Real Madrid vs Bayern Monaco: il grande paradosso

Storia della rivalità più frequente ma stranamente meno epica della Champions League. 28 scontri dal 1976, bilancio in perfetto pareggio.

Provate a pensare ai tre match più intriganti e spettacolari della storia delle Coppe Europee. Probabilmente vi verranno in mente Liverpool-Milan del 2005, Bayern-Manchester United del 1999, magari qualche epica remuntada del Barcellona di Guardiola o i duelli tra Liverpool e Borussia Dortmund. Ma Real Madrid contro Bayern Monaco? Difficilmente troverà spazio nella vostra lista dei ricordi più emozionanti, eppure è la sfida che si è ripetuta più spesso nella storia delle competizioni europee dal 1955.

È questo il grande paradosso del duello Real-Bayern: tantissimi incontri di altissimo livello, un prestigio tecnico innegabile, ma pochissime emozioni che rimangono impresse nella memoria collettiva degli appassionati. In 28 confronti ufficiali, rigorosamente tutti in Champions League, il bilancio è in assoluto pareggio (12 vittorie a testa, con 4 pareggi e 45 gol segnati dai tedeschi contro i 42 spagnoli – Dati a luglio 2025), ma la vera ricchezza di questa rivalità sta nella sua capacità unica di evolversi e reinventarsi attraverso le diverse epoche del calcio europeo.

Dal 1976 a oggi, questi due colossi si sono affrontati in 16 semifinali, 6 quarti di finale, 4 ottavi e due match dell’effimera seconda fase a gironi. Un curriculum da far invidia a qualsiasi altra rivalità, eppure mai una finale diretta tra loro. Forse è proprio questa mancanza dell’atto conclusivo a privare la sfida di quella dimensione epica che caratterizza altri grandi duelli.

Gli Anni ’70: tutto inizia al Bernabéu

La storia inizia incredibilmente tardi, nel 1976, quando le vicissitudini del calcio continentale congiurano per rimandare fino alle semifinali di quell’anno il primo confronto tra questi due giganti. Il Real Madrid, dopo sei Coppe dei Campioni conquistate tra il 1956 e il 1966, vive un periodo di relativa eclissi e torna in Champions dopo tre anni di assenza. Il Bayern Monaco, invece, è l’orco d’Europa: fresco di due Champions consecutive e deciso a conquistare il tris per eguagliare l’Ajax.

Al Bernabéu, davanti a una folla oceanica di 110.000 spettatori (non esistevano ancora le tribune tutte a sedere), il match d’andata si trasforma subito in un concentrato di errori ed emozioni. All’8° minuto, un’incredibile incomprensione tra Hansen, Schwarzenbeck e nientemeno che Franz Beckenbauer a 30 metri dalla porta bavarese regala la palla a Roberto Martínez, che non si fa pregare e fredda Sepp Maier per l’1-0.

Il Real schiera Miguel Ángel tra i pali, con una difesa composta da Sol, Benito, Rubiñán e Camacho, un centrocampo guidato dal talento cristallino di Günter Netzer affiancato da Del Bosque e Velázquez, e un attacco formato dal veterano Amancio, Santillana e Martínez. Il Bayern risponde con la sua formazione tipo: Maier in porta, la difesa imperniata sul libero Beckenbauer con Hansen, Schwarzenbeck e Horsmann, un centrocampo di sostanza con Roth, Kapellmann e Dürnberger, e il tridente offensivo composto da Uli Hoeneß, il leggendario Gerd Müller e il giovane KarlHeinz Rummenigge.

La reazione tedesca non si fa attendere: tre minuti prima dell’intervallo, “der Bomber” Müller sfrutta un momento di disattenzione della difesa madrilena su un lancio di Franz Roth e va a vincere il duello ravvicinato con Miguel Ángel per l’1-1. La seconda metà, intensa ma priva di veri sussulti, non cambia l’esito: il Bayern torna in Germania con il prezioso pareggio in tasca.

Due settimane dopo, all’Olympiastadion di Monaco, la storia prende una piega diversa. Il Real ritrova Paul Breitner e Pirri, ma deve fare a meno della qualità di Martínez. I Blancos partono coraggiosamente all’attacco: Santillana impegna subito Maier con un tocco di classe, ma è il segnale per il risveglio della belva bavarese. Al 9°, Dürnberger sfonda sulla destra e serve Müller che spedisce la palla all’incrocio con un destro da 20 metri. Al 31°, il “Bombardiere” raddoppia con un gol da manuale: controllo spalle alla porta al limite dell’area, girata fulminea e piattone rasoterra che si infila al palo. Il Real prova a reagire nel secondo tempo, ma finisce in dieci per l’espulsione di Amancio e deve arrendersi alla superiorità tedesca.

