Su di lui circolano ancora delle false leggende metropolitane. Per conoscere come andarono realmente i fatti il giornalista Alessandro Gori è andato a trovarlo ad Arad, in Ungheria. Ecco la sua vera storia…
Sabato 7 maggio 1986: sono passati quasi 30 anni dall’impresa storica di Helmuth Duckadam, il portiere della Steaua (ora ne è il Presidente) nella finale di Siviglia contro il Barça. Su di lui circolano ancora delle false leggende metropolitane, su internet, sui mezzi di comunicazione e addirittura in alcuni libri anche di recente pubblicazione in Italia. Per conoscere come andarono realmente i fatti basterebbe invece contattare Duckadam o, come ho fatto io, andarlo a trovare ad Arad, la sua città al confine con l’Ungheria.
Erano passati pochi giorni dal disastro di Cernobyl’ e il mondo non era ancora a conoscenza dell’immane tragedia. Quel giorno il FC Barcelona perse inaspettatamente ai rigori la sua seconda finale di Coppa Campioni, dopo quella altrettanto drammatica di Berna nel 1961. Stavolta tutto sembrava pronto per il trionfo del Barça “inglese” allenato da Terry Venables contro un rivale apparentemente abbordabile come i semisconosciuti della Steaua Bucuresti, espressione di un paese di oltre Cortina. E poi si giocava al “Ramón Sánchez Pizjuán” di Siviglia, dove apparve solo uno sparuto gruppo di un migliaio di romeni, opposti a 60mila culés che animavano i catalani.
Invece, come qualcuno ricorderà, non tutto andò come previsto, soprattutto per merito di Helmuth Duckadam, la cui impresa è rimasta unica nella storia del calcio. L’alto portiere della Steaua, con i suoi grandi baffi e l’aderente maglietta verde, parò tutti e quattro i rigori tirati dal Barcelona, regalando un inatteso trionfo alla sua squadra. Ma il destino era in agguato: quella fu la sua ultima partita a livello internazionale. All’improvviso, a soli 27 anni, subito dopo essere entrato nell’Olimpo del calcio, fu misteriosamente costretto a terminare la sua carriera.
Quella era un’altra epoca, immediatamente precedente al grande business della Champions League. Il calcio era ancora ruspante e le televisioni non ne costituivano ancora l’aspetto più importante. Esistevano tre coppe europee, le cui epiche sfide si giocavano solo di mercoledì. Alla più nobile, la Coppa Campioni, accedeva solo il vincitore di ogni campionato, ma vi partecipavano tutti i paesi, non solo quelli più ricchi.
Ogni tanto capitava che un piccolo club senza molti soldi, magari proveniente da un paese esotico, riuscisse nell’impresa di eliminare un ricco squadrone dell’Europa Occidentale. Poi, qualche anno dopo, arrivarono la musichetta e gli sponsor della Champions, le cui fasi a gruppi assicurano a ogni partecipante almeno sei partite, anche se alcune sono spesso inutili.
Allora esisteva ancora la “Cortina di Ferro”, il continente europeo era diviso in due blocchi contrapposti e lo sport (in questo caso le Coppe Europee di calcio) costituiva un momento di incontro e al tempo stesso di competizione.
Molte informazioni non esatte continuano a circolare sugli avvenimenti realmente accaduti dopo quella finale, ma forse pochi si sono presi la briga di cercare Duckadam e farsi raccontare la sua storia. L’ho incontrato ad Arad, la sua città ai limiti della Transilvania, quasi al confine con l’Ungheria. Comparandolo con le foto dell’epoca, il gigante Duckadam si è appesantito di alcuni chili, ma dopo i singolari avvenimenti che segnarono la sua vita, ha mantenuto il suo umorismo ed anche i suoi folti baffi.
Duckadam nacque il 1º aprile 1959 in una famiglia di etnia tedesca a Semlac, a 15 chilometri da Arad. Aveva sempre sognato di giocare portiere, «anche da bambino, perché ero troppo pigro per correre», racconta sorridendo sotto i baffoni.
