Trent’anni fa, al termine di una stagione clamorosamente negativa, il Milan retrocesse in B per la seconda volta. Viaggio nell’annata 1981/82 del “Piccolo Diavolo” per capire i perché di quel tracollo.
Nel 1982 il Milan retrocedeva per la seconda volta, al termine di un campionato incredibilmente negativo e dopo una sequela di errori che finirono per ricacciare il diavolo nel purgatorio della cadetteria, stavolta per demeriti calcistici. La disamina completa dell’annata 1981/82, l’Annus Horribilis nella storia della gloriosa società rossonera, non può non cominciare dalla metà di giugno del 1981.
Massimo Giacomini, dopo aver centrato la promozione in A, si dimetteva in aperta polemica con la dirigenza rossonera che già da alcuni mesi gli aveva preferito Gigi Radice, artefice di una strepitosa salvezza ottenuta con il Bologna. Walter Novellino, punto di forza di quel Milan, sentenziò: “Con un paio di acquisti mirati potremmo essere da scudetto”. Tuttavia, le strategie societarie durante il mercato estivo furono all’insegna dell’improvvisazione e del piccolo cabotaggio.
Accantonata quasi subito l’idea Cruijff, dopo una comparsata dell’olandese al Mundialito ’81, fallito un tentativo, quasi patetico, di ingaggiare Zico senza averne i fondi, saltato all’ultimo momento persino l’acquisto del belga Ceulemans, il Milan ripiegò sul centravanti scozzese Joe Jordan, giocatore non più giovane ma subito amato dai tifosi che gli riservarono una grande accoglienza al suo arrivo a Linate. L’altro rinforzo fu l’ex ascolano Adelio Moro, ritenuto il giocatore giusto per le geometrie di centrocampo.
I superstiziosi individuarono nella data del raduno precampionato (venerdì 17 luglio ’81) il preludio ad un anno negativo. In effetti, dopo la prima fase di Coppa Italia, in molti se la presero con la dea bendata. Nel derby, decisivo per il passaggio del turno, un guizzo di Bergomi allo scadere sancì la qualificazione dell’Inter proprio a discapito dei rossoneri che con Novellino e un gran colpo di testa di Jordan avevano rimontato il gol di Altobelli.
Poi, fu campionato, cominciato con due pareggi senza gol, uno dei quali contro la quotata Fiorentina di De Sisti, regina del calciomercato. La fortuna strizzò l’occhio ai rossoneri al San Paolo, con un successo di misura, scaturito da un tiro senza pretese di Novellino deviato da Ferrario alle spalle di Castellini. Nelle successive sei partite, la squadra di Radice inserì la retromarcia, toccando il fondo della classifica.
Il ciclo terribile cominciò a San Siro contro la Juve, corsara grazie ad un gol di Virdis, proseguì nel derby (deciso da Oriali), si aggravò dopo la batosta di Catanzaro (3-0), il pareggio interno contro il modesto Como e la sconfitta di misura ad Ascoli. Il 22 novembre ’81, il Milan era ultimo in classifica con la miseria di sei punti conquistati in nove giornate ed appena due gol all’attivo. Uno score terrificante, capace di smentire qualsiasi pronostico formulato ad inizio stagione.
In alcuni casi, la squadra di Radice disputò delle buone partite ma senza raccogliere punti. Fu così contro il Torino, al Comunale, dove un gol allo scadere di Dossena tolse ai rossoneri un punto meritato. Alla prima di ritorno, dopo la sconfitta casalinga ad opera dell’Udinese, il neo presidente Giuseppe Farina decise l’esonero di Gigi Radice. Al suo successore, Italo Galbiati, fu affidato il difficile progetto salvezza.
La scossa ci fu in termini di prestazioni ma non di punti, come nel caso delle trasferte con le prime della classifica, Fiorentina e Juventus. Il campo di Torino si rivelò stregato: una tripletta di un centravanti prelevato direttamente dal Torneo di Viareggio, Giuseppe Galderisi, piegò il Milan, capace per due volte di pareggiare con Collovati e Antonelli.
