Svedese tranquillo, in campo si scatenava con finte, dribbling e fughe inarrestabili che esaltavano la tifoseria. Passò per la Juventus senza poter giocare in campionato e si affermò a Marsiglia.
Un Garrincha biondo: così appariva Roger Magnusson, ala destra svedese dal dribbling inarrestabile. Un po’ come il brasiliano, anche Magnusson poteva partire da fermo per poi lasciare sul posto l’avversario con finte imprevedibili, accelerazioni brucianti, repentini cambiamenti di direzione. Se Mané era piccolo, sgraziato e bruttarello, Roger era alto (1,81 x 76), elegante e bello.
La Juventus lo scoprì ventenne nell’Åtvidaberg ma non potè tesserarlo per il blocco degli stranieri confermato dopo il disastro azzurro nel Mondiale d’Inghilterra e lo prestò al Colonia dove, nel 1966-67, disputò 20 partite con 4 reti in Bundesliga. Il club bianconero lo portò a Torino la stagione successiva anche se le frontiere erano ancora chiuse ottenendo dalla Federcalcio la possibilità di schierarlo in Coppa dei Campioni, concessione senza precedenti nel calcio. Era la Juve operaia di Heriberto Herrera, povera di qualità ma umile e determinata. Una squadra solida, alla quale l’ala svedese doveva portare un pizzico di fantasia e imprevedibilità.
Magnusson debuttò ufficialmente a Torino il 29 novembre 1967 nel match di andata degli ottavi di finale contro il Rapid Bucarest, battuto 1-0 proprio grazie a una sua rete. Un esordio da incorniciare per quello che diventò il grande rimpianto dei tifosi bianconeri, visto che lo potevano ammirare solo in Coppa Campioni. Magnusson risultò determinante anche nei quarti, decidendo lo spareggio di Berna contro l’Eintracht Braunschweig, battuto 1 -0 con un suo gol.
In semifinale la Juventus trovò sulla sua strada il Benfica di Eusebio, e la sua corsa finì lì: 0-2 a Lisbona e 0-1 a Torino, con la “Pantera nera” sempre protagonista. Per Magnusson l’avventura in bianconero si chiuse con sei presenze e due reti: mica male per un giocatore che Heriberto Herrera vedeva malvolentieri per lo spiccato individualismo, accentuato anche dalla mancanza d’intesa coi compagni, insieme ai quali giocava solo nei match di Coppa Campioni e nelle amichevoli.
Il persistere del veto sull’importazione degli stranieri indusse la Juventus, che l’avrebbe tenuto volentieri, a cedere Magnusson in prestito al Marsiglia, dove si stava realizzando l’ambizioso progetto di Marcel Ledere, coraggioso e spregiudicato editore che voleva portare l’Olympique al vertice del calcio francese. Magnusson, secondo svedese nella storia dell’OM, fu subito accolto con simpatia grazie al ricordo delle imprese del suo connazionale Gunnar Andersson, capocannoniere nel 1951-52 con 31 reti e la stagione successiva con 35, sempre con l’Olympique.
A Marsiglia Magnusson trovò alcuni dei migliori giocatori francesi del momento quali Jean Djorkaeff (padre del fiituro interista Youri), Jules Zwunka, Jacky Novi, Joseph Bonnel, e con loro conquistò la Coppa di Francia 1968-69 battendo in finale il Bordeaux 2-0 (Novi, Joseph).
Per primeggiare in campionato c’era bisogno di qualche ritocco. Ledere non badò a spese, assicurandosi nelle due successive stagioni altri francesi di valore come il centrocampista Gilbert Gress, gli attaccanti Charly Loubet e Didier Couécou, il portiere Georges Camus e il difensore Bernard Bosquier, oltre a uno straniero che era transitato da Marsiglia nella stagione 1966-67 per poi andare in Germania, all’Hannover, lo jugoslavo (ma lui preferiva già allora definirsi croato o, con più precisione, dalmata) Josip Skoblar, formidabile cannoniere che in riva al Mediterraneo aveva lasciato molti rimpianti.
