Crvena Zvezda 1991: una Stella Rossa nel cielo

Alessandro Gori, profondo conoscitore del calcio balcanico, racconta l’epopea di una generazione di talenti purissimi capace di portare la Stella Rossa all’unico trionfo slavo in Champions. Poi la follia della guerra disperderà per sempre i semi del Grande Sogno.


PRELUDIO

A metà degli anni ‘80 la guida sportiva della Stella Rossa era in mano a due grossi personaggi, la vecchia gloria Dragan Džajic (oltre 600 partite con la Zvezda) e l’ex cestista Vladimir Cvetkovic. Furono loro a iniziare ad assemblare pezzo dopo pezzo una compagine di giovani talenti che permettessero il cambio generazionale e con la speranza di raggiungere traguardi importanti.

I primi ad arrivare nel 1986 furono appunto il 21enne Stojkovic dal Radnicki e il centravanti Bora Cvetkovic dalla Dinamo Zagreb (successivamente militò nell’Ascoli di Costantino Rozzi facendo impazzire con il suo nome le impensabili pronunce di Tonino Carino). Nel 1987 seguirono l’allora 18enne Prosinecki, anch’egli dalla Dinamo e il mediano Refik Šabanadžovic dallo Željeznicar, nell’anno successivo il goleador macedone Darko Pancev dal Vardar e il montenegrino Savicevic dal Buducnost. Nel 1989 si aggregò anche il serbo-romeno Mile Belodedic già campione d’Europa con la Steaua e scappato dalla dittatura di Ceausescu, e solo nel gennaio 1991 il talento Siniša Mihajlovic dal Vojvodina.

La formazione venne completata dal portiere Stevan Stojanovic Dika, Vlada Stošic e Vladimir Jugovic, tutti e tre usciti dalle giovanili del club, dai terzini montenegrini Radinovic e Marovic, lo stopper macedone Najdoski e del velocissimo quanto scarso Binic. Trionfo europeo a parte, i risultati si notarono: dal 1987/88 al 1991/92 la Zvezda vinse 5 campionati in 6 stagioni (solo nel 1988/89 prevalse la sorprendente Vojvodina guidata in campo dal vecchio zvezdaš Miloš Šestic e da Mihajlovic).

LA TRIPLA SFIDA CON IL MILAN

Già nei quarti di finale della Coppa Campioni 1986/87 la Stella Rossa aveva sfiorato il miracolo contro il Real Madrid della Quinta del Buitre, di Valdano e Hugo Sánchez. Il “Marakana” aveva assistito a una fantastica giornata di calcio, con la vittoria sulle merengues per 4-2 (con un rigore di Hugo a 3 minuti dalla fine); come sempre però era riuscita a farsi eliminare al ritorno perdendo per 2-0 al “Bernabéu”. Un momento chiave fu sicuramente la tripla sfida degli ottavi di finale di Coppa Campioni contro il Milan (autunno 1988), con Stojkovic e Savicevic che fecero il diavolo a quattro con i fuoriclasse del primo Milan di Sacchi.

Nell’andata di “San Siro” del 26 ottobre pochi si aspettavano che la Zvezda potesse creare dei grattacapi ai rossoneri Campioni d’Italia che nelle loro fila annoveravano anche i 3 olandesi, fiammanti Campioni d’Europa. Invece, all’inizio del secondo tempo, Stojkovic prese la palla e da solo con le sue finte e contro finte fece ammattire l’intera difesa del Milan: Franco Baresi quasi cadde, Piksi si presentò da solo davanti a Giovanni Galli e lo ingannò infilandolo d’esterno sulla sua sinistra. Un minuto dopo pareggiò Virdis su assist di Van Basten, ma l’1-1 finale sembrava positivo per il ritorno.

Due settimane dopo, il 9 novembre, il Milan si trovò di fronte alla bolgia del “Marakana”, ma una spessa nebbia calò sulla città e sullo stadio. Al 50’ fu Savicevic a segnare una rete che quasi nessuno riuscì a vedere. Proprio Dejo stava allora svolgendo il servizio militare (che in Jugoslavia non risparmiava i calciatori): veniva lasciato libero quasi esclusivamente per le partite importanti (ovvero quelle internazionali) e si può immaginare la sua voglia di bruciare tutto e tutti quando poteva giocare.Al 65’ l’arbitro tedesco Dieter Pauly decise che non si poteva continuare e sospese la partita, e fin qui va bene. Ma anziché continuarla dal momento della sospensione il giorno dopo venne rigiocata dall’inizio, ripartendo dallo 0-0.

