Agosto 1984, partiva la nuova avventura del tecnico svedese sulla panchina rossonera a cinque anni dallo scudetto della Stella
- Testo di Sergio Taccone, curatore del libro “Milan 1980-’87. Le stagioni del piccolo diavolo” (Storie Rossonere, prefazione di Filippo Galli).
Il 22 agosto ‘84 partiva ufficialmente dal Tardini di Parma, in Coppa Italia, la nuova avventura di Nils Liedholm sulla panchina del Milan. Era passato un lustro dal maggio 1979, il mese che ai rossoneri portò l’attesissimo scudetto della Stella. Subito dopo quel trionfo, il tecnico svedese salutò la squadra, accettando la proposta del presidente romanista Dino Viola. La parentesi giallorossa dell’allenatore svedese fruttò alla Roma il secondo titolo italiano e tre Coppe Italia, con il grandissimo rammarico della finale di Coppa dei Campioni persa in casa, ai rigori, contro il Liverpool. Nell’estate 1984, il tecnico di Valdemarsvik scelse di tornare sulla panchina milanista che aveva già guidato negli anni 60, agli albori della sua carriera di allenatore, e nella seconda metà della decade successiva (1977-’79).
Dopo un’annata senza infamia e senza lode, il presidente Giuseppe Farina avviò una vera e propria rivoluzione, partendo dalla coppia di stranieri. Arrivarono due inglesi: il ventiduenne Mark Hateley (dal Portsmouth) e Ray Wilkins, 27 anni, prelevato dal Manchester United. Una punta molto abile nel gioco aereo, il primo, un organizzatore di gioco abilissimo nei lanci, il secondo. Per Wilkins la società rossonera versò ai Red Devils oltre 2,3 miliardi di lire. Cambiò anche il portiere: Giuliano Terraneo, classe ‘53, dopo sette stagioni sulla sponda granata di Torino, divenne il nuovo guardiapali del Milan, voluto direttamente da Farina.
Un altro rinforzo fu Agostino Di Bartolomei, capitano della Roma campione d’Italia e vice campione d’Europa. Un arrivo salutato con grande soddisfazione dalla tifoseria milanista. All’età di 13 anni, Di Bartolomei aveva rifiutato il club rossonero, dopo la proposta di un emissario del Milan che da qualche tempo lo teneva sotto osservazione, non volendo diventare emigrante agli albori dell’adolescenza. Approdato nel vivaio della Roma alla fine degli anni 60, scelse di lasciare i giallorossi improvvisamente, nell’estate ‘84, in rotta di collisione con la dirigenza e con il nuovo allenatore, Sven Goran Eriksson.
“Sulla mia professionalità nessuno deve aprire bocca. Potrei dire tante cose, ma non farò polemiche. Hanno detto tante cose ma non ho mai dato peso alle meschinità. – dichiarò Di Bartolomei al Corriere dello Sport – Hanno detto che sono troppo amico di gente importante, della stampa, dei giornalisti. Se in qualche caso è vero, ne sono orgoglioso. Perchè me ne vado? Non lo so. Spero solo sia una scelta tecnica, altrimenti la società darebbe prova di debolezza. Lascio da vincitore, non da uomo sconfitto”. Scelse di seguire Liedholm che lo conosceva benissimo e nutriva un grandissimo rispetto nei suoi confronti.
A completare l’undici titolare arrivò Pietro Paolo Virdis, ex Udinese, attaccante dal grande fiuto del gol, ritenuto ottima spalla di Hateley. Per convincerlo bastò una telefonata del vicepresidente rossonero Gianni Rivera. “Mi disse che erano stati i giocatori a consigliare il mio acquisto. Non avrei mai potuto dire di no, accettai con grande gioia. Liedholm costruì quel Milan che Sacchi portò in cima al mondo”, dirà Virdis alcuni decenni dopo. Con il tecnico svedese arrivò anche Luciano Tessari, già vice allenatore romanista nel periodo 1979-’84.
I tifosi salutarono con grande soddisfazione la campagna acquisti della società, la migliore da quando Farina era alla presidenza. Il ciclo del Piccolo Diavolo, sceso due volte in B e prontamente risalito in massima serie, si avviava all’epilogo. Il ritorno di Liedholm e la voglia di far bene dei nuovi arrivati, abituati a lottare per grandi traguardi, furono ottimi segnali.
