1958, l’unico Mondiale a cui non partecipò l’Italia: ecco il racconto di Guido Vincenzi: “Mettere in campo una squadra con cinque punte per una partita che deve essere pareggiata, è autolesionismo”
1958. I Mondiali si disputarono in Svezia. Ma l’Italia si fermò a… Belfast. Eliminati dall’Irlanda del Nord. Fu un avvenimento storico: per la prima volta la nazionale azzurra non partecipava alla fase finale dei campionati del mondo. Fu la prima disfatta del calcio italiano. A farne le spese fu anche Guido Vincenzi, il panzer. Dopo la sconfitta di Belfast, fu eliminato per sempre dalla Nazionale. Ma dovette anche lasciare l’Inter; venne dirottato alla Sampdoria. Vincenzi non ha mai dimenticato quella «pagina nera» che sta scritta nel suo curriculum.
«Non mi piace dirlo – spiega – perché il dottor Alfredo Foni è stato mio allenatore anche nell’Inter e serbo di lui un buon ricordo, ma la verità non si può nascondere: l’eliminazione del 1958 fu dovuta quasi esclusivamente al Commissario Tecnico. Io ero già stato fuori dopo i mondiali del ’54. Aveva preso il mio posto Magnini, ormai ero rassegnato».
– Fosti richiamato per le eliminatorie?
«No, venni richiamato solo per Belfast, o meglio per il bis di Belfast, cioè la partita-chiave. Eravamo inclusi in un girone eliminatorio con l’Irlanda del Nord e il Portogallo. Sembrava un girone facile, credevamo di avere già in tasca il passaporto per la Svezia. L’Irlanda del Nord era conosciuta solo per le… guerre religiose. Calcisticamente non esisteva. Per le partite internazionali rientrava dall’Inghilterra Danny Blanchflover, ma non è che potesse fare molto».
– Invece cominciò subito male.
«Già. A Roma battemmo l’Irlanda solo con un gol dì Cervato su punizione, uno dei suoi bolidi. Col Portogallo a Lisbona perdemmo addirittura per 3-0. Tra le due partite valide per il mondiale, avevamo incontrato in amichevole la Jugoslavia a Zagabria. La disfatta del 6-1.Foni decise di eliminare il blocco difensivo della Fiorentina, ma pagò anche il portiere, che era Lovati della Lazio. Contro il Portogallo vennero fatti esordire diversi giocatori: Fontana e Bean del Milan, Pesaola e Posio della Roma. Tra i pali andò Bugatti che aveva due gettoni di presenza, come stopper venne rispolverato Bernasconi della Sampdoria. Oggi può sembrare assurdo cambiare più di mezza squadra e far esordire così tanta gente in una partita che deve decidere l’ammissione al mondiale. Ma forse Foni era convinto che, con qualsiasi squadra, non avremmo mai perso dal Portogallo. Invece le buscammo tre a zero».
– Foni sperava di rifarsi a spese dell’Irlanda del Nord.
«E la fortuna sembrò aiutarlo. Perché la partita del 4 dicembre 1957 si trasformò in amichevole. L’arbitro designato, l’ungherese Zsolt, era rimasto all’aeroporto di Londra, che era chiuso per nebbia. Arbitrò un irlandese, Mitchell, finì 2-2. Segnò prima Ghiggia, pareggiò Cush, segnò Montuori, e pareggiò ancora Cush. Era la Nazionale degli oriundi. In Portogallo era già stato utilizzato l’argentino Pesaola. A Belfast vennero schierati gli uruguaiani Ghiggia e Schiaffino e Montuori un argentino che arrivava però dal Cile».
– Nicolò Carosio fece una radiocronaca che descriveva una battaglia più che una partita. Mancavano solo le bombe e poi c’era di tutto.
«Un ambiente terribile, veramente. Fu menato persino “Mobilia” Ferrano, che pure era un gigante. Però l’incontro doveva servirci appunto per farci capire che ci aspettava una partita da combattimento, quindi si doveva schierare una squadra particolare».
– Racconta tutto.
«Fummo fortunati, anche perché il bis arrivò dopo l’incontro di Milano con il Portogallo. Restituimmo il 3-0. Quindi, per qualificarci per la Svezia, ci bastava pareggiare con l’Irlanda del Nord. Per quanto mi riguarda come terzino destro, giubilato subito Fontana, il CT puntava su Corradi della Juventus. Ma per la partita di Belfast venni richiamato io. Fu eliminato l’oramai vecchio Cervato, Corradi si spostò a sinistra».
– Pesavi circa novanta chili, evidentemente Foni ti riteneva adatto per la battaglia.
«Ma oggi a Coverciano insegnano che una squadra deve essere omogenea. Una difesa può subire tanti gol non solo per i suoi errori, ma anche se crolla il centrocampo o se gli attaccanti non ritornano. Insomma la difesa deve essere protetta».
– A Belfast cosa successe?
«Successe che il dottor Foni, per una partita che doveva essere pareggiata, schierò tre punte e due mezze punte: Ghiggia, Schiaffino, Pivatelli, Montuori, Da Costa».
