Di tutte le squadre di calcio del mondo, nessuna come il Santos è legata a un nome solo: Pelé.
La Juventus ha avuto come eroi, nelle varie epoche, Combi, Boniperti, Platini, Zidane, il Real Madrid viene ricordato per le gesta di Di Stefano, Gento, Santillana, Hugo Sanchez, Raul. Per il Liverpool si possono ricordare Shankly, Keegan, Dalglish, Rush. Nella storia del Bayern si sono messi in evidenza Beckenbauer, Müller, Rummenigge, Matthäus. Per il Santos, una delle società più titolate della storia del calcio, il nome è solamente quello di Pelé: prima e dopo di lui, il vuoto.
Fondato nell’omonima città dello Stato di São Paulo il 14 aprile dei 1912 da Raimundo Marques, Mario Ferraz e Argemiro de Souza, fino alla metà degli anni Cinquanta è uno dei club di secondo piano sulla scena calcistica paulista. Il suo albo d’oro, infatti, comincia e termina con un’affermazione nel campionato locale nel 1935, sotto la guida di Virgilio Pinta de Oliveira, detto Bilù.
La prima pietra dello squadrone che dominerà il mondo viene posta nel giugno del 1954, quando sulla panchina dei «peixeiros» si siede Luis Alonso Perez detto Lula, che prende il posto dell’italiano Giuseppe Ottina. Il nuovo tecnico, che non è certo l’ultimo arrivato, conduce la squadra al suo secondo titolo assoluto. Tra gli uomini a sua disposizione, Lula ha elementi di grande spessore tecnico come le due ali Dorval e Pepe, la mezzala Del Vecchio (che giocherà in seguito anche in Italia con Verona, Napoli e Padova), il mediano Zito.
Nell’estate del 1956 la seconda svolta. A Vila Beimiro, sede del Santos, approda un ragazzino di colore proveniente da Bauru, conosciuto come Dico. Il giovanotto ha nemmeno sedici anni, ma la raccomandazione di Valdemar de Brito, vecchio campione del Brasile anni ’30, gli vale un contratto a 6.000 cruzeiros mensili. Con Dico ormai divenuto per tutti Pelé, il Santos conquista il titolo paulista nel 1958 grazie alle 58 reti del suo fuoriclasse, che rappresentano un exploit assoluto in quanto record di marcature del torneo, sino a quel momento detenuto da Luis Macedo detto Feitigo, anche lui del Santos, che nel 1931 aveva messo dentro 39 palloni.
L’anno seguente il Santos effettua una lunghissima tournée europea: la formazione brasiliana disputa incontri a Rotterdam, Milano, Dusseldorf, Norimberga, Ginevra, Amburgo, Hannover. Ormai la presenza del diciannovenne campionissimo attira pubblico in ogni parte del mondo: l’ingaggio per convincere il Santos a disputare un’amichevole si alza ogni settimana di più, salendo a livelli stratosferici. Nel 1960 i bianchi tornano in Europa, visitando Monaco, Francoforte e Berlino. È in particolare a Monaco che il Santos entusiasma: batte per 9-1 il locale 1860 con tre reti di Pelé. Il pubblico tedesco riserva ai giocatori paulistas un’interminabile ovazione di applausi.
Nello stesso anno il Santos conquista nuovamente il titolo regionale, superando nella finalissima il Portoguesa con una rete della «perla nera». Il 1961 inizia in maniera sfortunata per l’asso brasiliano. Il 2 febbraio, nel corso di un’esibizione in terra messicana contro il Necaxa, Pelé si scontra con il portiere locale Dellacha, famoso estremo difensore argentino, perdendo conoscenza dopo l’impatto. La diagnosi, una volta che il giocatore è stato trasportato in ospedale, è di una profonda contusione alla spalla e di una semiparalisi al braccio sinistro. Non ci sono fratture, ma Pelé deve sospendere l’attività per qualche tempo.