Il 10 novembre dunque le due squadre scesero nuovamente in campo per la terza partita. Sacchi non poté contare su Virdis, espulso il giorno prima, e su Ancelotti, che aveva ricevuto la seconda ammonizione. La Zvezda venne graziata su una clamorosa autorete di Vasilijevic non segnalata, poi al 34’ Van Basten portò in vantaggio i rossoneri con un colpo di testa su cross di Donadoni. Solo 4 minuti dopo però un’altra fantasmagorica rete di Stojkovic lanciato da Savicevic portò al pareggio. Rimasero scolpiti anche i giochetti di Prosinecki (inizialmente in panchina) su Colombo. Il risultato non cambiò fino al termine dei supplementari. Purtroppo ai rigori ebbe la meglio il Milan, Galli parò i tiri di Savicevic e di Mitar Mrkela e il Milan volò verso la sua prima Coppa e la successiva gloria internazionale.

LA ZVEZDA PIU’ BELLA

Personalmente ritengo la squadra della stagione successiva (1989/90) come la più spettacolare di quegli anni, con ancora Stojkovic capitano, ma anche con Prosinecki ormai in pianta stabile, Savicevic che aveva ormai terminato la naja come anche Pancev, che finalizzava almeno qualcuna delle decine di occasioni che la squadra produceva; anche se mancava Mihajlovic che militava ancora nel Vojvodina c’erano Belodedic a guidare la difesa, il talento di Vladan Lukic che non si era ancora perso prematuramente (ora è Presidente della Zvezda) e quello del “vecchio” Mrkela. L’allenatore Branko Stankovic era stato sostituito da Dragoslav Šekularac Šeki, uno dei giocatori più funambolici della storia del calcio jugoslavo e serbo, e più incline del suo predecessore ai talenti. Uno spettacolo.

Come accennato, l’anno precedente la Stella Rossa era giunta seconda dietro al Vojvodina e dovette accontentarsi di partecipare alla Coppa UEFA. Nel terzo turno di quella competizione, contro l’1. FC Köln di Pierre Littbarski e Icke Hässler si vide forse la summa della Zvezda dell’epoca. Il 22 novembre 1989 in un “Marakana” come sempre strapieno l’andata terminò con un secco 2-0. Gioco spumeggiante, numeri allucinanti dei suoi fuoriclasse, decine di occasioni (sbagliate, con anche una rete annullata per un fuorigioco ininfluente) fino alla stratosferica doppietta di Dejo: allo scadere il montenegrino infilò per due volte il portiere tedesco, prima con un colpo di testa sotto misura su corner di Piksi e poi con una tremenda sassata dal limite finita all’incrocio e che quasi spaccava le reti tese del “Marakana”. Pazzesco.

Nel ritorno in Germania il 6 dicembre, il suicidio: la Zvezda si sciolse incredibilmente proprio negli ultimissimi minuti della partita, causa anche un portiere novellino come Zvonko Milojevic che ci mise del suo. A 7’ dalla fine il risultato era ancora sull’1-0 (Falko Götz, con il pallone che forse era uscito), ma quegli sciagurati ultimissimi minuti determinarono il 3-0 finale: reti ancora di Götz all’83’, un’azione sbagliata clamorosamente da Prosinecki da solo davanti al portiere e poi la beffa di Ordenewitz proprio al novantesimo su azione scaturita da una punizione inesistente e 4 giocatori soli davanti a Milojevic. Ancora eliminati.

I Mondiali di Italia 90 furono gli ultimi con la Jugoslavia unita e videro i plavi tra i protagonisti. La nazionale multietnica guidata dal grande Ivica Osim uscì solo ai rigori ai quarti di finale contro l’Argentina di Maradona; sia Diego che Piksi sbagliarono il loro rigore. Molti ricorderanno la fantastica doppietta di Stojkovic negli ottavi contro la Spagna a Verona: prima un numero da funambolo in area (pallone a spiovere, finta di botta al volo con Martín Vázquez che se ne andò lungo e disteso e tocco morbido ingannando Zubizarreta sulla sua destra) e poi una perfetta punizione dal limite nell’angolino.

