Italo Allodi lo aveva pescato, sedicenne, in una squadretta di Prato. Ala fragilina, ma di gran classe, aveva così potuto perfezionare il suo talento alla miglior scuola italiana, la Juventus. A Torino Rossi conferma i suoi pregi, ma anche la sua fragilità. Vittima di due gravi infortuni, subisce l’asportazione di tre menischi: roba che a diciott’anni può anche costare la carriera. Così Boniperti, nel 75, fa la prova del nove: Paolo va in prestito al Como, dove però Bagnoli gli preferisce un altro Rossi, Renzo.
Un campionato fatto di sei misere apparizioni significa dover ricominciare dalla B. Ma Vicenza è la tappa decisiva: GB Fabbri tutto sommato non sa che farsene di un’ala. Ha bisogno di un centravanti e prova a vedere se quel ragazzino dalla consistenza del cristallo ha per caso il fiuto del gol: 21 in 36 partite, può bastare? Se è per questo, un bottino del genere e la partenza lanciata nel successivo campionato di Serie A bastano anche a Bearzot, che il 22 dicembre del 1977 lo fa esordire in Nazionale (Belgio-Italia 0-1).
Come se la cava il bomberino tra i grandi? Così: 24 gol al primo anno di A, capocannoniere del campionato, uomo-simbolo del mirabolante Real Vicenza che si piazza secondo alle spalle della Juve. Che a questo punto riscatterebbe volentieri la comproprietà. Farina però non molla l’osso: si va alle buste. Nella sua Boniperti infila 875 milioni. Resta di stucco quando scopre che nell’altra ci sono addirittura due miliardi e 600 milioni. L’Italia dei benpensanti grida allo scandalo, ma intanto Farina si gode il suo gioiello, mentre Rossi invocato a furor di popolo, prende parte alla fortunata spedizione italiana in Argentina.
Schierato a sopresa titolare al posto di uno spendo Graziani, per Rossi (non ancora Pablito…) subito un gol al debutto contro la Francia, poi ancora con l’Ungheria e un meraviglioso assist di tacco a Bettega per la vittoria sull’Argentina padrone di casa. Nel secondo turno, ancora rete contro l’Austria, poi, complice la sconfitta con l’Olanda, un meritevole quarto posto finale.
Goleador di razza, Paolino resta in quota (15 gol) anche l’anno successivo, campionato 1978/79. Purtroppo però è il Vicenza a sgonfiarsi: l’ebbrezza del secondo posto conduce direttamente alla retrocessione e necessariamente alla cessione del gioiello. Per Rossi è un trauma, deve staccarsi dal cordone ombellicale che aveva stretto con i suoi due padri putativi: Fabbri e Farina.

Farina quindi non può fare altro che “affittare” il gioiello al Perugia. E’ un operazione ai limiti del regolamento: per la prima volta vengono tirate in ballo sponsorizzazioni e diritti d’immagine. Comunque e sempre, dove c’è Paolo Rossi ci sono polemiche. Il campionato 1979/80 per il Perugia stenta ad andare avanti. I gol di Pablito ci sono, ma affiora una certa stanchezza. E affiorano altre nere nuvole all’orizzonte, arriva la bufera del calcio-scommesse.
30 dicembre 1979: Rossi gioca quell’Avellino-Perugia che diventa scottante dossier per gli inquirenti. Quando il fruttivendolo Cruciani, organizzatore del giro di scommesse clandestine tra i giocatori, snocciola l’elenco delle partite truccate e dei relativi protagonisti compiacenti, parla proprio di quell’incontro del Partenio, di Della Martira e del suo compagno di squadra più famoso, Paolo Rossi. Che, pur avendo firmato una doppietta, avrebbe sottoscritto l’accordo illecito per il pari. La partita in effetti era finita 2-2.

Durante la squalifica, Rossi, ritorna a Vicenza ed è contattato da alcune società e fra cui l’Inter. Sandro Mazzola ha molte idee sul conto di Rossi, stipula un accordo scritto fra Fraizzoli, Farina ed il giocatore, ma all’ultimo momento il patron nerazzurro si tira indietro ed il clamoroso trasferimento salta. Boniperti però non ha mai smesso di seguire con attenzione la vicenda di “Pablito”: non ha mai digerito lo “sgarbo” di Farina e, quando torna alla carica nel marzo del 1981, trova il presidente veneto molto più disponibile, pronto a cedere il giocatore per ripianare il deficit in cui si trova la sua società.
La Juventus paga quanto aveva sborsato Farina con gli interessi e così “Pablito” ritorna a vestire la maglia bianconera. Il 2 maggio 1982, Rossi torna in campo a Udine a fianco di Virdis: 5-1 per la Juventus e rete di Pablito al 49′. Nonostante le 3 presenze nella Juventus, Rossi viene convocato ugualmente in Nazionale, gioca in Spagna, ridiventa “Pablito”, 3 reti al Brasile, 2 alla Polonia, 1 alla Germania, il tutto così in fretta, da zero a cento in pochi istanti. Così in fretta da assumere i contorni di un sogno…
Verso le dieci di sera dell’11 luglio 1982 il signor Rossi si appoggia ansimante a un cartellone pubblicitario dello stadio Bernabeu di Madrid. Intorno a lui un mare in tempesta fatto di mani e bandiere, un’onda che si ingrossa fin quasi a lambire quel serpente azzurro che si snoda intorno al campo. L’Italia, la nostra povera Italia è diventata Campione del Mondo. Il brutto anatroccolo si è trasformato in cigno. Una simbiosi completa con Paolo: un inizio stentato e poi una progressione inarrestabile.
Davanti a tutti c’è una figura mitologica che diverrà francobollo: metà Zoff, metà coppa del Mondo. Dietro, gli altri eroi dell’impresa azzurra. Meno il signor Rossi, che ha chiuso il suo giro d’onore dopo pochi metri su quel cartellone. Non è stanchezza, non è commozione: Paolo Pablito Rossi, campione del Mondo e capocannoniere di Spagna ’82 con 6 reti, contempla quel finimondo e – misteri dell’animo umano – si scopre triste:

