Il Brasile più strano di sempre

La Seleção: gioia di giocare, di regalare spettacolo ai tifosi e a tutti gli appassionati, senza per questo pregiudicare il risultato finale. Divertimento e successi. Una samba vincente. Ma tutto ciò venne clamorosamente a mancare ai Mondiali del 1974…

  • di Daniele Cerri

Dopo il “dramma nazionale” del 1950, passato alla storia come Maracanazo, e dopo l’eliminazione ai quarti di finale nel 1954 ad opera della “Squadra d’Oro” ungherese, il Brasile vince tre volte su quattro la Coppa del Mondo (all’epoca chiamata Coppa Rimet) nel periodo che va dal 1958 al 1970. S’impone così come la prima potenza del calcio mondiale.

Vi riesce grazie a tanti giocatori entrati nella leggenda, tra cui, ovviamente, l’immenso Pelé. E a una visione del calcio inteso come tecnica, fantasia, agilità felina e gioia. Gioia di giocare, di regalare spettacolo ai tifosi e a tutti gli appassionati, senza per questo pregiudicare il risultato finale. Divertimento e successi. Una samba vincente. Ma tutto ciò viene clamorosamente a mancare ai Mondiali del 1974, in particolare nella gara in cui un irriconoscibile e rissoso Brasile viene eliminato dall’Olanda del Calcio Totale.

Facciamo però un passo indietro. Alla Coppa del Mondo del 1970 i carioca colgono forse il loro più straordinario successo, tanto da essere considerati da molti come la nazionale più forte di sempre. Una squadra offensiva al massimo, che non si fa problemi a schierare cinque attaccanti, o meglio, cinque giocatori che nella loro squadra di club indossano la maglia numero 10: Pelé, Jairzinho, Rivelino, Tostão e Gerson. Completano l’undici titolare il mediano Clodoaldo, i difensori centrali Piazza e Brito, l’accorto terzino sinistro Everaldo, l’elegante terzino destro Carlos Alberto, capitano della squadra, e in porta il non molto alto ma elastico Felix, detto “Papel” proprio perché capace di volare da un palo all’altro come un pezzo di carta sospinto dal vento.

I fantastici cinque numeri 10: Jairzinho, Gerson, Tostao, Pelé e Rivelino

Il commissario tecnico è Mario Zagallo, che ha vinto da calciatore i Mondiali del 1958 e del 1962 e che è stato frettolosamente chiamato a sostituire João Saldanha pochi mesi prima dell’inizio della manifestazione. Quest’ultimo, infatti, era in pessimi rapporti con Pelé, tanto da mettere in giro la diceria che O Rey non fosse in grado di giocare a causa di problemi alla vista; ma, soprattutto, Saldanha non era gradito al Presidente del Brasile, il generale Emílio Garrastazu Médici, che stava attuando una svolta autoritaria nel paese e non tollerava più quell’allenatore, ex calciatore ed ex giornalista, dalle mai celate simpatie comuniste.

Per i verdeoro l’edizione della Coppa del Mondo di Messico ’70 si apre il 3 giugno a Guadalajara con la vittoria per 4-1 sulla Cecoslovacchia e si conclude il 21 dello stesso mese allo stadio Azteca di Città del Messico, battendo in finale l’Italia con il medesimo risultato. Una cavalcata trionfale: sei vittorie su sei partite, diciannove gol all’attivo e conquista definitiva della Coppa Jules Rimet (da regolamento FIFA, infatti, la prima nazionale a vincere tre volte il trofeo se lo sarebbe aggiudicato una volta per tutte).

