ALBERT Florian: l’ultimo erede di Puskas

Talento cristallino e giocatore completo, letale cannoniere e fine suggeritore sulle orme di Hidekguti, Albert è stato senza ombra di dubbio l’ultimo, vero, grande calciatore capace di raccogliere quasi subito l’eredità dell’Aranycspat di Puskas

Classe 1941, il futuro campione nasce a Hercegszántó, un paesino acco­vacciato al confine jugoslavo e immerso nel nulla della Puszta. È figlio di un fabbro e di una donna ungaro-croata di etnia Sokci. La mamma muore quando il bambino ha 2 anni. Gli Albert si trasferiscono anni più tardi nella Capitale. Il giovane Flóriàn, che cresce nelle giovanili del Ferencvàros, esordi­sce in campionato il 2 novembre 1958 segnando una doppietta nel 3-1 con il quale i biancoverdi di casa battono il Diosgyor VTK.

Il carattere della persona è mite e riservato ma il suo talento è talmente manifesto che già a 17 anni Albert esordisce in Nazionale. A detta di tutti, è un giocatore completo, un tipo speciale. Ha grande tocco e proprietà di palleggio, le accelerazioni palla al piede lasciano quasi sempre sul posto gli avversari. I suoi fondamentali di gioco sono un vero spettacolo per gli occhi, ma l’attaccante accompagna alle qualità tecniche una visione di gioco molto lucida e, quando serve, potenza nel tiro. Quasi a dispetto della sua classe, capace di esaltare il gusto degli esteti più esigenti, è anche un attaccante molto concreto, una punta che quando serve va al sodo e che sa adattarsi ai mo­menti della partita.

È alto di statura e ha i tempi giusti anche per concludere di testa, qualità che non sempre un giocatore possiede solo perché misura 186 centimetri. Insomma, è uno al quale, in termini di mezzi tecnici, non manca nulla. Sem­bra un Hidegkuti a tutto campo con altrettanto senso delle geometrie e più grinta (la qualità che più mancava al centravanti arretrato della squadra di Sebes). I suoi fans lo chiamano fin dall’inizio l’Imperatore e se il soprannome è così sontuoso un motivo ci sarà.

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L’allora Commissario Tecnico Lajos Baróti è immediatamente folgorato da una simile completezza di repertorio e non ne fa mistero. Baróti è per 13 anni (non consecutivi) l’allenatore della Nazionale ungherese e la sua esperienza gli permette di distinguere con facilità e al primo sguardo un cavallo da tiro e un purosangue:
È raro vedere un giocatore così bravo sia nel segnare che nel creare occasioni. Albert faceva tutto, e lo faceva con eleganza“.

La stagione della consacrazione è quella del ’59/’60: il Ferencvaros arriva secondo a 5 punti dall’Ujpest Dosza campione d’Ungheria ma Albert può consolarsi con ben 27 reti che gli valgono il primo titolo di capocannoniere.

Flóriàn Albert mette in mostra le sue qualità già alle Olimpiadi di Roma 1960, quando l’Ungheria fa sua una dignitosissima medaglia di bronzo. Il ra­gazzo, appena diciannovenne fa capire all’istante di non essere uno qualsiasi e contribuisce in modo decisivo al ritorno sul podio della sua Nazionale. Almeno tra i dilettanti, l’Ungheria riesce ancora a dire la sua.

Due anni dopo, in Cile, il ragazzo riesce a fare ancora meglio divenendo – sia pure in condominio con altri – addirittura capocannoniere dei Mondiali. Un risultato importante per un attaccante di soli 21 anni. Durante l’edizione andina dei Mondiali, la Nazionale di Baróti arriva fino ai quarti di finale grazie a un buon gioco corale ma soprattutto ai gol di Tichy e Albert. Poi è costretta ad arrendersi contro la più quotata Cecoslovacchia, che chiuderà l’edizione del 1962 al secondo posto. Ma al di là dell’eliminazione dell’Ungheria nei quarti di finale ai Mondiali 1962, sembra finalmente rifiorire nel cuore di un intero popolo, troppo bene abituato nel decennio precedente, la speranza calcistica.

Le politiche di vivaio sembrano per un attimo riportare risultati positivi. Non siamo più ai pomposi (ma anche produttivi) piani quinquennali per lo sport, ma qualcosa di buono sembra comunque intravedersi. Intorno ai giocatori migliori può forse nascere una nuova squadra d’oro, una sorta di Aranycsapat 2. Naturalmente con le dovute proporzioni, perché giocatori come quelli del decennio precedente non nascono spesso e perché un realizzatore come Ferenc Puskàs da tempo non c’è più. Albert ha davvero i numeri del fuoriclasse e, con lui in campo, 9 milioni di connazionali possono davvero ricominciare a essere orgogliosi della loro Nazionale.

