Italo Moretti, giornalista e scrittore, ricorda la calda estate del Mondiale 1982 e la straordinaria passione dell’allora Presidente Pertini, che volle a tutti i costi assistere alla finale Italia-Germania
L’informazione che mi telefonano dal Tg2 è riservatissima: «Pertini ha deciso di volare domattina a Madrid per assistere alla finale di Italia-Germania. Sei tra i pochi ammessi sul suo aereo».
Partiamo da Ciampino con un Dc9 dell’aeronautica militare. È domenica 11 luglio 1982: quella sera, sconfitta per tre a uno la Germania, la sorprendente Italia di Bearzot sarà per la terza volta campione del mondo di calcio.
Non aveva esagerato la mia redazione.
Il seguito del presidente è eccezionalmente ridotto. Due ministri della repubblica voleranno a Madrid con normali aerei di linea. Al presidente del consiglio è stato suggerito dal Quirinale di non muoversi da palazzo Chigi, visto che il quadro della politica italiana manifesta di nuovo tendenze alla instabilità. E Giovanni Spadolini, che un mese dopo formerà il suo secondo governo, accetta malvolentieri di restare a Roma.
Il Dc9 ha preso quota. Possiamo avvicinarci al presidente: Carlo Rebecchi dell’Ansa e Claudio Angelini del Tg1, entrambi “quirinalisti”, come si dice in gergo. Anche se l’avevo intervistato più di una volta, mi presento a Pertini come l’inviato del Tg2. Apriti cielo! «Il Tg2 non mi ama», esclama secco il presidente. Dopo aver ottenuto l’estromissione di Andrea Barbato, il direttore che l’aveva fondato, il Psi di Bettino Craxi “controllava” dal 1980 il Tg2 ed il vecchio Sandro associava il telegiornale della seconda rete alla segreteria del suo partito, con la quale il presidente non aveva, per dire così, un buon rapporto. Rispondo alla battuta di Pertini dicendogli che per quanto mi riguarda io lo amo moltissimo. Gli racconto che provai una forte emozione il giorno che da Montecitorio annunciai in telecronaca diretta la sua elezione a capo dello Stato.
Ero sincero. «Dammi del tu», mi interrompe Pertini, il quale non si ferma lì ma convoca all’istante il capo del cerimoniale per comunicargli che io parteciperò domani al Quirinale, al pranzo riservato alla squadra e ai suoi dirigenti, con o senza Coppa del mondo. A Barajas, l’aeroporto di Madrid, c’è re Juan Carlos a ricevere il nostro presidente. I due si vogliono bene e si vede. Di corsa all’Hotel Alameda per l’incontro con gli azzurri.
Una raccomandazione a Paolo Rossi: «I tedeschi sono robusti, cerca di non farti pestare i piedi». Un rimprovero pubblico al giornalista televisivo Giampiero Galeazzi.
«Bisteccone», come è chiamato, fa sapere a Pertini che «anche il suo omologo Schmidt assisterà alla finale».
«Ma che omologo e omologo», sbotta il vecchio Sandro con finta severità, «Schmidt è un cancelliere mentre io sono un presidente della repubblica».
La gioia di Pertini ai gol di Rossi, Tardelli e Altobelli diverrà uno dei pezzi di archivio più celebri della Rai. Ambasciata d’Italia a Madrid, due ore dopo la fine della partita. Gli invitati al ricevimento allestito dai nostri diplomatici sono tutti arrivati con la puntualità che impone la circostanza. Manca lui, l’ospite d’onore, e nessuno sa o vuole spiegarne il ritardo. Il presidente sarà atteso invano.
Sto attaccato a Claudio Angelini, che al Quirinale è di casa e qualche notizia riuscirà forse ad averla.
E infatti, con l’impegno a non diffonderla, la riceve da un signore in abito blu: il presidente è in un tablao flamenco di Madrid, dove si cena e si assiste allo spettacolo di canto e ballo andaluso. L’uomo in blu svela anche l’indirizzo del locale.
Angelini ed io indugiamo nell’ingresso del tablao davanti al banco che serve tapas e bevande.
Pertini s’è accorto di noi due. Temo che si irriti per l’intrusione e invece ci chiede di metterci alla sua tavola. Poche persone siedono con lui, il segretario generale Maccanico e qualche funzionario del Quirinale. Siamo in Spagna, dove la cucina non propone brodini. Pertini sceglie a voce alta una zuppa con l’aglio. E rivolto al maitre esclama: «Stasera si può con l’aglio, perché no tenemos mujieres». «Siamo senza donne», traduce per chi non avesse capito.
Lunedì mattina, il Dc9 riporta a Roma i campioni del mondo, i tecnici e i dirigenti della federazione calcistica, il presidente del Coni Franco Carraro e qualche personalità ammessa a bordo senza che il presidente lo sapesse. Sandro aveva tenuto il governo lontano dall’evento e adesso scopre indignato che nel suo aereo, con i suoi ragazzi, sta volando il ministro per il Turismo sport e spettacolo senatore Nicola Signorello. È tardi per farlo scendere.
Invano Carraro, al quale premono i rapporti con l’esecutivo, tenta di ammorbidire il presidente della repubblica, che continuerà a rimproverare ai suoi collaboratori la presenza inopinata e indesiderata del ministro.
A Roma migliaia di tifosi hanno invaso pacificamente l’aeroporto di Ciampino, fino ai bordi della pista, mentre una moltitudine è stretta ai lati della via Appia. L’aeronautica militare e i servizi di sicurezza dispongono allora che siano due elicotteri a trasferire da Ciampino al palazzo del Quirinale Sandro Pertini, i campioni del mondo e gli altri del seguito. Ma il Presidente non gradisce il cambiamento del programma. «Non servono gli elicotteri», ordina al generale che comanda eccezionalmente il Dc9. «Non possiamo deludere la gente che aspetta da ore sotto il sole di festeggiare la squadra».
La regia dell’arrivo è sua. È lui che scende prima di tutti, seguito da Bearzot che innalza la Coppa. Il trofeo passa poi a Zoff che gli sta dietro, e dal portiere, a uno a uno, a tutti gli altri calciatori.
Lui la Coppa non ha voluto prenderla in mano, né all’aeroporto né più tardi davanti allo stuolo di fotografi, ai quali dirà: «No, no, io la coppa non la tocco, l’hanno vinta loro, è soltanto la loro».
Al Quirinale siamo all’ora del pranzo.
Tra quanti muovono verso il salone, Pertini scorge il ministro Signorello e si sente tradito per la seconda volta.
Al capo del cerimoniale, preparando così la sfuriata, chiede solo come siano disposti i commensali. «Alla sua destra il ministro Signorello, alla sua sinistra il presidente del Coni Carraro», si sente rispondere dal funzionario.
«Ancora Signorello», grida Pertini fingendo di non accorgersi che il ministro lo sta ascoltando. «Questo è il pranzo in onore dei campioni del mondo: voglio alla mia destra Bearzot e alla mia sinistra Zoff, il capitano».
Il ministro mi guarda come in cerca di solidarietà e si incammina in solitudine verso una collocazione assai meno importante di quella che il cerimoniale aveva previsto per lui.
A tavola il protagonista è naturalmente lui, l’instancabile presidente.
«Che faccia aveva Schmidt?», gli domandano.
«Quella di un cane bastonato, ma presto lo inviterò a pranzo, a lui piace mangiar bene».
«E un altro abbacchiato – soggiunge Pertini – ieri era Kissinger. La partita lo faceva soffrire, perché dovete sapere, ragazzi, che Kissinger è tedesco».
di Italo Moretti