WILKES – ZICO – ZIDANE
Innamorato del pallone, i suoi dribbling mozzafiato non lasciavano scampo ai difensori. Da eccezionale virtuoso, non cercava la continuità di rendimento nè esercitava lo spirito di sacrificio e l’ardore agonistico. Ma nei primi due anni a Milano diede spettacolo, attirando coi suoi giochi di prestigio le folle. Era imprevedibile nelle invenzioni quanto sensazionale bombardiere sotto rete, ma la squadra non ottenne risultati eclatanti. Una piccola crisi nel terzo anno portò il pubblico nerazzurro, notoriamente di palato sin troppo fine, a fischiarlo; un’onta che calò come un’ombra sul suo carattere. Perse fiducia in se stesso, il suo gioco divenne esasperatamente individualista, il dribbling si appannò. Se ne andò allora al Torino, ma una serie di malanni fisici lo costrinse a giocare pochissimo e a lasciare l’Italia a fine stagione.
Figlio d’arte (il padre era l’ex portiere del Vasco da Gama), Arthur crebbe al calcio nelle giovanili del Flamengo di Rio. Dotato di una tecnica da artista, il suo fisico gracile pareva negato al gioco del calcio. Venne allora spedito a farsi i muscoli in palestra, fra bilanceri e beveroni super-vitaminici. Il risultato fu eccellente, anche se la costruzione forzata dei muscoli gli residuò una predisposizione agli infortuni. Nel 1971 esordiva nella massima divisione, con la maglia numero dieci. Incontenibile realizzatore di gol, venne additato come il naturale erede di Pelè.
Dotato di un tiro secco e preciso e di un dribbling da pantera, i suoi calci di punizione tagliati erano la dannazione dei portieri. Idolo dei tifosi del Flamengo, il suo esordio in Nazionale fu memorabile, un 2-1 all’Uruguay condito da un suo gol.
I suoi movimenti guizzanti, a frenetico ritmo di samba, gli valsero il soprannome di “Zico” (furetto), il suo calcio trascinante riempì di trofei la bacheca del club rossonero. Nel 1983, in piena febbre post-titolo mondiale, accadde l’impossibile: il “galinho” (galletto) venne ingaggiato dall’Udinese di Lamberto Mazza, che se lo assicurò per tre anni. Le cifre dell’operazione (una complicata manovra finanziaria) sconvolsero però i vertici della Federcalcio, che bloccarono l’operazione dell’Udinese e quella della Roma per Cerezo. Sorse allora la protesta popolare, diretta contro le grandi società del Nord. Dopo poche settimane, l’inevitabile dietro-front, e l’arrivo trionfale del campionissimo a Udine (con una auto d’epoca tra due ali di folla). L’asso si dimostrò pari alle attese. Quando si accingeva a battere una punizione dal limite, il portiere faceva testamento. Qualche eccesso di prudenza del tecnico Ferrari (che doveva giostrare tre fantasisti del calibro di Causio, Mauro e Zico) e un pizzico si sfortuna negarono l’accesso all’Uefa a quella splendida squadra. L’anno dopo, riemersero gli infortuni, indotti anche dal clima umido della città e Zico sparì di scena. Malinconico l’epilogo: squalificato per sei giornate per avere insultato un arbitro che aveva convalidato un gol di mano di Maradona, inseguito dalla giustizia italiana (condanna a otto mesi per avere creato società inesistenti all’estero), tornò in Brasile, dove riprese a incantare nel Flamengo. Mancò il titolo mondiale di nuovo nell’86 e poi prolungò fino oltre i quarant’anni la carriera tra i miliardari scenari giapponesi.