– I giornali inglesi ci attaccarono anche perché avevamo una nazionale di stranieri. Per l’occasione venne impiegato pure il brasiliano Da Costa, che giocava nella Roma.
«Ma si scagliarono contro di noi anche per colpa di Eddy Firmani, che era andato in tournée in Inghilterra con la Sampdoria e in un’intervista aveva dichiarato che in Italia ci si drogava tutti. Poi disse che le sue dichiarazioni erano state travisate. Ma intanto era scoppiato un finimondo. Ricordo sul giornale una vignetta grossa così, dove noi eravamo in mezzo a fiale e siringhe».
– Nella storia del mondiale sta scritto: Belfast, 15 gennaio 1958, Irlanda del Nord-Italia, 2-1.
«Da Costa nella ripresa segnò il gol della bandiera, ma loro erano andati al riposo sul due a zero. Certo contribuì alla disfatta anche l’arbitro Zsolt che espulse Ghiggia e ci obbligò a giocare in dieci. I giornali italiani parlarono di scandalo, ma io onestamente non me la sento di dire che fummo eliminati per colpa dell’arbitro. Quello dì Ghiggia era stato un fallo di reazione. Ma si doveva sapere che i sudamericani se vengono stuzzicati reagiscono in modo plateale. E dopo la precedente partita era facile prevedere che gli irlandesi avrebbero fatto di tutto per mettere alla prova ì nostri nervi, quindi non era quella la partita per un giocatore come Ghiggia. Ma, ripeto, l’errore fu quello di fare una squadra senza centrocampisti. Montuori era una mezza punta, gli piaceva segnare. Schiaffino faceva passaggi deliziosi, ma non certo la spola. In mediana c’era in tecnico Segato, mentre sarebbe stato più utile il coriaceo Chiappella. Inoltre Foni ebbe la brillante idea di fare esordire Invernizzi (e quella fu l’unica partita di “Robiolina” in Nazionale). Con un centrocampo del genere, cosa potevamo fare noi in difesa?».
– La tattica suicida di Belfast stupì perché Foni aveva fama di difensivista.
«Certo. Nell’Inter era stato lui a studiare l’accorgimento dell’Armano ala tattica. Così, quando Armano arretrava in difesa, Blason poteva spostarsi al centro a proteggere lo stopper Giovannini. Non solo: ti assicuro che mi spiace fare queste critiche perché Foni era un tecnico preparato. Una vera enciclopedia, sapeva tutto di tutti. Prima di ogni partita non solo impartiva disposizioni tattiche, ma era in grado di fornire preziose informazioni sugli avversari. Questo è tutto sinistro, quello è forte di testa, non c’era giocatore che non conoscesse. Non riesco proprio a spiegarmi come, avendo preso visione sia dell’ambiente sia della forza dell’Irlanda, avesse schierato quell’assurda formazione a Belfast. Mettere in campo una squadra con cinque punte per una partita che deve essere pareggiata, è autolesionismo».
– Si disse anche che gli oriundi non potevano sentire l’amore per l’Italia, che non era la loro patria. Tutti questi sudamericani erano attaccati alla bandiera tricolore, oppure no?
«II concetto di patria, era già superato anche per noi, i tempi stavano cambiando. Ovviamente Ghiggia compagni non potevano vedere nella nazionale italiana la loro patria, tanto più che proprio Ghiggia aveva già servito ai mondiali la sua patria effettiva, l’Uruguay. Si è poi saputo che a molti di questi oriundi erano stati scovati nonni fasulli, per poterli tesserare in Italia. Però non credo che questi sudamericani possano essere tacciati di menefreghismo. Sentivano anche loro la partita, ma, ripeto, per via di quel clima infuocato non era una partita adatta ai loro messi tecnici e diciamo pure fisici, perché erano quasi tutti abatini, per usare il termine caro a Brera».
– Quale fu la reazione dei tifosi al vostro ritorno in Italia?
«Arrivammo a Milano, ma non successe nulla. All’aeroporto di Linate non c’era nessuno. Non so, non ricordo: può darsi che nessun giornale avesse pubblicato l’orario del nostro arrivo. Ricordo invece che dopo la sconfitta per rilassarci e non pensare all’eliminazione, andammo a fare quattro passi per le vie di Belfast. Incontrammo diversi giornalisti tra cui Brera. Ci dissero: siccome siamo amici, non vi sveliamo cosa abbiamo scritto nei nostri articoli, altrimenti stanotte non dormite. Ma io non riuscii a dormire lo stesso. Sapevo benissimo che sarei diventato il capro espiatorio. Infatti mi fecero fuori dopo quella partita, mentre per licenziare Foni aspettarono la successiva sconfitta, due mesi dopo, 3-2 contro l’Austria a Vienna. Nell’Inter, e poi anche nella Sampdoria, ho avuto tante soddisfazioni. In Nazionale, invece, il mio nome resta legato a due sfortunati campionati del mondo: eliminati dalla Svizzera prima e dall’Irlanda poi. Però adesso che faccio l’allenatore lo posso dire con cognizione di causa: la colpa principale di quelle disfatte non fu dei giocatori, bensì dei tecnici. Se penso alle cinque punte di Belfast per un incontro nel quale si doveva puntare allo zero a zero, rabbrividisco ancora».