Ovviamente riscattò Magnusson dalla Juventus e proprio sull’asse Magnusson-Skoblar sbocciò un Marsiglia irresistibile, almeno in Francia. Dopo il secondo posto nel 1969-70, due trionfi consecutivi, frutto di un calcio spiccatamente offensivo. Allenata da Mario Zitelli, centravanti del Marsiglia campione per la prima volta nel 1936-37, la squadra praticava uno spregiudicato 4-2-4 che garantiva reti e spettacolo. E lo stadio Vélodrome era sempre colmo di tifosi che si entusiasmavano per i dribbling di Magnusson e i gol di Skoblar, capocannoniere per tre volte consecutive. Nel 1970-71 con ben 44 reti, che gli fruttarono la “Scarpa d’oro”, nel 1971-72 con 30 e nel 1972-73 con 26 (ma il Marsiglia fu solo terzo).
Nelle spettacolari rappresentazioni del Marsiglia i ruoli dei due attori principali erano ben definiti, A Magnusson toccava eccitare la platea con finte di corpo, scatti brucianti e cross al bacio; a Skoblar appagarla con reti a grappoli. Lo schema più efficace della squadra era appunto quello che vedeva Magnusson fuggire sulla fascia destra per poi rimettere dal fondo invitanti palloni che Skoblar scaraventava in rete. Magnusson destabilizzava le retroguardie, Skoblar le puniva.
Andò così anche nella finale della Coppa di Francia della stagione 1971-72, giocata a Parigi nel rinnovato “Parco dei Principi”, inaugurato per l’occasione, e vinta 2-1 sul Bastia. Prima rete: fuga di Magnusson sulla destra, cross al centro dove Couécou di testa metteva in rete sul primo palo. Raddoppio: fuga di Magnusson sulla destra, cross al centro dove Skoblar di testa metteva in rete sul primo palo. Due reti in fotocopia, con l’ala svedese protagonista in entrambe le occasioni. Solo a cinque minuti dal termine il Bastia accorciò con un colpo di testa di Franceschetti. Fischio finale con Magnusson e Skoblar in ginocchio abbracciati a centrocampo per festeggiare il primo “doublé” della storia del Marsiglia.
Ledere elargiva i premi anche a seconda dell’affluenza al Vélodrome. Per richiamare un numero maggiore di spettatori Magnusson s’impegnava in dribbling sempre più arditi, con il rischio di incartarsi, e Skoblar voleva andare a segno in tutti i modi, pure tirando i rigori, lui che, incredibilmente, dal dischetto era negato. L’intesa fra i due era perfetta. Il goleador Skoblar era più al centro dell’attenzione ma a Magnusson andava bene così.
Svedese tranquillo, non amava la luce dei riflettori ma si esaltava quando in campo i suoi dribbling e le sue finte venivano accompagnati dagli “ollé” (alla francese) dei tifosi. Ai giornalisti non dava mai argomenti per polemiche, perché per lui i compagni erano tutti «molto bravi» e gli avversari «molto difficili». Mai una parola fuori posto ed elogi per tutti, al punto che a sentire lui nel calcio c’erano solo giocatori eccezionali.
Il 19 luglio 1972 Marcel Ledere venne dimissionato dal Comitato Direttivo dell’OM con l’accusa di gestione sospetta: troppi affari poco chiari, compresi gli ingaggi di diversi giocatori. Il Marsiglia cominciò piano piano a ridimensionarsi. Magnusson rimase fino al termine della stagione 1973-74 per poi passare al neo promosso Red Star, dove giocò al fianco di un altro ex juventino, Néstor Combin, detto la “foudre”.
Nonostante loro il Red Star finì ultimo e retrocesse. Combin appese le scarpe al chiodo, Magnusson rimase un’altra stagione. Il Red Star raggiunse gli spareggi per la promozione dove fu battuto dal Laval. Magnusson se ne tornò in Svezia dove nell’Helsingborg chiuse una carriera che comprendeva anche 14 presenze e 3 reti nella nazionale svedese.
Roger Magnusson (Mönsterås, 20 marzo 1945)