I giornali brasiliani iniziano una formidabile campagna di stampa in difesa del proprio beniamino: come difenderne l’incolumità dal gioco violento di chi può ricorrere solamente a mezzi scorretti per fermarlo? È per questo che Pelé viene indotto a rinunciare alla successiva tournée europea del Santos. Ma non appena si sparge la notizia che la squadra è partita senza il suo numero uno, si eleva forte la protesta di chi si era garantito la sua presenza. A Monaco, contro il Bayern, il Santos vince per 3-2, ma lo stadio è semivuoto. In Belgio, addirittura, i brasiliani non riescono a vincere nemmeno uno dei tre match in programma.
I dirigenti della società si trovano scoperti di fronte alle minacce di annullamento dei contratti, e quindi al rischio di perdere montagne di dollari sonanti, che in Brasile cominciano a far molto comodo, dato che il Paese si trova su livelli astronomici di inflazione. Pelé «monetizza» un accordo con i propri dirigenti: si recherà in Europa, giocherà, ma con un sensibile ritocco dello stipendio. Non appena la «Perla» si unisce ai compagni di squadra, il Santos cambia pelle. A Basilea, contro una squadra in piena forma, i paulistas vincono 8-2 con quattro reti del figliol prodigo. La squadra prende parte poi al Torneo di Parigi e alla manifestazione chiamata «Italia 61», che celebra il centenario dell’unità.
Il già ricco conto in banca di Pelé aumenta a dismisura: il giocatore è oggetto dell’interesse dei pubblicitari, che in lui vedono naturalmente un imbattibile testimonial. La sua immagine non è macchiata dai vizi: non beve, non fuma, non è (ufficialmente) un donnaiolo. Tutta la sua vita è il pallone. Nel 1962, il Brasile conquista la seconda Coppa Rimet sui terreni cileni. Pelé c’è e non c’è, non offre certamente lo spettacolo regalato quattro anni prima in Svezia, ma alla fine può godere, a ventidue anni, del secondo titolo mondiale personale.
Qualche settimana dopo la fine della kermesse cilena, il Santos (che aveva fornito, oltre a Pelé, anche il portiere Gilmar e il mediano Zito alla Seleção campione) si trova ad affrontare la fase finale della Coppa Libertadores, alla quale prende parte per la prima volta. Alle prime due edizioni del torneo sudamericano per club hanno partecipato, in rappresentanza del Brasile, due formazioni che hanno fallito la conquista: il modestissimo Bahia nel 1960 e il deludente Palmeiras nel 1961. Il Santos si presenta ai nastri di partenza tra le grandi favorite al fianco dei detentori del trofeo, gli uruguaiani gialloneri del Peñarol, e degli argentini del Racing Avellaneda.
L’undici base del Santos, in quel periodo, è composto da una difesa attenta e di classe: tra i pali Gilmar dos Santos Neves, portiere della Seleção di entrambi i trionfi mondiali; i due terzini laterali (non dimentichiamo che il Santos gioca, come tutte le compagini brasiliane, con la difesa in linea) si chiamano Lima, un autentico difensore-attaccante di fascia, e Dalmo, il meno conosciuto ma uno dei più efficaci elementi della squadra, oltretutto grandissimo specialista dal dischetto.
Al centro della retroguardia svettano Mauro Ramos de Oliveira, imbattibile nel gioco aereo, e Raul Calvet. Il centrocampo si avvale della lucida impostazione di Ely Miranda Zito, mediano arretrato con la licenza di segnare e del piede raffinato di Mengalvio Figueiro, uomo di grande temperamento.
L’attacco a quattro punte prevede la presenza da destra a sinistra, della velocissima ala Dorval, del centravanti Wilson Honorio Coutinho (grandissimo amico di Pelé, bloccato quasi sul nascere di una eccezionale carriera a causa di un originalissima malattia che lo porterà nel giro di pochi anni a uno spaventoso ingrassamento), di Pelé e dell’ala sinistra Pepe, fulgido bomber dalla straordinaria potenza e precisione di tiro. Tra le riserve c’è un certo Nené, che un paio d’anni dopo passerà alla Juventus e quindi al Cagliari, con il quale conquisterà lo storico scudetto del 1970.
