Non era una battaglia tra supereroi, ma qualcosa di molto vicino quando, nella Coppa del Mondo del 1954, l’Uruguay incontrò l’Ungheria.
Tra tutte le grandi sfide ammirate nella storia dei Mondiali di calcio, ce n’è una che brilla per la qualità e la quantità di campioni in campo. Siamo nel 1954, e i campioni del mondo in carica si trovavano di fronte i campioni olimpici del 1952, una squadra che non perdeva da tre anni e mezzo e che aveva disputato quasi 50 partite segnando una media di quattro gol a partita. Non era una battaglia tra supereroi, ma qualcosa di molto vicino quando, nella Coppa del Mondo del 1954, l’Uruguay incontrò l’Ungheria.
L’Aranycsapat ungherese
Gli ungheresi erano i favoriti assoluti per il titolo, e lo avevano dimostrato già prima del torneo. Nel 1953, avevano umiliato l’Inghilterra a Wembley, vincendo per 6-3 e mettendo fine al mito dell’invincibilità dei padroni di casa. Poi, nell’ultima amichevole prima del Mondiale, avevano ripetuto l’impresa, travolgendo l’Inghilterra per 7-1 a Budapest. Con questo spirito, erano arrivati in Svizzera, dove avevano segnato ben 17 gol nelle due partite del girone, sconfiggendo la Corea del Sud per 9-0 e la Germania Ovest per 8-3.
L’orgoglio della Celeste
L’Uruguay, invece, era reduce dalla delusione in Copa America nel 1953, dove aveva perso contro il Cile e si era dovuto accontentare del terzo posto. Tuttavia, poteva contare su molti dei giocatori che avevano trionfato in Brasile quattro anni prima, come l’attaccante Juan Alberto Schiaffino, che sarebbe passato dal Peñarol al Milan per una cifra record dopo il torneo, e il loro leader e capitano, Obdulio Varela. La Coppa del Mondo era l’occasione per riconfermare la loro supremazia mondiale.
Nel loro girone i sudamericani erano stati meno prolifici degli ungheresi, ma avevano comunque segnato nove gol in due partite. La Scozia aveva fatto le spese della loro determinazione, subendo una goleada per 7-0 dopo che la Cecoslovacchia era riuscita a limitare la Celeste a soli due gol.
Verso le semifinali
Nei quarti di finale il Brasile aveva alzato bandiera bianca contro l’Ungheria nella “battaglia di Berna”, un match infuocato e violento che si era concluso 4-2. Gli uruguaiani, invece, avevano ribadito il loro rango di campioni del mondo in carica, eliminando l’Inghilterra con un similare 4-2, in una partita molto più sportiva e corretta.
In vista delle semifinali, entrambe le squadre vantavano quindi un curriculum impressionante: l’Ungheria aveva segnato 21 gol subendone cinque, mentre l’Uruguay ne aveva fatti 13 incassandone tre. Ma questo mondiale non era certo un elogio alle difese, anzi, i gol piovevano come grandine. Ne sapeva qualcosa la Svizzera, che nei quarti di finale aveva perso 7-5 contro l’Austria dopo essere stata in vantaggio di tre reti, e poi l’Austria stessa, che in semifinale aveva subito sei gol dalla Germania Ovest. Così, quando i due giganti si incontrarono allo Stade Olympique de la Pontaise di Losanna, il 30 giugno, i 45.000 spettatori si preparavono a godersi uno spettacolo imperdibile. E non restarono delusi.
Sfida tra due stili di gioco
Oltre alla sfida tra due potenze calcistiche, la partita offriva anche un confronto tra due culture diverse, tra il gioco sudamericano e il sistema ungherese. A quell’epoca, con i viaggi intercontinentali ancora poco diffusi, c’era poca interazione tra le squadre dei diversi continenti e i Mondiali erano vinti di solito dalle squadre dell’emisfero che ospitava il torneo. L’eccezione fu il Brasile, che vinse in Svezia nel 1958 e fu l’unica squadra a infrangere questa tendenza fino al 2002, quando vinse di nuovo in Giappone.