«Iniziai seriamente a 15 anni e a 17 giocavo con il Constructorul di Arad, poi passai all’UTA, la squadra più importante della mia città, con cui debuttai nella Prima Divisione romena». Nel 1982 Duckadam fu trasferito alla Steaua Bucuresti, la squadra dell’esercito. Il club più importante della Romania fu fondato nel 1947 come parte dell’esercito romeno con il nome di ASA Bucuresti, cambiato nel 1961 in Steaua (“Stella” in romeno).
Dopo la Seconda Guerra Mondiale nei paesi dell’Europa Orientale (con la parziale eccezione della Jugoslavia), le squadre più importanti erano organizzate quali estensioni dei vari ministeri: di solito il più poderoso era il club dell’esercito, poi via via gli altri, con la Dinamo che in quasi tutti i paesi in questione rappresentava il Ministero dell’Interno, cioè la polizia.
Fino al 1985 la Steaua aveva conquistato solo nove campionati e tredici coppe nazionali, ma da quel momento avrebbe aumentato sensibilmente il suo palmarès. All’inizio degli anni Ottanta l’abile dirigente Ioan Alexandrescu mise sotto contratto diverse giovani promesse che avrebbero formato una generazione storica: oltre a Duckadam, erano Majearu, Iovan, Belodedic (di origine serba), Balint, Bumbescu, l’ungherese Ladislau (László) Bölöni, Victor Piturca e, nel 1983, Marius Lacatus, il numero 7 soprannominato Fiara (la Bestia), che sarebbe diventato il più grande idolo della storia del club (ed avrebbe successivamente giocato anche con la Fiorentina)
Nel campionato 1984/85 sotto la guida del bravo allenatore di etnia ungherese Emerich (Imre) Jenei, che nella sua carriera guidò la Steaua in sei momenti diversi, la Steaua riconquistò il campionato dopo sei lunghissimi anni di digiuno. Fu l’inizio di una parabola inarrestabile che coincise con l’avvicinamento di Valentin alla squadra: il figlio maggiore, anche se adottato, del dittatore Ceausescu, non disdegnava intervenire anche nella conduzione del club.
La supremazia in campo nazionale della Steaua era a quel tempo totale: tra il 1985 e il 1989, quando la “Rivoluzione” abbatté il regime di Ceausescu, il club conquistò cinque Campionati, quattro Coppe nazionali e rimase imbattuto per ben 104 partite di Prima Divisione. Tuttavia, gli aiuti politici non erano sufficienti a spiegare gli egregi risultati continentali: due anni dopo la conquista della Coppa Campioni del 1986, la Steaua fu eliminata in semifinale dal Benfica e l’anno successivo cadde solo in finale contro il Milan di Arrigo Sacchi, che lo schiacciò per 4 a 0 proprio al “Camp Nou”.
Inoltre, nel febbraio 1987 i rossoblu si aggiudicarono la Supercoppa Europea nella partita unica al “Louis II” di Montecarlo, sconfiggendo per 1 a 0 la Dynamo Kyiv del colonnello Valerij Lobanovskij: autore dell’unica rete (una punizione deviata dalla barriera) fu il giovane talento Gheorghe Gica Hagi, che era stato prestato dal suo club di allora, lo Sportul Studentesc, solo per disputare quell’incontro. Invece, quel prestito divenne permanente e Hagi, miglior calciatore romeno delle ultime generazioni, giocò con la Steaua fino al 1990, quando fu trasferito al Real Madrid.
Tornando alla Coppa Campioni 1986, nella semifinale di andata la Steaua fu sconfitta a Bruxelles dall’Anderlecht del futuro interista Vincenzo Scifo, autore dell’unica rete. Nell’infuocata atmosfera dello “Stadionul Ghencea” riuscì poi a ribaltare il risultato con un entusiasmante 3 a 0, con due gol di Piturca e uno di Balint.