Dopo aver fatto polpette dei boliviani del Deportivo Municipal e dei paraguaiani del Cerro Portene, il Santos trova in semifinale un ostacolo più duro del previsto. È la Universidad Católica di Santiago, che cede ai ben più blasonati e forti avversari solo dopo un risicato 0-1 fuori casa, che fa seguito a un pareggio per 1-1 in Cile. In finale, giustamente, si trovano le due squadre migliori: Santos e Peñarol.
Nell’andata di Montevideo, Pelé non c’è: il suo posto, come leader dell’attacco, viene rilevato da Coutinho, che realizza le due reti del successo per 2-1. Nel retour-match di Vila Beimiro, si scatena a una decina di minuti dalla fine la furia dei sostenitori locali, che costringono l’arbitro cileno Robles a sospendere l’incontro sul 3-3. Negli spogliatoi, la doccia fredda: l’arbitro comunica di ritenere chiusa la partita sul 3-2, e che il terzo gol dei padroni di casa, firmato da Pagão, non è assolutamente valido. Si rende necessaria la «bella», che il Santos si aggiudica meritatamente al Monumental di Buenos Aires con un perentorio 3-0, reti di Pelé (2) e Coutinho.
Ma la stagione non è ancora terminata: si deve giocare a questo punto la doppia sfida per la Coppa Intercontinentale contro i campioni d’Europa del Benfica. Una battaglia dal leit-motiv tutto portoghese, viste le nazionalità delle due contendenti. A Rio, teatro dell’incontro d’andata, il Santos vince 3-2. Eusebio e compagni si sentono convinti di poter recuperare il minimo svantaggio nel cuore dell’Estadio da Luz di Lisbona. E invece Pelé offre, davanti agli occhi di centomila spettatori esterrefatti, uno spettacolo dell’altro mondo. Tre gol suoi, due di Coutinho (gentilmente offerti su un piatto d’argento dal compagno) e il Santos si trova a condurre per 5-0. Le due reti di Eusebio e Santana servono solamente a rendere ancor più onore ai vincitori.
Il Santos è ufficialmente campione del mondo: un titolo che, sul piano morale, già apparteneva ai paulistas. Di Pelé, in questo periodo, viene scritto: «Senza di lui, il Brasile perde almeno il trenta per cento del suo potenziale; il Santos, la metà». Nella Libertadores del 1963, il Santos riesce nell’eccezionale impresa di confermarsi campione. Lo schieramento dei bianchi è praticamente identico a quello dell’anno precedente, anche se sono intervenute alcune modifiche nelle posizioni occupate dai singoli.
A tenere alta la bandiera «Ordem e Progresso», oltre al Santos, c’è il Botafogo carioca, campione della Taça Brasil del 1962, un torneo cui Pelé e compagni non hanno preso parte per la moltitudine di impegni. È proprio con i «cugini» che il Santos deve misurarsi per ottenere l’accesso alla finale. La prima partita si gioca a Rio: il Botafogo, forte di fuoriclasse come Garrincha, Amarildo, Nilton Santos, appare leggermente favorito. La sfida si chiude invece in parità, e al ritorno il Santos dilaga: 4-0 il risultato.
La finalissima offre uno scontro classico, quello tra il futebol bailado dei brasiliani e il calcio più sostanzioso sul piano atletico degli argentini. Di fronte al Santos c’è un formidabile Boca Juniors, la formazione zeneise di Buenos Aires guidata proprio da Vicente Feola, il tecnico napoletan-brasiliano che aveva condotto la Seleção al titolo mondiale in Svezia nel 1958. Nelle file del Boca giocano il portiere Roma, l’eclettico terzino Marzolini, il mediano Rattin, famoso per la sua grinta, e il centravanti Sanfilippo, tra i migliori cannonieri dell’intera storia del calcio argentino.