L’Ungheria, con il suo gioco basato su quello che oggi chiamiamo ‘falso nueve’, spesso impersonato dal furbo Nándor Hidegkuti, aveva anticipato di mezzo secolo il genio tattico del Barcellona di Guardiola. Era una rivoluzione che creava spazi a centrocampo e combinazioni offensive più fluide. Molti avversari rimanevano disorientati – come l’Inghilterra, che aveva subito una lezione dai magiari – ma gli uruguaiani sapevano come adattarsi. Varela era out per infortunio e al suo posto c’era Néstor Carballo, che come il suo capitano non esitava a salire per pressare un avversario in profondità.
Anche l’Ungheria doveva fare a meno del suo capitano, con Ferenc Puskás in infermeria. La sua assenza però dava l’opportunità a Gusztav Sebes di schierare Peter Palotás, che si alternava con Hidegkuti nel ruolo di falso nove. Così, mentre i due arretravano, si apriva una voragine centrale da sfruttare per giocatori come Zoltán Czibor, che trascinava fuori posizione il suo marcatore. Da questa situazione sarebbe nato il primo gol della partita, mentre la pioggia scendeva copiosa, rendendo scivoloso il terreno di gioco.
Nelle tre partite precedenti, l’Ungheria aveva imposto un ritmo elevato fin dall’inizio per cercare di prendere il comando del gioco e del punteggio. Contro la Corea del Sud, Puskás aveva segnato dopo dodici minuti, ma nelle partite successive quel gol sarebbe sembrato tardivo. Contro la Germania Ovest Sándor Kocsis aveva segnato il primo dei suoi quattro gol dopo appena tre minuti. Lo stesso slancio iniziale era stato ripetuto contro il Brasile quando Hidegkuti aveva portato in vantaggio gli ungheresi dopo quattro minuti. Una strategia che Sebes avrebbe riproposto anche contro l’Uruguay.
Primo tempo: senso unico magiaro
Il portiere uruguaiano Roque Máspoli, veterano del Peñarol, dovette sudare le proverbiali sette camicie nei primi minuti di gioco. Palotás lo impegnò con un tiro potentissimo che richiese un grande intervento del 36enne, poi Bozsik sfiorò il gol con una conclusione a lato. Bozsik era stato espulso nella sfida contro il Brasile, ma in modo discutibile gli era stato permesso di scendere in campo in questa semifinale. L’occasione più clamorosa per gli ungheresi fu di Hidegkuti, che da posizione defilata colpì il palo con Máspoli nettamente battuto. Czibor si era già alzato in piedi per esultare, ma dovette ricredersi in fretta.
Al dodicesimo minuto, l’allenatore dell’Uruguay Juan Lopez poteva tirare un sospiro di sollievo vedendo la sua squadra entrare finalmente in partita, ma il destino era già segnato. Hidegkuti, libero di agire a centrocampo, lanciò Kocsis con un passaggio preciso. Questi vide l’inserimento di Czibor e gli servì la palla con un tocco di testa. Il difensore uruguaiano rimase spiazzato dallo scambio, e Czibor si trovò a tu per tu con Máspoli. Da circa una decina di metri calciò in porta, ma il suo tiro non era irresistibile: Máspoli provò a respingerlo, ma la palla gli scivolò tra le mani varcando la linea di porta. L’Ungheria era in vantaggio.
Gli ungheresi, forse appagati dal vantaggio, rallentarono il ritmo e lasciarono spazio agli uruguaiani, che non fecero attendere la loro reazione. Con uno stile diverso da quello degli avversari, basato su passaggi precisi e inserimenti profondi, i sudamericani misero in difficoltà la retroguardia magiara, composta da Lantos e Lóránt, che dovettero ricorrere spesso al lancio lungo o all’aiuto del portiere Grosics, impegnato a uscire dalla sua area per anticipare le punte. Schiaffino sfiorò il pareggio con un’azione personale, ma il suo tiro fu debole e impreciso.
La partita si fece più equilibrata e combattuta, con entrambe le squadre che cercavano di sfruttare ogni errore avversario. Un gol avrebbe potuto cambiare le sorti dell’incontro, che oscillava da una parte all’altra. Kocsis sfiorò il raddoppio di testa da pochi metri, ma il suo tiro centrale vide pronto l’intervento di Máspoli. Il primo tempo si concluse senza ulteriori sussulti e le squadre rientrarono negli spogliatoi.