Elencare i gesti tecnici e le situazioni indimenticabili visti in quelle sei partite sarebbe troppo lungo. Possiamo citarne alcuni, in ordine sparso, come frammenti di una grande storia, una di quelle che non si dimenticano. Ad esempio, ci vengono in mente le rasoiate di Rivelino o i gol in serie di Jairzinho, primo giocatore a segnare in tutte le partite del Mondiale. O la serpentina di Tostão, che penetra all’interno dell’area di rigore dell’Inghilterra campione in carica e mette in mezzo la palla che poi Jairzinho scaraventa in rete dopo un illuminante assist di O Rey. Oppure uno dei “quasi gol” più belli di sempre: in semifinale contro l’Uruguay Tostão lancia Pelé, che con una finta perfetta nella sua impercettibilità mette a sedere il portiere Mazurkiewicz, lo aggira e poi calcia da posizione defilata, mettendo fuori di un soffio. O ancora Pelé, che in finale sblocca il risultato di testa superando Tarcisio Burgnich di varie spanne.

Pelè sovrasta Burgnich e batte Albertosi nella finale di Mexico 70

O, per finire, l’ultimo gol in finale: nella sua metà campo Clodoaldo danza con la palla tra i piedi, ipnotizzando quattro avversari che tentano invano di togliergliela, poi passa a Rivelino che lancia sulla fascia sinistra Jairzinho; l’ala scatta e crossa in mezzo per il solito Pelé, che con quattro tocchi, praticamente da fermo, si aggiusta il pallone e lo piazza sulla mattonella perfetta per l’accorrente Carlos Alberto, la cui staffilata va a gonfiare la rete alle spalle di Albertosi. Ricordi amari per gli azzurri, surclassati da una squadra inarrivabile. Ma giungerà anche il tempo della rivalsa, dodici anni più tardi, con la strepitosa vittoria per 3-2 durante il Mundial spagnolo.

Dopo una simile apoteosi, le cose cominciano a cambiare. In Europa ancor prima che in Brasile. In Olanda, infatti, esplode il fenomeno del Calcio Totale, quello stile di gioco che non blocca nessun calciatore in una posizione fissa e che applica in modo sistematico pressing e fuorigioco.

Epicentro di questa rivoluzione è l’Ajax del geniale allenatore Rinus Michels (che a partire dalla stagione 1971/72 lascia la panchina al rumeno Ştefan Kovács) e del fuoriclasse Johan Cruijff, attorno al quale giostrano altri grandissimi come Johan Neeskens, Ruud Krol, Arie Haan, Johnny Rep, Wim Suurbier. I Lancieri di Amsterdam vincono tre Coppe dei Campioni consecutive dal 1971 al 1973, più altri titoli e trofei. L’obiettivo è di traslare il loro calcio visionario dal club alla nazionale per portare gli Orange sul gradino più alto del podio nell’edizione della Coppa del Mondo del 1974, organizzata in Germania Ovest.

La fantastica Olanda 1974

Per questo motivo la Reale federazione calcistica dei Paesi Bassi affida la panchina a Michels, vero inventore del Totaalvoetbal, nonostante questi sia ancora l’allenatore del Barcellona, squadra di cui ha preso le redini dopo la sua partenza da Amsterdam nel 1971.
Michels convoca per la spedizione in Germania il nucleo fondamentale dell’Ajax, a cui aggiunge il portiere Jan Jongbloed del Football Club Amsterdam (che scenderà in campo con la maglia numero 8 invece del tradizionalissimo 1, quasi una rappresentazione plastica della rivoluzione in corso), il difensore Rijsbergen e i centrocampisti Jansen e van Hanegem, tutti e tre del Feyenoord, e l’ala sinistra Rob Rensenbrink, che da qualche anno si è trasferito in Belgio e sta vivendo una stagione ricca di vittorie con i biancomalva dell’Anderlecht.
L’“Arancia Meccanica” è pronta a diventare la prima detentrice della nuova, sontuosa Coppa realizzata dall’artista italiano Silvio Cazzaniga.

E il Brasile come si presenta ai Mondiali del ’74? Pelé ha dato l’addio alla Seleção nel 1971 e in Germania Ovest ci va solo come ospite d’onore. Tostão ha dovuto abbandonare prematuramente il calcio a causa di un problema alla retina che gli ha causato un calvario di cinque interventi chirurgici. Gerson, ormai ultratrentenne, ha perso smalto ed è uscito dal giro della nazionale, e come lui altri protagonisti di quattro anni prima. Clodoaldo e Carlos Alberto sarebbero arruolabili, ma s’infortunano pochi mesi prima dell’inizio della manifestazione.