La speranza, riaffiorata battendo in casa il Bologna con i gol di Moro e Buriani, divenne illusione dopo il derby di ritorno e, soprattutto, al cospetto del Catanzaro, maramaldo a San Siro grazie ad un guizzo di Bivi sotto la Curva Sud. Il 21 marzo ’82 fu la domenica della guerriglia scatenata da un gruppo di tifosi rossoneri dopo la disfatta di Como, contro l’ultima in classifica. Un sasso, lanciato dal settore occupato dai supporters milanisti, colpì al capo Fulvio Collovati, costretto ad abbandonare il campo. Nel dopopartita successe il finimondo.
La squadra, in una crisi senza fine, fu costretta a giocare sul neutro di Verona le partite contro Ascoli e Roma che portarono la miseria di un punto in classifica. Restavano le ultime cinque giornate per centrare la salvezza. La classifica era impietosa: Milan penultimo, a quattro lunghezze dal quartultimo posto. Per rimanere in A occorreva praticamente unimpresa.
L’ultimo tratto del campionato 81/82 mise in mostra, finalmente, un Milan all’altezza del suo blasone. A Genoa cominciò la riscossa contro una concorrente per la salvezza. Una prodezza di Maldera (gran gol con un pallonetto al volo) ed un rigore trasformato da Baresi rimontarono la rete rossoblù di Briaschi. Stessa musica contro l’Avellino, passato in vantaggio con Juary, raggiunto da Novellino e superato da una spettacolare rovesciata di Maldera, giocatore della provvidenza.
A Milanello tornò la fiducia. A tre giornate dalla fine, malgrado mesi di occasioni mancate e stomachevole pochezza, la squadra era ancora in linea di galleggiamento. A Cagliari, i rossoneri mancarono il tris di vittorie, facendosi raggiungere da Selvaggi dopo il vantaggio di Battistini. Contro il Torino dell’ex Giacomini occorreva vincere per non vedere il baratro da vicino. Più che una partita fu un assedio nell’area granata. Antonelli e Novellino ci provarono più volte, trovando sempre pronto l’estremo difensore Copparoni. Nel finale, Maldera sfiorò il terzo gol salvezza: il suo colpo di testa, a portiere battuto, si stampò sulla traversa. L’uscita dal campo fu a capo chino.
La situazione in classifica era disperata: Cagliari e Genoa 24, Bologna 23, Milan 22. Quattro squadre per due posti salvezza, con il Como già matematicamente retrocesso. I rossoneri, per restare in A, dovevano vincere a Cesena e sperare nelle sconfitte di almeno due squadre tra felsinei, sardi e genoani, avendo con le tre rivali una migliore classifica avulsa. Il 16 maggio ’82 fu una domenica di passione, emozioni e colpi di scena a getto continuo. Al 63′, dopo il raddoppio del cesenate Piraccini, l’elettroencefalogramma del Milan era piatto. Il gol di Jordan sembrò il canto del cigno di una squadra ormai spacciata.
Quando Francesco Romano indovinò l’incrocio dei pali, con un fendente dalla distanza, la speranza tornò a materializzarsi: 2-2. Con il Genoa sottò di un gol a Napoli ed il Bologna raggiunto dall’Ascoli, bastava segnare il terzo gol per conquistare una clamorosa salvezza. A 9′ dal termine, Antonelli prese palla a centrocampo, superò come birilli tre difensori avversari e, quasi dal fondo, lasciò partire un diagonale che s’insaccò alle spalle di Recchi. Uno dei più bei gol della storia rossonera.
Dopo prodezze del genere, avendo rimontato due reti, la salvezza sembrò il giusto premio per un finale di campionato a buoni livelli. Ma la fortuna si voltò ancora una volta dall’altra parte. Al San Paolo, un errore di Castellini, definito “quel pasticciaccio brutto del portiere napoletano“, regalò il corner che portò al pareggio del Genoa, firmato da Faccenda. A Cesena la festa si trasformò in profonda delusione: al capolinea del campionato 81/82 giungeva un Milan nuovamente retrocesso in B.