Secondo tempo: riscossa uruguagia
L’Uruguay riprese il gioco, ma subì subito un altro duro colpo. Budai, che aveva sostituito l’infortunato Tóth, era stato una minaccia costante per la difesa uruguaiana con le sue sgroppate sulla fascia, e dopo un minuto dal fischio d’inizio, un suo cross trovò Hidegkuti sul secondo palo che con un colpo di testa beffò Máspoli, portando l’Ungheria sul doppio vantaggio.
L’Uruguay, profondamente scosso, sembrava un pugile alle corde, mentre l’Ungheria cercava il colpo del ko. Máspoli, colpevole sul primo gol, si riscattò con una serie di parate che tennero in vita la sua squadra. L’arbitro gallese Benjamin Griffiths ignorò poi un rigore per un fallo su Hidegkuti che sembrava netto.
L’Uruguay, però, non si voleva arrendere e mostrò la stessa grinta e determinazione che lo avevano portato a rimontare il Brasile davanti ai 200.000 del Maracanã quattro anni prima. Anche senza il loro capitano e leader Varela, questa squadra aveva carattere e qualità, e in fondo erano loro i campioni del mondo in carica.
Con le giocate di Schiaffino, sempre più pericoloso man mano che la partita proseguiva e le energie calavano, l’Uruguay dimostrò di non essere battuto e, a 15 minuti dalla fine, un passaggio di Javier Ambrois trovò uno spiraglio nella difesa ungherese con Juan Hohberg che si inserì con freddezza riaprendo la partita.
La difesa ungherese, messa sotto pressione, mostrò tutti i suoi limiti. Uno Schiaffino ora inarrestabile cercava e sfruttava ogni varco nella difesa magiara, che faticava a mantenere un vantaggio che sembrava ormai sicuro.
A quattro minuti al termine, Hohberg sfondò finalmente la diga con una fuga in area e un dribbling su Groscis. Lantos e Jenő Buzansky, tornati a difendere, non riuscirono a chiudere lo spazio e l’urugagio, freddo come il ghiaccio, si fermò una frazione di secondo prima di scegliere l’angolo della rete. Disperazione ungherese. Esultanza uruguaiana. Si sarebbe andati ai supplementari, con l’Uruguay a cavalcare l’onda pronta ad infrangere i sogni ungheresi.
Supplementari: le stoccate di Kocsis
Con la sensazione di avere la partita in pugno, i campioni in carica continuarono a spingere e Hohberg sfiorò la clamorosa tripletta quando il suo tiro beffò Groscis e si stampò sul palo. Il portiere si tuffò in avanti per respingere una ribattuta di Schiaffino e deviò con i piedi la palla in angolo. L’Ungheria sembrava alle corde. C’è un tempo per il gioco scintillante in attacco, e c’è un tempo per chiudersi e difendersi. Per il resto del primo tempo supplementare, l’Ungheria scelse quest’ultima tattica. Una decisione che si sarebbe rivelata vincente.
Nel secondo tempo supplementare, con il buio ormai incombente, l’Ungheria trovò nuova forza e riprese il controllo della partita. In cinque minuti, al 5’ e al 10’, segnò due gol, entrambi con “Testina d’oro” Kocsis. Il primo con un colpo di testa su un cross di Budai, dopo che lo stesso Kocsis aveva avviato l’azione con un bel passaggio diagonale. Il secondo con una deviazione di testa su un assist di Hidegkuti, che Maspoli non riuscì a bloccare, forse anche per la scarsa visibilità. Era il trionfo dell’Ungheria.
L’Uruguay tentò una reazione finale, ma senza successo. Il leone del Sud America era stanco e ferito. E sul campo i suoi giocatori salutarono con fair play i loro avversari, che li avevano battuti e privati del titolo di campioni del mondo.
E gli spettatori, fradici ma affascinati dalla qualità tecnica e morale dello scontro, applaudirono a lungo e con entusiasmo sia i vincitori che i vinti, in quella che avrebbe meritato essere la vera finale del mondiale 1954.