Alla fine Zagallo, confermato CT, può contare solo su sette giocatori che hanno fatto parte della rosa di Messico ‘70, tra cui due dei cinque “numeri dieci”: Rivelino e Jairzinho. Tra gli esordienti in Coppa del Mondo, convoca i difensori Marinho Peres, Marinho Chagas (noto per la sua fluente chioma bionda e per lo stile di vita sregolato), Luís Pereira e Nelinho (terzino abilissimo nei tiri a effetto); il centrocampista Carpegiani e gli attaccanti Valdomiro, Mirandinha e Leivinha.

Dirceu, Leivinha, Valdomiro: le nuove leve del Brasile post-Pelè

Ma il più talentuoso della nuova generazione è certamente Dirceu, classe ’52, al Botafogo dal 1973, dove ha come compagno di squadra Jairzinho, che considera il suo maestro. Fantasista dal sinistro magico, nella sua lunga carriera Dirceu disputerà tre Mondiali e militerà in molti club, tra cui l’Atletico Madrid e, negli anni Ottanta, Verona, Napoli, Ascoli, Como e Avellino. Morirà nel 1995, a soli quarantatré anni, in un incidente stradale.

La Coppa del Mondo del 1974 si svolge dal 13 giugno al 7 luglio. Vi partecipano sedici nazionali, inizialmente divise in quattro gruppi da quattro squadre ciascuno, di cui si qualificano alla fase successiva le prime due di ogni gruppo. Per la prima volta, il regolamento prevede che le otto rimaste non si scontrino ad eliminazione diretta, ma vadano a formare altri due gruppi da quattro squadre. Le prime di ciascun gruppo accedono alla finalissima, le seconde devono accontentarsi della finale per il terzo e quarto posto.

Tutto fa pensare che questa formula sia stata ideata per aumentare il numero delle partite giocate e, di conseguenza, il giro economico legato alle televisioni e agli sponsor. Certo è che la soppressione della fase a eliminazione diretta toglie pathos al torneo, privandolo di quegli incroci in cui ci si gioca tutto e che spesso hanno fatto la storia di questa competizione.

L’Olanda vince il primo girone eliminatorio superando 2-0 l’Uruguay, pareggiando 0-0 contro un’arcigna Svezia e sconfiggendo con un sonante 4-1 la Bulgaria. Cruijff dirige con maestria le vorticose azioni degli Orange, Neeskens è il suo braccio destro, Rep si mette in luce siglando tre gol in tre partite.

Olanda-Bulgaria 4-1: un plastico esempio della difesa olandese schierata

Nel suo girone, invece, il Brasile non va oltre lo 0-0 nelle prime due gare contro Jugoslavia e Scozia, poi batte per 3-0 lo Zaire, match ricordato soprattutto per il calcio di punizione “al contrario” battuto dal difensore zairiano Joseph Mwepu Ilunga. Un inizio deludente per i campioni in carica, che si qualificano come secondi e solo grazie alla differenza reti.

Da regolamento, i due gruppi successivi, quelli da cui usciranno le finaliste, sono così composti. Gruppo A: vincente del gruppo 1 (Germania Est) e del gruppo 3 (Olanda), seconda classificata del gruppo 2 (Brasile) e 4 (Argentina). Gruppo B: vincente del gruppo 2 (Jugoslavia) e 4 (Polonia), seconda classificata del gruppo 1 (Germania Ovest) e del gruppo 3 (Svezia). Brasile e Olanda si ritrovano dunque nello stesso girone. Il calendario prevede che s’affrontino sul campo all’ultima giornata.

La macchina olandese continua a funzionare a pieno regime: distrugge 4-0 l’Argentina (superba la prestazione di Cruijff, che segna una doppietta, Krol e Rep completano le marcature) e batte 2-0, con reti di Neeskens e Rensenbrink, la sorprendente Germania Est, che una decina di giorni prima ha superato per 1-0 i tedeschi dell’Ovest in uno scontro dal sapore inevitabilmente storico.