L’inutile rimonta in terra romagnola sembrò come l’eroico tentativo di Giro Batol (il coraggioso tigrotto dello sceneggiato televisivo Sandokan) che nel tentativo di uccidere James Brooke, riesce a resistere ai rangers prima di cadere, esanime, ai piedi del Rajah bianco di Sarawak. Le cause di una stagione così negativa furono individuate nell’attacco asfittico (peggio fece solo il Como), nel mancato adattamento di Jordan (appena due reti segnate), spesso relegato da Radice in panchina, nella perdita di capacità realizzativa di Antonelli, appena un anno prima capocannoniere in serie B, non tralasciando lo scarso rendimento di Moro, la brutta copia del giocatore ammirato ad Ascoli.
Per altri, la disfatta rossonera dipese dalla lunga assenza di Franco Baresi. Il libero milanista si sentì male ad inizio ottobre ’81, prima del confronto d’andata contro la Juventus. Si parlò di pubalgia o strappo muscolare, altri ipotizzarono qualcosa di molto grave e in grado di porre fine alla sua carriera. Baresi perdeva peso a vista d’occhio e venne sottoposto ad una lunga serie di esami clinici che scongiurarono la presenza di malattie incurabili.
Il suo rientro in campo, tre mesi e mezzo dopo, diede una scossa positiva all’intero ambiente ma si rivelò tardivo. La squadra, nell’arco del campionato, aveva perso troppi punti che alla fine della stagione si rivelarono decisivi in chiave salvezza. Lo spogliatoio non riuscì o non volle metabolizzare i sistemi e gli schemi di gioco di Radice, allenatore tutt’altro che sprovveduto.
Parecchi anni dopo, Walter Novellino, nel corso di un’intervista per il programma Sfide, smentì la fama di sergente di ferro affibbiata al tecnico di Cesano Maderno, capace di vincere uno scudetto con il Torino (1976) e già insignito del prestigioso “Seminatore d’oro”. Alcuni esperti di questioni rossonere definirono la retrocessione del maggio ’82 come il punto d’uscita di un lungo periodo di crisi societaria, cominciato a metà degli anni settanta, mascherato dalla stella del 1979 e riesploso dopo il primo campionato di serie B.
Eppure, guardando i nomi in rosa, quel Milan avrebbe potuto disputare un campionato d’alta classifica, come pronosticato da Enzo Bearzot alla seconda giornata dopo aver visto i rossoneri all’opera contro la Fiorentina. L’undici base annoverava un portiere d’elevata affidabilità (Piotti), una linea difensiva composta da Tassotti, Maldera (abile anche in zona gol) e Collovati, non tralasciando Baresi, pur indisponibile per larghi tratti del campionato e mal rimpiazzato da Venturi.
Ed ancora, giovani di talento come Romano, Battistini, Evani ed Icardi; uno stantuffo come Buriani, non più ai livelli di qualche anno prima ma pur sempre affidabile; Moro, arrivato dopo aver disputato un’ottima stagione con l’Ascoli e Novellino, chiamato a confermare quanto di buono aveva fatto vedere l’anno precedente. In quanto all’attacco, poi rivelatosi il vero punto dolente di quella stagione, nomi come Joe Jordan (stagionato ma non ancora al tramonto) e Roberto Antonelli non consentivano sogni da primato ma neanche incubi come quelli vissuti dai rossoneri tra settembre 1981 e maggio 1982.
“Una retrocessione gratis dopo quella a pagamento”, commentò sarcasticamente l’avvocato interista Prisco mentre la Juventus, proprio quel 16 maggio di trent’anni fa, festeggiava la conquista della seconda stella. L’unica nota positiva della stagione 81/82 furono i supporters rossoneri, rimasti sempre accanto alla squadra malgrado una mortificante mediocrità. “Oggi, i tifosi sono la parte più sana del Milan”, commentò allora l’indimenticabile Beppe Viola. Aveva ragione.