Il Genoa impertinente del Professore

Non fu una grande squadra, il Genoa edizione 1955-56, eppure lasciò ricordi emozionanti ai propri tifosi per lo spettacolo che fu in grado di sciorinare a Marassi.

E pure le statistiche dovettero farvi i conti, dato che proprio contro i rossoblu la Fiorentina perse all’ultimo turno la propria imbattibilità, vincendo lo scudetto ma senza la “verginità” da sconfitte che sarebbe stata un record imbattibile. Ma andiamo con ordine.

La stagione precedente, 1954-55, ha fatto intravedere inattesi progressi nella squadra rossoblu, ma l’allenatore Giorgio Sarosi se ne è andato improvvisamente a maggio, accusato di trattare con la Roma. La squadra è crollata di colpo, passando da risultati esaltanti a un devastante 0-8 in casa a opera del Milan in procinto di vincere lo scudetto.

Come nuovo allenatore è stato scelto Renzo Magli, che da vecchio cuore viola ha avuto l’idea: contattare Gunnar Gren, a Firenze ormai in dissidio con l’allenatore Bernardini. Jl “Professore” va per i 35 anni ma è ancora in gran forma, se ne stava tornando in patria e ha accettato con entusiasmo la proposta.

Ne è nato un Genoa di “vecchietti”, ma anche di gran qualità, con i “nonni” Carapellese e Gren, favolosi palleggiatori. Peccato che sul mercato brasiliano per coprire l’annosa lacuna di una grande punta sia stato pescato un autentico bidone, il ventisettenne Mario Di Pietro, detto “Marinho”, confuso con Maurinho, asso della Nazionale verdeoro. Marinho arriva sotto la Lanterna e rivela doti tecniche in linea con la sua provenienza, ma in pratica non sta in piedi. I tifosi più maligni sostengono che per risparmiare abbia… lasciato a casa le ginocchia.

Insomma, in totale fa 8 partite con 2 gol (nel derby d’andata: e i tifosi lo portano in trionfo), poi il nulla, o meglio, una costante indisponibilità che fa dell’infermeria la sua seconda casa. Il suo posto viene preso da Corso (nemmeno parente del futuro grande Mariolino), tutt’altro che uno sfondatore, e ne emerge una squadra formidabile in casa, dove i suoi Grandi Vecchi danno spettacolo e spesso le suonano a grandi e piccini, ma praticamente inerme in trasferta, cioè nel clima da battaglia che i vecchi artisti non possono sostenere.

Il 3 giugno, ultima di campionato, approda a Marassi la Fiorentina: una bella festa scudetto da celebrare in allegria. I viola vanno in vantaggio, i rossoblù fanno accademia anche per dimostrare di non essere secondi ai rivali. Poi, a un quarto d’ora dalla fine, tutto cambia: l’arbitro Jonni concede il rigore ai viola per un fallo di Magnini su Carapellese. L’infallibile Frizzi declina l’invito, un po’ per l’errore della domenica precedente contro la Spal, un pò per le polemiche sulla sua micidiale finta dal dischetto che ha scomodato persino la Federazione.

All’ex di ghiaccio, Gren, basta un cenno dei compagni. Lo svedese accomoda la sfera sul dischetto e con naturalezza trasforma. È il pari, è festa lo stesso, ma a cinque dalla fine Frizzi infila un gol strepitoso (stop di petto e botta al volo di destro) e i viola cadono in deliquio: svanisce il sogno di vincere lo scudetto senza sconfitte. Vanno talmente in bambola di fronte ai ghirigori dei genoani, da riuscire a prendere anche il terzo gol, allo scadere, da nonno Carappa. Alla fine è 3-1, addio record dei record. Tutto per merito (o colpa) di quel Genoa lento ma lussuoso, che in casa appagava il palato dei tifosi più esigenti e se avesse avuto un centravanti vero avrebbe colto ben di più del nono posto finale.