L’era Bayern: lezioni di tedesco

Undici lunghi anni separano il secondo atto di questa rivalità dal primo. Nel frattempo, il Real della Quinta del Buitre ha riconquistato il palcoscenico europeo con due finali di Coppa UEFA vinte consecutivamente, mentre il Bayern ha attraversato un periodo più difficile. Nell’aprile 1987, quando si ritrovano di nuovo faccia a faccia in semifinale, i ruoli sulla carta sembrano invertiti: i Madrilenos partono favoriti.

Ma la lezione di calcio che ricevono al primo round è semplicemente devastante. A Monaco, sotto una pioggia battente, il Bayern di Uli Hoeneß dimostra che l’intensità e la determinazione tedesche non conoscono mode passeggere. L’undici bavarese – Pfaff; Nachtweih, Eder, Augenthaler, Pflügler; Matthäus, Brehme, Dorfner, Michael Rummenigge; Dieter Hoeneß, Wohlfarth – applica un pressing feroce fin dal primo minuto.

Il risultato è un 4-1 che ha dell’umiliante per il Real. Matthäus segna una doppietta su rigore (al 11° su punizione dal limite e al 30° su penalty), Wohlfarth firma il tris al 39°, mentre l’unica gioia madrilena arriva con Butragueño al 45°. Ma l’episodio che segna la serata è l’espulsione di Juanito: il capitano del Real, esasperato dalla conduzione di gara, calpesta la testa di Matthäus dopo un contrasto e si becca non solo il cartellino rosso, ma anche quattro anni di squalifica dalle coppe europee. Un gesto che costa carissimo al giocatore e alla sua squadra.

Il ritorno al Bernabéu è un assedio, ma sterile. Hugo Sánchez, Butragueño e Míchel tormentano la difesa tedesca senza riuscire a sfondare. Santillana accorcia al 28°, Augenthaler viene espulso per una rissa con Hugo Sánchez, ma la muraglia bavarese guidata da JeanMarie Pfaff non crolla. Il Bayern si qualifica per quella finale di Vienna dove subirà il famoso tacco di Madjer del Porto.

La stagione dei quattro scontri

L’innovativo formato della Champions League 1999-2000, con l’introduzione della doppia fase a gironi per gestire l’allargamento da 24 a 32 squadre, regala alla rivalità Real-Bayern un poker di confronti che rimarrà unico nella storia. Nella seconda fase a gironi, insieme a Dinamo Kiev e Rosenborg, le due grandi si trovano ad affrontarsi due volte nell’arco di una settimana.

Il primo round al Bernabéu vede un Real ancora in fase di ricostruzione post-Quinta del Buitre affrontare un Bayern ferito dalla finale persa l’anno prima contro il Manchester United. L’11 di Vicente del Bosque – Casillas; Salgado, Hierro, Karanka, Roberto Carlos; Redondo, Guti, Geremi; Raúl; Anelka, Morientes – deve vedersela con la solidità teutonica di Hitzfeld: Kahn; Kuffour, Matthäus, Babbel; Lizarazu, Fink, Effenberg, Salihamidžić; Paulo Sérgio, Élber, Scholl.

Il match è un festival del gol: Scholl e Effenberg portano il Bayern sul 2-0 in tre minuti (21° e 24°), Morientes accorcia immediatamente (25°), Fink riallarga (39°), Raúl riavvicina ancora (48°), ma Paulo Sérgio chiude definitivamente i conti (68°). Finisce 4-2 per i bavaresi in una partita che conferma le difficoltà del Real di quell’epoca.

Una settimana dopo, al ritorno in Germania, la storia si ripete con modalità ancora più nette. Il Bayern applica la sua ricetta collaudata: pressione alta, intensità fisica, verticalizzazioni improvvise. Scholl apre le danze al 4°, Élber raddoppia al 30°, e quando Helguera prova a riaprire tutto al 69°, Zickler (entrato per Scholl) firma la doppietta decisiva al 79° e al 90°. Un complessivo 8-3 sui due match che, se fosse stato in eliminazione diretta, sarebbe passato alla storia come la più netta delle vittorie bavaresi.

Ma il calcio sa essere crudele: due mesi dopo, il sorteggio rimette di fronte le stesse squadre in semifinale. E questa volta, il vento è cambiato.