Cosa manca per coronare quest’anno miracoloso, questo benedetto 1982? Certo, il Pallone d’Oro. Eccolo, arriva anche quello, l’apice sembra veramente raggiunto. Oltretutto alla Juventus imbottita di campioni del mondo sono arrivati anche Boniek e Platini, pronti ad ad secondare sua Maestà Pablito per conquistare, ancora, il mondo. Ma qualcosa di incrina quasi subito con la Juventus, a pensarci bene gia dal ritorno dal Mondiale, all’atto di rinnovare il contratto gli scappa una frase infelice, a proposito della necessità di “allevare i figli con lo stipendio giusto”; Boniperti si imbufalisce ed il contratto non viene firmato.
Con lui, a contestare il presidente juventino, ci sono Tardelli e Gentile: tutti e tre poi verranno ceduti. Problemi anche come ruolo, dove Rossi non si sente mai a suo agio. «Diventai una specie di aprivarchi», ricorda Rossi, «fu una scelta di Trapattoni dettata dalla necessità. Poi arrivarono Boniek, Platini, c’era Bettega: qualcuno doveva restare fuori e, caso strano, toccava sempre al sottoscritto».
Nella stagione 1983-84, Rossi contribuisce con 13 goals alla conquista del titolo eppoi al trionfo in Coppa delle Coppe; il rapporto coi colori bianconeri continua, c’è la Coppa dei Campioni da vincere, ma Rossi è sempre meno protagonista, più comprimario che altro. Le scelte di Trapattoni lo infastidiscono, cosicché quando Farina, che è diventato presidente del Milan, ritorna alla carica, “Pablito” accetta il corteggiamento a si trasferisce a Milano.
La sua carriera in bianconero finisce con la tragica serata di Bruxelles: è destino che nel cammino di questo giocatore ci sia sempre qualcosa di drammatico. La stessa cosa avviene puntualmente anche al Milan, dove Farina fa letteralmente conti falsi per assicurarsi Rossi. “Pablito” costa 10 miliardi fra ingaggio e parametri, ma Farina non si arrende: vuole ricomprarlo da Boniperti a tutti i costi; inizia un lungo tira e molla che si protrae per mezza estate, finché Rossi non indossa la maglia rossonera.

L’entusiasmo fra i tifosi di via Turati è incontenibile, si sognano trionfi antichi. Il Milan ha un attacco formidabile, Rossi-Hateley-Virdis, il “Vi-Ro-Ha”; si fanno paragoni scomodi con il famosissimo “Gre-No-Li”, ma saranno solo amare delusioni. Una stagione da dimenticare, sia per il Milan (settimo e fuori dalla Coppa Uefa) sia per Rossi. Le statistiche parlano di venti presenze e due sole reti: entrambe all’Inter nel derby di andata.Oltre agli insuccessi sul campo, comincia a profilarsi il “caso Farina”, uno scandalo che coinvolge la società rossonera, che si conclude con la fuga in Sud Africa del presidente e con l’arrivo di Berlusconi.
A credere ancora in Pablito sembra essere rimasto ormai il solo Bearzot. E’ lui infatti che lo convoca, nonostante la stagione negativa, per i Mondiali messicani del 1986 dove l’Italia si presenta da campione del mondo. Le speranze di vedere risorgere lo spento giocatore milanista sono però vane, Rossi guarderà dalla panchina le quattro sofferte partite azzurre. Fine dell’avventura azzurra, per gli almanacchi il suo ultimo match rimarrà un Italia-Cina 2-0 del pre-mondiale messicano.
Al rientro in Italia trova il Milan del nuovo corso a dargli il benservito e un biglietto di sola andata per Verona dove Rossi giocherà malinconicamente la sua ultima stagione da giocatore professionista. Troppi problemi fisici ormai con le sue martoriate ginocchia, troppi problemi di testa, con la voglia di giocare che manca sempre di più. Il giocattolo è rotto. Pablito passa, silenziosamente, la mano.
Stagione | Club | Presenze (Reti) |
---|---|---|
1973-1975 | Juventus | 0 (0) |
1975-1976 | Como | 6 (0) |
1976-1979 | Lanerossi Vicenza | 94 (60) |
1979-1980 | Perugia | 28 (13) |
1981-1985 | Juventus | 83 (24) |
1985-1986 | Milan | 20 (2) |
1986-1987 | Verona | 20 (4) |