Tuttavia, dopo lo scialbo inizio, anche la Seleção coglie due vittorie importanti: 1-0 sulla Germania Est grazie a una punizione del maestro Rivelino, e 2-1 contro i rivali storici dell’Argentina (ancora Rivelino con un gran tiro da fuori e gol vittoria di Jairzinho, che mette dentro di testa raccogliendo un bel cross di Maria).

Rivelino risolve su punizione il match contro la Germania Est

A questo punto Olanda e Brasile hanno entrambi quattro punti, però i tulipani possono contare su una migliore differenza reti e quindi gli basterebbe un pareggio per raggiungere la finale di Monaco di Baviera. Ma è improbabile che si accontentino di un pari. Vogliono dimostrare al mondo che il loro calcio è il migliore e per questo devono fare lo scalpo a coloro che, dagli anni Cinquanta, sono considerati i più forti. Ecco che la partita, da semplice giornata conclusiva del girone, diventa una sorta di semifinale che mette a confronto scuole e generazioni differenti. Un “dentro o fuori” tra vecchi e nuovi maestri.

OlandaBrasile si gioca al Westfalenstadion di Dortmund il 3 luglio alle 19:30. Gli olandesi schierano Jongbloed in porta; Krol, Haan, Rijsbergen e Suurbier in difesa; Jansen, Neeskens e van Hanegen a centrocampo; Rep, Rensenbrink e naturalmente Johan Cruijff davanti. I sudamericani rispondono con Leão tra i pali; una difesa a quattro composta da Zé Maria sulla destra, Luís Pereira e Marinho Peres centrali, Marinho Chagas sulla sinistra; in mezzo al campo il numero 10 Rivelino affiancato da Paulo César e Carpegiani; infine il tridente d’attacco formato da Valdomiro sulla destra, Dirceu sulla sinistra e Jairzinho in posizione di centravanti. Arbitra il tedesco Kurt Tschenscher.

Fingiamo per un attimo che un fortunato spettatore, che ha potuto assistere dal vivo ai Mondiali messicani del ’70, si ritrovi adesso sugli spalti e faccia un confronto. Oppure, più semplicemente, che un telespettatore dotato di televisione a colori (in Italia arriverà solo nel 1977) si piazzi davanti allo schermo e ripensi a quattro anni prima. In ogni caso la differenza tra le due edizioni è evidente: non più gli spazi ampi, i colori caldi e la torcida visti in Messico; al loro posto la penombra della sera tedesca, la temperatura freddina nonostante la stagione estiva, un pubblico non così numeroso per l’evento e che non sembra nemmeno troppo entusiasta di assistervi. Anche lo stadio, inaugurato pochi mesi prima, appare piccolo e anonimo.

I 22 con la terna arbitrale schierati nel tetro catino del Westfalenstadion di Dortmund

Tuttavia ciò che colpirebbe di più i nostri ipotetici osservatori sarebbe di certo l’impatto con la Seleção, anche dal semplice punto di vista visivo: i brasiliani, al posto della divisa verdeoro, indossano la seconda maglia, di un blu cupo che mal si abbina ai pantaloncini azzurri e ai calzettoni bianchi. Inoltre il look dei sudamericani è un trionfo di capelli incolti, basette che scendono fino alla mandibola, baffoni da bandolero. È la moda del momento, e poi si tratta di gusti personali, quindi niente da dire. Ma anche da questi particolari, procedendo in modo intuitivo e per associazioni, ci si accorge subito di non avere davanti la squadra che ci aspetteremmo, creativa e solare.

L’”effetto straniante” aumenta quando l’arbitrio fischia l’inizio e la trama dell’incontro comincia a delinearsi. È un Brasile contratto e sfilacciato, che comunque tenta di riproporre il suo calcio sornione, fatto di ritmi lenti e possesso palla. Ma gli olandesi non ci stanno, pressano con aggressività, talvolta troppa, e accelerano. Anche se in modo meno spinto del solito, cominciano a variare improvvisamente la manovra, a cambiare posizione, a farsi trovare dai compagni in zone del campo inaspettate per gli avversari.