L’andata si disputa al Maracanà di Rio. Il Santos parte alla grande e si porta sul 3-0 con reti di Coutinho (2) e Lima. Ma poi sale in cattedra proprio Sanfilippo, che con una doppietta rimette quasi in parità le sorti della contesa. L’incontro della Bombonera di Buenos Aires è entusiasmante: ancora Sanfilippo segna il vantaggio del Boca, ma questa volta è Pelé a mostrare miracoli: prima regala a Coutinho il pallone del pareggio dopo essersi bevuto mezza difesa, portiere compreso. Quindi, a dieci minuti dal termine, segna il gol del 2-1 con una imprendibile rovesciata.
La difesa della Coppa Intercontinentale è difficile: di fronte al Santos c’è il fantastico Milan di Rivera. Ai brasiliani occorrono tre partite (2-4, 4-2, 1-0) e la complicità dell’arbitro Brozzi per avere ragione dei rossoneri.
L’anno seguente, inizia la parabola discendente. Nella Libertadores, i bianchi si fermano alla semifinale: a eliminarli è l’Independiente di Avellaneda, che vince entrambe le gare (3-2 e 2-1). Nel frattempo, il Santos torna al successo nel campionato nazionale, ma anche nella successiva edizione del torneo sudamericano esce in semifinale per mano del Peñarol, che si impone dopo tre straordinarie sfide (5-4 per il Santos, 3-2 per gli uruguaiani nel ritorno con conclusivo 2-1 ai supplementari nella «bella»).
Nel 1966 le formazioni brasiliane non si presentano ai nastri di partenza della competizione, rifiutandosi di accettare il nuovo regolamento del torneo, che prevede la partecipazione di due squadre per Paese. In quella stessa stagione, il Santos perde in finale la Taça Brasil di fronte al Cruzeiro di Belo Horizonte e quindi rinunciano all’iscrizione alla Libertadores. Lo squadrone di qualche anno prima, nonostante la presenza di Pelé nelle sue file, non esiste più. Eppure vestono la maglia bianca campioni del calibro di Carlos Alberto, Rildo, Clodoaldo: il primo e il terzo saranno colonne della Seleção che a Messico 70 conquisterà definitivamente la Coppa Rimet.
Nel 1968 il Santos si aggiudica la Taça de Prata, il campionato nazionale, e il suo centravanti Toninho è capocannoniere con 18 reti. L’epopea del Santos è ormai giunta a termine: tra il 1955 e il 1968, il periodo di massimo fulgore della società, sono stati vinti otto titoli paulistas (1955, 1956, 1958, 1960, 1961, 1962, 1964 e 1965), tre tornei «Rio-São Paulo» (una sorta di Campionato nazionale ante-litteram) nel 1959, 1963 e 1964, tre «Taças Brasil» nel 1961, 1963 e 1964, due Coppe Libertadores nel 1961 e 1962, due Coppe Intercontinentali nel 1962 e 1963.
Artefice numero uno dei momenti d’oro del Santos, accanto a Pelé, è il tecnico Luis Alonzo Perez, «Lula». Primatista brasiliano di fedeltà (fatto piuttosto raro in questo Paese) alla stessa squadra, Lula morirà poi in miseria, dimenticato da tutti, nel 1972.
La storia potrebbe finire qui: tutto quello che accade dopo il 1973, anno dell’abbandono del Santos da parte di Pelé, conta poco o nulla. Qualche sprazzo di gloria qua e là, qualche giocatore di una certa fama (su tutti, Robinho e Neymar), ma ormai il Santos «vero» è morto. Nessun club al mondo può identificarsi in un solo nome come nel caso del Santos e di Pelé. Nessun club al mondo, oggi come oggi, vive solo in funzione del suo passato.