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Ma se gli ungheresi sognano ad occhi aperti nella speranza di rinverdire i fasti del passato, chi tifa Ferencvàros può farlo due volte. Con Flóriàn Albert a fare gol e a costruire gioco, negli anni 60 la squadra di Pest (IX distretto cittadino) vince 4 volte lo scudetto, ma anche una Coppa delle Fiere nel 1965. Al termine di un autentico tour de force (tre spareggi su sei turni totali disputati), i biancoverdi, vincono la Coppa mettendo in fila compagini blasonate quali Roma, (con gol decisivo di Albert nella “bella”) e Manchester United prima della finale del 23 giugno disputata al Comunale di Torino contro la Juventus, piegata 1-0 grazie alla zuccata dell’ala sinistra Fenyvesi a un quarto d’ora dalla fine. L’anno dopo il talento magiaro è addirittura il capocannoniere della Coppa dei Campioni.

Intanto nel 1964 l’Ungheria, grazie anche ai gol di un altro ottimo attaccante, Ferenc Bene, torna alla ribalta internazionale ottenendo un importante terzo posto agli Europei di Spagna, vinti dalla squadra di casa, in finale contro l’Unione Sovietica.

L’anno della definitiva consacrazione internazionale per Flóriàn Albert è il 1966. Quell’estate di mezzo secolo fa Londra è la capitale del pianeta terra. Ancora una volta la Nazionale magiara è riuscita a qualificarsi per la fase finale dei Mondiali in Inghilterra: già questo è un risultato da non sottovalu­tare, vista la spietata concorrenza a livello continentale. L’Ungheria non parte tra le favorite ma una cosa è certa: quando la squadra è in campo l’attenzione di tutti è puntata su l’unico vero fuoriclasse che la squadra possiede. Non segnerà mai durante quell’edizione ma con lui in campo lo spettacolo è garantito anche per chi è spettatore neutrale.

A Liverpool, durante la partita contro il Brasile di Garrincha, Gerson e Tostao, i 50mila del Goodison Park all’improvviso si lasciano prendere dall’entusia­smo e cominciano a cantare: “Albert! Albert!Albert!“, tanto sono ammirati dall’eleganza ma nel contempo dalla concretezza del numero 9 in maglia rossa. Contro ogni pronostico iniziale, la partita contro il Brasile finisce 3-1 per l’Ungheria. La squadra magiara verrà poi eliminata nei quarti di finale al Roker Park di Sunderland, non tanto dall’odiata Unione Sovietica quanto dalle pa­rate prodigiose del portiere russo Lev Yashin.

Le giocate di Albert sanno coniugare talmente bene forma e sostanza che nel 1967 il titolare di quei due piedi fatati e di quella testa inesorabile sarà il primo (e finora l’unico) giocatore magiaro a vincere il Pallone d’Oro, come miglior calciatore d’Europa per la stagione appena conclusa. Malgrado la grandezza del giocatore, l’Ungheria non va molto oltre il primo turno. Come nel 1962 in Cile, si ferma ai quarti di finale. Per la critica internazionale, quello sembra essere il suo livello effettivo. Non di più.

Per tradizione il reparto difensivo ha senza dubbio delle pecche: in fondo le aveva anche ai tempi di Hidegkuti, Bozsik e di Òcsi. Ma quando scendeva in campo l’Aranycsapat, era sufficiente giocare nella metà campo avversaria per vincere e mascherare i difetti. Purtroppo per la sua Nazionale, dietro la presenza di Albert c’è più o meno il vuoto e quel deficit in campo spesso lo si avverte. Per di più, nel 1969 il fuoriclasse magiaro subisce un gravissimo incidente. Il fatto avviene durante una partita di qualificazione per i Mondiali 1970 (dai quali l’Ungheria rimarrà peraltro esclusa) contro la Danimarca. Ci vorranno almeno due anni per rivedere il campione in buona efficienza: in ogni caso, quello che torna in campo non sarà mai più quello di prima.

Soccer – World Cup England 1966 – Group Three – Portugal v Hungary – Old Trafford

Pur trascinandosi un po’ riesce a fare ancora grandi cose, ma l’incidente priva gli esteti del calcio di uno dei suoi interpreti più belli da vedere. Nel 1974, all’età di 33 anni viene messa la parola fine a una carriera comunque ricca di soddisfazioni. Prima di quell’addio, c’è spazio per l’ultima vera fiammata di Flóriàn Albert e della sua Nazionale: il quarto posto ottenuto ai campionati Europei del 1972.

Talento cristallino e giocatore completo, letale cannoniere e fine suggeritore sulle orme di Hidekguti, Albert è stato senza ombra di dubbio l’ultimo, vero, grande calciatore che l’Ungheria abbia mai annoverato tra le fila di un proprio club e della propria nazionale, capace di raccogliere quasi subito l’eredità dell’Aranycspat di Puskas e nel contempo di guidare l’ultimissima generazione del calcio magiaro resistita a buoni livelli.

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Fonte: adattamento tratto da Tiki-taka Budapest. Leggenda, ascesa e declino dell’Ungheria di Puskas (di Diego Mariottini)