Al Bernabéu, con la pressione dell’eliminazione diretta, Del Bosque azzarda un audace 3-4-1-2 che sorprende Hitzfeld. Anelka porta avanti il Real al 4°, un autogol di Jeremies raddoppia al 33°, e stavolta la casa blanca riesce a gestire il vantaggio fino al termine. Al ritorno, nonostante il gol di Jancker che riaccende le speranze tedesche, Anelka pareggia di testa e qualifica i Madrilenos per la finale contro il Valencia.

È la prima volta nella storia che il Real elimina il Bayern in uno scontro diretto. Il tabù è spezzato, la rivalità diventa finalmente bidirezionale.

2014: il capolavoro di Ancelotti

Forse il momento più iconico e tatticamente perfetto di tutta la rivalità arriva nel 2014, quando il Real di Carlo Ancelotti incontra il Bayern di Pep Guardiola in una semifinale che sa di sfida tra filosofie calcistiche opposte. Da una parte, il possesso palla ossessivo del tecnico catalano; dall’altra, la verticalità micidiale dell’allenatore italiano.

Al Bernabéu, il primo round sembra dare ragione a Guardiola: il Bayern monopolizza il pallone con l’80% di possesso, ma paradossalmente le occasioni migliori capitano al Real. Al 19°, Cristiano Ronaldo lancia perfettamente Fábio Coentrão sulla sinistra, il portoghese crossa al centro dove Karim Benzema deve solo spingere in rete. L’1-0 regge fino al termine, ma tutto sembra ancora aperto per il ritorno all’Allianz Arena.

È lì che Ancelotti mette in scena il suo capolavoro tattico. Contro il 4-2-3-1 di Pep (Neuer; Lahm, Boateng, Dante, Alaba; Kroos, Schweinsteiger; Robben, Thomas Müller, Ribéry; Mandžukić), l’italiano schiera un elegante 4-4-2 che nasconde insidie letali: Casillas; Carvajal, Sergio Ramos, Pepe, Coentrão; Xabi Alonso, Modrić, Di María, Bale; Benzema, Cristiano Ronaldo.

Il piano funziona alla perfezione. Dopo un primo quarto d’ora di studio, il Real colpisce due volte in quattro minuti micidiali: al 16°, calcio d’angolo di Modrić e stacco imperioso di Sergio Ramos; al 20°, punizione di Di María e secondo colpo di testa del capitano madrileno. Neuer, fino a quel momento spettatore, si ritrova a raccogliere due palloni dal fondo della sua rete.

Ma il capolavoro deve ancora arrivare. Al 39°, in una delle azioni più belle della storia recente della Champions, Benzema lancia in profondità con un passaggio millimetrico che taglia in due la difesa bavarese. Gareth Bale controlla palla, resiste alla carica di Boateng nella sua area e serve un cioccolatino a Cristiano Ronaldo per il tap-in del 3-0. Nel finale, CR7 si concede anche il lusso del poker con un calcio di punizione geniale: invece della consueta bordata, un tocco delizioso al primo palo sotto il muro che aveva saltato.

È la prima vittoria del Real a Monaco in 38 anni e 10 partite. Un mese dopo, quella squadra conquisterà la tanto agognata Décima battendo l’Atletico Madrid in finale a Lisbona. La prestazione dell’Allianz Arena rimarrà come una delle più perfette dimostrazioni di calcio di contropiede nella storia moderna del gioco.

Il presente e le sfide del futuro

Negli ultimi anni, il Real ha consolidato il suo dominio nella rivalità. Dal 2014 ad oggi, tre nuovi confronti (2017, 2018, 2024) hanno visto sempre trionfare i Blancos, che sembrano aver definitivamente esorcizzato il complesso di inferiorità nei confronti dei bavaresi. La crescita economica della casa blanca ha contribuito a questo shift: se nel 2014 separava i due club appena il 12% di fatturato, oggi il gap è salito al 21%, con il Real che ha superato il miliardo di euro di ricavi annui.

Questa rivalità, nata dai campi di calcio e cresciuta attraverso le tattiche e i talenti individuali, rischia ora di essere condizionata più dai bilanci che dalle prestazioni sportive. Ma forse è proprio questo il segno dei tempi: Real Madrid-Bayern Monaco continua a essere lo specchio perfetto dell’evoluzione del calcio europeo, dalle battaglie cavalleresche degli anni ’70 al business miliardario di oggi.

Chissà che il prossimo capitolo non sia quello destinato a rimanere per sempre nella memoria collettiva.