LA STAGIONE D’ORO

La Jugoslavia (SFRJ) iniziava paurosamente a scricchiolare, e anche il calcio ne era testimone. Il 13 maggio 1990 era in programma la famosa partita al “Maksimir” tra Dinamo Zagabria e Stella Rossa che non si disputò a causa dei violenti scontri tra i tifosi più facinorosi delle due squadre, rispettivamente Bad Blue Boys e Delije; mancava ancora un anno allo scoppio del conflitto e già era possibile capire che cosa sarebbe potuto accadere. Ma anche il 28 settembre dello stesso anno per Hajduk-Partizan al “Poljud” di Spalato gli ultras della locale Torcida invasero il campo cercando di linciare i giocatori della squadra serba. Dopo i Mondiali iniziò la storica stagione 1990/91 che rimase negli annali del club e si concluse nel peggiore dei modi, ma ancora nessuno lo sapeva.

Stojkovic era già stato venduto all’Olimpique Marseille, squadra in cui si sarebbe presto rotto i legamenti del ginocchio perdendo così la possibilità di diventare uno dei più forti calciatori del mondo. L’allenatore cambiò nuovamente e arrivò Ljupko Petrovic, che aveva portato al titolo il Vojvodina. La Stella Rossa fu protagonista di una sensazionale cavalcata europea condita da prestazioni maiuscole: al primo turno eliminò Grasshopper, 1-1 in casa (Kozle per gli svizzeri e Binic) e 1-4 a Zurigo (ancora Kozle; Pancev, due rigori di Prosinecki e Radinovic), poi caddero i Glasgow Rangers, 3-0 al “Marakana” (autorete, punizione di Robi e Pancev) e 1-1 a “Ibrox” (McCoist e Pancev).

Nell’andata dei quarti contro la Dinamo Dresden (3-0) fu ancora Robi ad aprire le danze con una fantastica punizione nel “sette” per poi correre verso il Sever a perdifiato, come mai accadeva durante le fasi di gioco delle partite; seguirono la rete di Binic e un tiro incrociato di Savicevic. Nel ritorno in Germania Est l’eroe fu Dejo, con una bellissima rete in slalom che pareggiava il rigore iniziale di Gütschow; poi segnò Pancev, ma al 78’ la partita venne sospesa per incidenti provocati dagli ultras della Dynamo e la Zvezda vinse per 0-3 a tavolino.

Era la terza volta che la Stella Rossa raggiungeva le semifinali di Coppa Campioni. Nella prima (1957) venne eliminata dalla Fiorentina (0-1 a Beograd e 0-0 a Firenze); poi in finale i viola sarebbero stati sconfitti dal potentissimo Real Madrid di Di Stéfano e Gento. Nel 1971, proprio vent’anni prima, era avvenuta un’altra storica disfatta. Contro il Panathinaikos allenato dal leggendario Puskás Ferenc, nell’andata giocata in casa fino al 56’ la Zvezda conduceva per 3-0; 4-1 il finale, un risultato di tutto rispetto per affrontare il ritorno. Ma ad Atene avvenne la solita catastrofe: riuscì nell’impresa di perdere per 3-0 e furono i greci a volare alla finale di “Wembley” (sconfitti poi per 2-0 dall’Ajax di Cruijff, alla sua prima Coppa). Si seppe successivamente che prima della partita alcuni giocatori della Zvezda si sentirono male e molti pensarono a qualche intervento esterno, mai peraltro provato.

Tornando alla nostra stagione, il sorteggio aveva riservato un’amara sorpresa alla Zvezda che avrebbe affrontato il temibilissimo Bayern; Jupp Heynckes poteva schierare giocatori del calibro di Thon, Brian Laudrup, Wohlfarth, Effenberg, Khöler, Reuter, Augenthaler, Ziege, Strunz. Molti storsero il naso, ma uno dei pochi ad essere contento fu Džajic, che credeva ciecamente nei suoi pupilli e preferiva giocare subito contro la squadra più forte. Quella sera di aprile all’“Olympiastadion” c’erano oltre 25mila serbi, una muraglia umana che fu partecipe di un’esibizione di prim’ordine. Al 23’ i crveno beli andarono in svantaggio con un bel colpo sotto di Wohlfarth sull’uscita del portiere, ma riuscirono a ribaltare il risultato con due gol capolavoro: proprio allo scadere del primo tempo una velocissima combinazione Prosinecki-Binic sulla fascia destra premise a Pancev di pareggiare, e nella ripresa il raddoppio di Savicevic protagonista di una galoppata micidiale dalla propria metà campo.