I brasiliani se ne accorgono bene al 21’, quando van Hanegem, con uno splendido assist in verticale, pesca in piena area di rigore il difensore Suurbier, che evita la scivolata di Luís Pereira, diretta allo stinco, e fa partire un tiro secco, ribattuto dal portiere Leão con un grande intervento; sulla respinta Luís Pereira recupera la palla ma Suurbier lo atterra per vendicarsi dell’entrataccia di pochi attimi prima, l’arbitro ferma il gioco e si accende una mezza rissa, da cui Luís Pereira esce ammonito.

La leggerezza di Cruijff e la fatica di Jairzinho

Nei campioni in carica cresce la frustrazione, i loro sguardi si fanno torvi. Ormai hanno saggiato la qualità tecnica e la superiorità atletica degli Orange (in realtà stasera completamente in bianco, di arancione hanno solo i calzettoni e i numeri sulla schiena) e si sono fatti innervosire dal loro furioso recupero palla. È plausibile che anche qualche provocazione verbale contribuisca ad accendere gli animi.

I brasiliani capiscono che questa non è la loro partita, ma non vogliono cedere. E allora cominciano a picchiare. Decidono di passare al lato oscuro del calcio sudamericano, che è capace di alternare l’eccellenza tecnica alla rissa selvaggia. Ne sanno qualcosa Milan e Inter, che negli anni Sessanta hanno disputato finali di Coppa Intercontinentale ancora oggi ricordate per la loro brutalità.

Ed ecco allora che, sempre durante il primo tempo, Maria placca Cruijff in stile rugbistico. Neeskens, a palla lontanissima, riceve un colpo in faccia, a metà tra lo schiaffo e il pugno. Jansen, lanciato sulla destra, viene abbattuto da Marinho Peres, che lo carica con tutto il suo peso disinteressandosi completamente della palla. Gli olandesi, come detto, non sono proprio delle “vittime innocenti”, anche loro fanno sentire i tacchetti. Ma, a differenza degli avversari, macinano gioco e non dubitano mai di poter raggiungere la finale.

E infatti, nel secondo tempo, spezzano la disperata resistenza brasiliana: al 50’ Cruijff crossa basso dalla destra per Neeskens, che anticipa Luís Pereira e in scivolata fa partire un tiro che scavalca Leão e s’insacca. Dopo quindici minuti, la seconda rete, una delle più belle della manifestazione: Krol, dopo una triangolazione con Rensenbrink, dalla sinistra crossa al centro dell’area, dove Cruijff s’avventa sul pallone e con una spaccata volante lo mette dentro.

L’iconica rete di Cruijff

Anche nella ripresa le scorrettezze si sprecano: calcioni, spallate, entrate a piedi uniti, gomitate, spinte… Elencarle tutte sarebbe inutile e noioso. Un episodio però merita di essere citato perché emblematico. A pochi minuti dalla fine, quando la gara ormai non ha più niente da dire, Luís Pereira falcia Neeskens a centrocampo, senza motivo. L’arbitro Tschenscher non può che estrarre il rosso, incredibilmente il primo della gara, e il difensore brasiliano esce tra gli insulti e il lancio di oggetti degli spettatori. Per i campioni in carica, oltre all’eliminazione, non c’è nemmeno l’onore delle armi.

Ciò che accadrà in seguito è storia nota. L’Olanda, forse troppo sicura di sé, perderà in finale contro la Germania Ovest. La Seleção, negli anni e nei decenni seguenti, pur tra alti e bassi, tornerà a essere una squadra sinonimo di classe e spettacolo. Quella della Coppa del Mondo del 1974, e in particolare della gara che abbiamo appena descritto, rimarrà una parentesi. Un’anomalia da consegnare agli annali. Il Brasile più strano di sempre.

Testo di Daniele Cerri