perché il Milan è tornato ad essere il grande club che è sempre stato. C’è anche da considerare il fatto che Juventus e Torino risentono psicologicamente e fisicamente di queste cose e anche degli impegni continui che devono assolvere».

– Quindi tu non pensi che Juventus e Torino si siano indebolite rispetto allo scorso anno, ma che siano le altre squadre ad essere salite di livello?
«No, dico solo che ci sono tante componenti che influiscono su una squadra e che psicologicamente Juventus e Torino hanno mille motivi per incespicare, pur essendo uguali all’anno scorso».

– Se ti dovessero fare un regalo cosa chiederesti?
«Io penso che, ora come ora, non mi manca proprio niente, vorrei che tutto rimanesse come è ora perché sono felice così. Quindi vorrei un Vicenza sempre nell’attuale posizione di classifica».

– E magari una maglia azzurra.
«Bè, quella sì, ma non è proprio così importante come lo è per altri. Certo che sarebbe una bella soddisfazione…».