Il match di ritorno fu pericolossimo per le coronarie, una continua altalena di emozioni e una serie infinita di occasioni da entrambe le parti. La Zvezda andò in vantaggio al 25’ con una splendida punizione di Siniša Mihajlovic. Ma nel secondo tempo i bavaresi ribaltarono il risultato in soli 5 minuti, dal 62’ al 67’, grazie a due clamorosi errori della difesa: prima una punizione di Augenthaler che passò tra le braccia e sotto le gambe di Stojanovic, e poi fu Bender ad approfittare di un colossale regalo di un difensore. Sembrava la solita maledizione dei ritorni di coppa.

Ci fu ancora qualche occasione e, quando ormai si presagivano i supplementari, arrivò la miracolosa autorete di San Augenthaler che, in collaborazione con il portiere Aumann, sancì il definitivo 2-2: le tribune del “Marakana” iniziarono a tremare per il tripudio, iniziava l’invasione di campo e la Zvezda conquistava la sua prima finale di Coppa Campioni! «Idemo u Bari, Idemo u Bari» cantavano tutti. «Nebo se otvorilooooo» (il cielo si è squarciato) gridava il telecronista Milojko Pantic. 12 anni prima, nel 1979, la Zvezda era riuscita a conquistare un’altra finale europea, ma di Coppa UEFA. Anche quella generazione d’oro che includeva Vladimir Petrovic Pižon, Dule Savic, Zoran Filipovic, Miloš Šestic perse la sua occasione e venne sconfitta dai tedeschi del Borussia Mönchengladbach capitanati da Berti Vogts: 1-1 all’andata al “Marakana” (Šestic e un’autorete di Jurišic) e 1-0 per i tedeschi al ritorno al “Rheinstadion” di Düsseldorf grazie al rigore del Pallone d’Oro danese Allan Simonsen.

LA FINALE

Il 29 maggio 1991 a Bari si giocò dunque la finale, proprio contro l’Olympique Marseille di Bernard Tapie e dell’amatissimo ex capitano Piksi Stojkovic reduce dal grave infortunio: per fortuna il belga Raymond Goethals, allenatore dei francesi, lo lasciò a marcire in panchina insieme al veterano Jean Tigana fino al 112’. In campo però i francesi contavano su fuoriclasse come Chris Waddle, Jean-Pierre Papin e Abedi Pelé. Ai quarti l’OM aveva eliminato il Milan (reduce da 2 coppe consecutive) protagonista della famosa sceneggiata del “Vélodrome” quando Galliani non fece rientrare la squadra a seguito di un’interruzione dell’impianto di illuminazione.

Dalla Serbia arrivarono circa 30mila tifosi, con aerei e bus attraversando l’Adriatico dal Montenegro. Prima dell’inizio sulla curva superiore apparve una immensa bandiera serba: nello stadio di Bari, dedicato al santo più venerato in Serbia (Sveti Nikola), la Zvezda non poteva proprio perdere.Il saggio allenatore Ljupko Petrovic decise che dopo lo spettacolo dei turni precedenti era meglio limitare al minimo i rischi privilegiando, forse per la prima volta, il risultato al gioco. Come accennato neanche Goethals rischiò: ne uscì una partita grigissima e con poche occasioni che si trascinò sullo 0-0 fino al termine dei supplementari.

Ai rigori la tensione era altissima. Per fortuna Stojanovic parò subito il primo tiro dei francesi, di Manuel Amoros; segnarono invece tutti gli altri, Prosinecki, Binic, Belodedic, Mihajlovic da una parte e Casoni, Papin e Mozer dall’altra (ritenendosi preso in giro dall’allenatore, Piksi si rifiutò di calciarlo). Il bomber macedone Darko Pancev fu l’incaricato di riscattare le sorti di tutte le fantastiche generazioni precedenti della Zvezda e non fallì il tiro decisivo, battendo Pascal Olmeta sulla sua destra. La Zvezda diventava per la prima (unica e ultima) volta Campione d’Europa.