“Il Diavolo non è brutto come lo dipingevano i tifosi solo pochi mesi fa, nella primavera ‘84 dopo l’esonero di Castagner. – scrisse Marco Montanari del Guerin Sportivo – Allora tutto sembrava compromesso, la strada verso il rilancio lunga e con Farina non amato dalla grande folla che cinque anni prima aveva esaltato Colombo”. Così, nel breve volgere di una stagione, il presidente aveva lasciato il girone degli avari (campagna acquisti ‘83) dove lo avevano collocato i milanisti.
Il 26 luglio ‘84, giorno del raduno della squadra, l’entusiasmo salì alle stelle: almeno tremila tifosi intonarono canti di vittoria. Un’accoglienza di lusso per un Milan che si presentava ai nastri di partenza come una delle protagoniste della nuova stagione. “In tanti anni non avevo mai visto niente di simile, se il Milan partirà con il piede giusto ne vedremo delle belle”, disse il giornalista Gian Maria Gazzaniga, profondo conoscitore di dinamiche calcistiche milanesi.
Anche al terzo piano di via Turati 3, sede della società rossonera, lo staff dirigenziale (Rivera, Cardillo, Ramaccioni, Montanari, Ferrari) non nascondeva l’ottimismo. Giussy Farina, un tempo non lontano denominato “l’uomo del … bambole non c’è una lira”, chiuse il mercato ‘84 con sei miliardi di passivo. Liedholm si trasferì subito a Brunico, sede del ritiro estivo, pronto a cominciare la nuova avventura con il suo Diavolo.
“Il Milan dovrà essere all’altezza del suo blasone, imporre il proprio modulo per puntare in alto. – disse l’allenatore – I giocatori ci sono, occorrerà fare migliorare alcuni sotto il profilo tecnico. Gli acquisti sono ottimi”. Sull’impiego di Franco Baresi, libero o centrocampista, lo svedese aggiunse di volerne parlare con il diretto interessato al suo ritorno dalle Olimpiadi di Los Angeles.
L’affetto dei tifosi sorprese la nuova coppia straniera. “Tifosi fantastici, mi sembra di aver già vinto tutto – disse Wilkins – e invece dobbiamo ancora giocare. La squadra è certamente competitiva”. Anche Terraneo palesò entusiasmo. Di Bartolomei rimase sorpreso: non credeva di ricevere un’accoglienza così calorosa. “Devo ringraziare Liedholm di tutto questo”, disse l’ex capitano giallorosso.
Con Baresi, Battistini e Filippo Galli negli States per il torneo olimpico, a fare gli onori di casa provvidero Evani, Icardi, Tassotti, Carotti, Manzo, Incocciati e Verza. Un Milan dall’età media bassa si apprestava a preparare la nuova annata. L’ingorgo creatosi in via Turati costrinse l’assessore comunale al Traffico a cercare disperatamente Rivera per chiedergli di accelerate le operazioni. Se il pullman coi giocatori non sarebbe partito al più presto si rischiava il tracollo in quel quartiere.
Farina si presentò sorridente davanti alla schiera di giornalisti. “Abbiamo fatto del nostro meglio, abbiamo una bella squadra. Tutto secondo il programma che stilai due anni fa. Lo scudetto? Non rientra nei piani di partenza e la concorrenza è agguerrita”. Indicò nell’allenatore il migliore acquisto. “Liedholm per me è un ottimo direttore d’orchestra, un grande professionista. Tra i giocatori, Wilkins ce lo siamo accaparrati subito, è un grande giocatore. Hateley era un rincalzo di Rush e Voeller. E’ giovane, nella nazionale inglese Under 21 campione d’Europa ha fatto ottime cose e non deluderà”.