Nella finale di Siviglia il Barça era l’evidente favorito e i romeni non avevano grosse velleità. La Steaua riuscì ad addormentare la partita e i meccanismi del Barça si incepparono. Al novantesimo il risultato era ancora inchiodato sullo 0 a 0 e così rimase anche nei supplementari. Poi i tre fischi dell’arbitro francese Michel Vautrot confermarono che la partita si sarebbe decisa ai rigori.
Il primo toccò alla Steaua, ma Majearu lo sbagliò. Poi Duckadam compì il primo miracolo su Alexanko, Urruti intercettò il tiro di Bölöni e di nuovo il portierone romeno fermò il tiro di Pedraza. Era una situazione paradossale, mai vissuta in una finale: dopo 120 minuti e quattro rigori la partita era ancora bloccata sullo 0 a 0.
Finalmente Marius Lacatus riuscì a violare per la prima volta le reti del “Sánchez Pizjuán”, scagliando il pallone proprio al centro della porta e lestremo difensore vestito di verde indovinò il rigore di Pichi Alonso. Balint segnò il 2 a 0 e Duckadam parò anche il quarto di Marcos Alonso, compiendo un’impresa storica e diventando un eroe nazionale. I culés che affollavano lo stadio di Siviglia e gli altri milioni di fronte al televisore non potevano credere ai loro occhi; la maledizione della Copa de Europa sarebbe continuata fino al 1992.
Quando la Steaua ritornò in Romania venne organizzata una festa senza precedenti. Ma proprio quando aveva toccato il cielo con un dito, la carriera di Duckadam si spezzò. La finale di Siviglia fu la sua ultima partita disputata ad alto livello. Per anni sono circolate molte storie sull’improvvisa fine della sua carriera calcistica. Secondo la più insistente, Nicu Ceausescu, altro figlio del Conducator, aveva mandato dei sicari a spezzare le mani di Duckadam come vendetta.
Varie le possibili ragioni, la più ricorrente era che un facoltoso tifoso del Real Madrid gli avesse regalato una Mercedes per le sue prodezze contro l’odiato Barça. E nessuno poteva guidare un’auto simile nella Romania socialista. Erano solo leggende metropolitane che tuttavia si continuano a trovare su internet, sui mezzi di comunicazione e addirittura in alcuni libri, anche di recente pubblicazione, in Italia.
La realtà era un’altra, non meno tragica. Al termine del campionato romeno Duckadam tornò al suo villaggio per le vacanze. Come racconta il protagonista, si trattò di un aneurisma (ovvero una dilatazione progressiva di un segmento di un’arteria, causata da un’anomalia della parete del vaso sanguigno) al braccio sinistro. Lo operarono d’urgenza e rimase in ospedale due mesi.
All’inizio i medici temevano di dovergli amputare il braccio; per fortuna non accadde, ma Duckadam non poté tornare a giocare. Il club lo invitò ad accompagnare la spedizione a Tokyo, dove la Steaua perse la Coppa Intercontinentale contro il River Plate (0 a 1, gol dell’uruguagio Antonio Alzamendi) ma subito dopo lo scaricò senza tanti complimenti per l’Eroe di Siviglia.
Duckadam, pochi mesi dopo aver regalato alla Steaua il suo massimo alloro, non ebbe altra scelta che ritornare mestamente ad Arad e arrangiarsi per sopravvivere come un cittadino qualsiasi. Poi Duckadam entrò nella polizia di frontiera a Nadlac, un villaggio al confine con l’Ungheria non lontano da dov’era nato. Dopo sette anni, durante i quali aveva raggiunto il grado di maggiore, riuscì ad andare in pensione per il suo problema fisico.
Nonostante tutto, Duckadam non si allontanò dal calcio e nel 1989 divenne presidente di un piccolo club di Arad, il Vagonul, con cui entrò come riserva una dozzina di volte, ma solo per divertimento.
Nello scorso agosto il polemico Gigi Becali, uno dei nuovi oligarchi romeni arricchitosi in modo dubbio e dal 2003 proprietario della Steaua e fondatore del partito nazionalista Nuova Generazione (eletto nel 2009 al Parlamento Europeo), ha designato Duckadam nuovo Presidente della Steaua.