LA FINE DI TUTTO

Fu il momento più alto che purtroppo significò anche la fine di tutto. Un mese dopo Bari iniziarono i conflitti jugoslavi, con tutta la tragica sequela di conseguenze, anche sportive. Forti delle esperienze violente degli hooligans jugoslavi della seconda metà degli anni Ottanta, le frange estreme del tifo costituirono il serbatoio principale di arruolamento delle milizie paramilitari, soprattutto gli ultras di Stella Rossa, Dinamo Zagabria e altre squadre del paese.

Alcuni giocatori se ne andarono già in quell’estate, ma ci fu ancora tempo per la finale (unica) di Supercoppa persa all’ “Old Trafford” contro il Manchester United: la rete di Brian McClair arrivò solo nel finale dopo decine di occasioni sprecate, soprattutto da Pancev (e un rigore parato da Milojevic). Straordinaria fu la prestazione di Savicevic: si dice che fu proprio guardando quell’incontro in televisione che Berlusconi decise di acquistarlo; il montenegrino arrivò infatti al Milan l’anno successivo.Poi, l’8 dicembre, l’ultima effimera gioia, la Stella Rossa conquistò a Tokyo anche la Coppa Intercontinentale laureandosi Campione del Mondo: 3-0 sui cileni del Colo Colo, grazie alla doppietta di Jugovic e al sigillo di Pancev.

Nonostante in Serbia non si combattesse, l’UEFA aveva già proibito alla Zvezda di disputare in casa le partite di Coppa Campioni; dovette emigrare dunque sui campi neutri vicini al confine a Szeged (Ungheria) e Sofia (Bulgaria), ma venne eliminata già nel gironcino a 4 che preannunciava l’inizio della Champions League e la fine di un’epoca anche calcistica.

Poi il patatrac completo. In aprile iniziò la guerra in Bosnia e il 30 maggio 1992, a seguito della strage del pane in ulica Vase Miskina a Sarajevo avvenuta tre giorni prima, la Risoluzione dell’ONU 757 decretò l’embargo totale nei confronti della Serbia e Montenegro. Le sanzioni erano anche culturali e sportive: le squadre serbe non poterono partecipare a nessuna competizione internazionale e, come si ricorderà, i resti della nazionale “jugoslava” che si trovavano già in Svezia per disputare l’Europeo vennero fatti rientrare in patria; al suo posto fu frettolosamente ripescata la Danimarca: i giocatori danesi erano già in vacanza, ma riuscirono inaspettatamente a vincere il torneo.

Il durissimo (almeno per la popolazione) embargo che durò fino a poco prima di Dayton (1995) sigillò il paese e permise, insieme ai traffici derivati dal conflitto, la più grossa operazione mafiosa degli ultimi decenni in Europa. Negli anni successivi sono tornato molte volte in Serbia, anche per assistere ad alcune partite. Il livello del calcio serbo, anche dopo la fine dell’embargo, è decisamente pietoso.Un paio di volte la Zvezda è andata vicino alla qualificazione per il girone di Champions, senza purtroppo riuscirci come è invece capitato in due occasioni al Partizan. Dopo un’alternanza di titoli, grazie ad una migliore organizzazione, gli acerrimi rivali sono riusciti a conquistare anche gli ultimi 4 campionati.

Durante la sua storia, la Stella Rossa ha reso omaggio ai suoi più grandi giocatori con il titolo di Zvezdina Zvezda ovvero “Stella della Stella” (Rossa). Cinque personaggi hanno ricevuto questo onore: Rajko Mitic e i citati Šekularac, Džajic, Vladimir Petrovic e Stojkovic. Forse per ricordarsi delle glorie del recente passato in contrasto con il disastroso presente, in occasione del ventennale della conquista del titolo europeo, il club ha deciso di rendere omaggio alla generazione che nel 1991 vinse la Coppa Campioni, dichiarando quella squadra la sesta (e ultima) Zvezdina Zvezda.

Testo di Alessandro Gori (Viandante, Giornalista, Gastronomade, Fotografo, futbolero) http://www.alessandrogori.info/

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