Tra le curiosità di quella stagione vi fu la maglia affidata in alcune partite a Franco Baresi: la numero 2 al posto della consueta numero 6. Liedholm schierò Di Bartolomei al vertice basso del centrocampo, Wilkins ebbe in consegna le chiavi del gioco rossonero, con Battistini pronto a garantire inserimenti e dinamismo. Verza fu destinato all’ala destra, cercando di sfruttare la fantasia e le capacità tecniche in possesso del giocatore alla sua terza stagione con il Milan. Evani agì in difesa, sulla fascia sinistra e, alla bisogna, a centrocampo. In mediana trovò spazio Andrea Icardi mentre Tassotti e Filippo Galli furono le altre prime scelte del reparto difensivo. In avanti, con Virdis e Hateley titolari, una valida alternativa fu Giuseppe Incocciati. Altri rincalzi furono il portiere Giulio Nuciari, il difensore Luigi Russo, i centrocampisti Andrea Manzo, Gabriello Carotti e Roberto Scarnecchia, quest’ultimo giunto dal Pisa nella sessione autunnale di mercato.
Il Milan di Liedholm partì con il piede giusto. Sul campo del Parma, nell’esordio del girone iniziale di Coppa Italia, i rossoneri s’imposero 2-1, rimontando l’iniziale rete di Aselli grazie ad un rigore di Di Bartolomei e ad un gol di Hateley. I padroni di casa, neopromossi in B, guidati da Marino Perani, si presentarono in avanti con la coppia Macina–Barbuti. Il primo vestirà la maglia rossonera un anno dopo, il secondo risulterà protagonista a San Siro, con la maglia dell’Ascoli, nel settembre ‘86.
Dopo il successo di Parma, la prima partita ufficiale a San Siro non fu proprio una passeggiata per il Milan, costretto ad inseguire il Brescia guidato dal tecnico Pasinato. Un rigore trasformato da Di Bartolomei pareggiò i conti dopo il vantaggio ospite siglato da Gritti. Nel finale, l’arbitro Pellicanò espulse Hateley. Battuta in trasferta la Carrarese, il Milan dovette accontentarsi di un altro pari casalingo: contro il Como di Ottavio Bianchi non bastò un gol di Battistini, i lariani trovarono il pari con Todesco. Chiuso al primo posto il girone di Coppa Italia, in campionato la squadra di Liedholm centrò due successi e quattro pareggi.
Mark Hateley si ambientò subito. L’ariete britannico andò in rete, a San Siro, già nella partita d’esordio contro l’Udinese. “Si è capito subito che con questo inglese la musica è cambiata in meglio per il Milan”, commentò Gianni Vasino dai microfoni di 90° Minuto. Hateley rifilò una doppietta alla Cremonese e siglò il secondo gol alla Roma nel vittorioso incontro sbloccato dall’ex Di Bartolomei. Le altre partite d’inizio campionato si conclusero con tre pareggi: a Firenze (0-0), contro la Juve a Torino (1-1) e a Napoli (0-0).
Alla settima giornata, un Diavolo imbattuto si apprestò a disputare il derby. La stracittadina del 28 ottobre ‘84 fu resa indimenticabile dal gol di testa proprio di Mark Hateley, capace di sovrastare un difensore di classe come Fulvio Collovati, titolare dell’Italia campione del mondo, scagliando verso un incredulo Zenga un autentico proiettile, finito in fondo alla rete alla sinistra del portiere interista. Un gol che consegnò la vittoria al Milan che non vinceva un derby da sei anni. Il centravanti inglese, quel giorno, toccò il punto più alto, indelebile, della sua triennale esperienza rossonera. Il suo infortunio al ginocchio abbassò non di poco la forza offensiva della squadra di Liedholm, fermando l’ascesa del centravanti inglese che fino alla sfida contro l’Inter sembrava inarrestabile.
Il quinto posto finale in classifica, a pari merito con la Juventus, confermò la buona stagione del Milan. Liedholm riportò il Diavolo in Europa, qualificandosi per la Coppa Uefa. Andò male, invece, la finale di Coppa Italia, con i rossoneri sconfitti dalla Sampdoria di Bersellini. Quella stagione è passata alla storia, inoltre, per la prima presenza in serie A di Paolo Maldini. Liedholm fece esordire il giovane difensore, classe ‘68, nella trasferta di Udine. Era il 20 gennaio 1985.
- Testo di Sergio Taccone, curatore del libro “Milan 1980-’87. Le stagioni del piccolo diavolo” (Storie Rossonere, prefazione di Filippo Galli).